Arconi? Io non sono stato, io non c'entro niente
Se ancora siamo in tempo, un’idea valida sarebbe di utilizzare gli ambienti degli Arconi per realizzare una esposizione dell’ingente patrimonio archeologico, confinato all’interno di magazzini e quindi invisibile
È trascorsa la nona primavera da quando s’iniziò a parlare di trasformazione delle poderose, antiche strutture architettoniche arcuate, meglio note come “Arconi” di via della Rupe, situata nel cuore dell’acropoli perugina. Elementi murari che permisero l’edificazione e lo sviluppo del tessuto cittadino. Era auspicabile che queste strutture di sostegno restassero libere e leggibili nella loro funzione originaria. E invece, che fine gli hanno fatto fare? Il luogo è tuttora perimetrato dalla recinzione di cantiere. Le porte per ora restano chiuse, serrate. Per chi si fosse perso qualche puntata precedente, ricordiamo che si tratta di arte muraria monumentale caratterizzata da robusti contrafforti che, sostenendo la scarpata della Rupe che guarda verso Assisi, hanno consentito la realizzazione, e quindi la conservazione, della soprastante, vasta, piazza del Sopramuro, oggi piazza Matteotti. I possenti e rassicuranti avambracci hanno la precipua funzione di sorreggere e salvaguardare l’intera scarpata del Pincetto. Questa primaria vocazione, recentemente, ha finito con l’essere sminuita, occultata e deturpata dal noto e discutibile uso improprio degli spazi, indebitamente frazionati e parcellizzati da un progetto elaborato dalla amministrazione comunale improvvisato e privo della necessaria valutazione storica. Tanti cittadini si sono domandati: “dopo che abbiamo speso una esorbitante cifra a sei zeri per questo intervento, quale sarà mai il destino dei malcapitati, grandi Arconi?” Giusto un annetto fa tirarono fuori dal cilindro il modello londinese degli “Idea Store”, un che di ibrido dove si legge, si gioca e ci si infarina! Perché cercare soluzioni tanto lontane, quando potremmo essere noi d’esempio per tanti altri? Se ancora siamo in tempo, un’idea valida ci sarebbe, quella di utilizzare gli ambienti degli Arconi per realizzare una giusta dimora dedicata all’esposizione, alla rassegna dell’ingente patrimonio archeologico, da sempre confinato all’interno di anonimi, asfittici magazzini e quindi invisibile. Sarebbe un’occasione per accompagnare il pubblico, e in modo particolare i più giovani, alla lettura e alla comprensione dei manufatti prodotti dalle civiltà locali che ci hanno preceduto. Uno spazio didattico utile per poter prendere parte consapevolmente alla vita culturale della comunità. Questa idea produrrebbe un duplice vantaggio, sia per gli Arconi, sia per il patrimonio archeologico invisibile: un efficace e istruttivo allestimento per la conoscenza delle abbondanti tracce del passato che il sottosuolo ci regala e continua a regalarci. Va considerato che ciò che vediamo esposto all’interno dei musei non è che una porzione infinitesimale di ciò che la storia ci ha tramandato e consegnato. Tutto ciò ci invita a cambiare il modo di pensare, a favore di una auspicabile strategia di valorizzazione sia del patrimonio confinato, “nascosto” nei depositi, sia dei siti, anch’essi nascosti, ignorati e invece salienti, importantissimi per restituire informazioni inedite e insospettabili. Quale area migliore se non quella sottostante Piazza Matteotti? Oltre il “murus civitatis”, in fondo agli Arconi, oggi occultato da una inopportuna serie di cessi, c’è tutto un mondo sconosciuto da scoprire. Fin qui la nostra legittima proposta. Parliamoci chiaro, la cosa migliore sarebbe di riportare il tutto allo stato originario, ma dopo aver dissipato una tale barca di quattrini (trattasi della bellezza di 4,2 milioni di euro!) ciò è obiettivamente impossibile. Certo, sarebbe meglio se si potesse almeno limitare il danno, per esempio segando le orride escrescenze, cioè i gabbiotti di vetro malamente sporgenti, forzatamente ficcati lì ad invadere l’antistante terrazzamento del Pincetto. Difficilmente purtroppo, potrà essere esaudita questa proposta, dato che è ormai regolarmente assente ogni Cultura per la città. Una intricata e tribolata vicenda dove tutti i preposti fautori hanno dichiarato, e continuano a dichiarare: - Io non sono stato, io non c'entro niente - Non resta che un'ultima mossa fattibile: apporre civicamente una lapide a imperitura memoria, con su scritto il rammarico per aver perduto la fisionomia di uno degli scorci più caratteristici della nostra città.
Mauro Monella
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