L’Abbazia di San Giustino d’Arna
(due note introduttive)
L’Abbazia di San Giustino d’Arna, sita a una quindicina di Km. A nord – nord est del capoluogo umbro, costituisce il primo insediamento templare di Perugia. A poco più di un centinaio di metri a oriente dell’Abbazia scorre il Rio Piccolo, già Rio d’Arna, che scende dagli alti colli della Fratticiola e si immette nel Tevere più o meno all’altezza (ma di fronte) dell’Ansa degli Ornari, dopo avere percorso tutta la stretta vallata di Pilonico Paterno e poi quella più ampia sottostante Civitella d’Arna (la costeggia nel suo lato nord – occidentale) per attraversare infine il contado di Lidarno. L’Abbazia è posta dunque ai limiti estremi nord – orientali del territorio d’Arna, la antica città umbro – etrusco – romana che sorgeva ove oggi è collocata Civitella d’Arna (già d’Arno).
LA STORIA San Giustino nasce come abbazia benedettina dalla quale dipendevano, sembra, non meno di trenta chiese: “furono i monaci benedettini a fondare il monastero di S. Giustino d’Arna verso la fine del medioevo; il convento visse un periodo di notevole splendore economico come centro operativo di un vasto territorio agricolo denominato ‘Massa d’Arna’, appartenente al Papa”. L’Abbazia di S. Giustino, contemporanea a quella sita a Montelabate, toccò il massimo splendore nel XII secolo. Si narra che questa abbazia fosse in lite con quella, appunto, di Montelabate, per il possesso del colle del Farneto (tra gli attuali Piccione e Colombella); un giorno, sembra nel 1218, l’Abate di S. Giustino si recava a Montelabate per cercare di redimere la lite, quando incontrò S. Francesco e si raccomandò alle sue preghiere. Il Santo si pose in ginocchio e pregò per lui tanto che l’abate stesso tornò indietro e regalò a Francesco il colle del Farneto. La cosa venne accettata allora anche dall’abate di Montelabate e ritornò la pace tra le due abbazie (quando il Monastero, o Abbazia, di S. Giustino andò in rovina, nel XV secolo, e la chiesa restò senza culto, le reliquie del Santo titolare furono trasferite a Farneto). Si dice che l’area dove sorge la chiesa ed il complesso annesso fosse ai tempi dei tempi ricoperta da una estesa palude(la medesima chiesa sorse, sembra, sopra una palude); furono proprio i benedettini a bonificarla (a fianco e connesso alla chiesa vi è un vano ove si possono apprezzare due rimesse per altrettante chiatte che tra il XII e il XIII secolo servivano per i lavori di risanamento della zona). Collocata lungo una importante via percorsa dai pellegrini, l’Abbazia prosperò, dunque, sino all’inizio del XIII secolo; ma, da quest’epoca, cominciò la sua decadenza, tanto che il Papa di allora, Gregorio IX, la affidò all’Ordine dei Templari. Quando infatti il monastero benedettino di S. Giustino passò nelle mani dei templari (aprile 1237 o 1238?), le sue condizioni economiche erano disastrose. Pochi mesi dopo, nel corso del medesimo anno, sempre Gregorio IX nominò fra’ Amerigo (dell’Ordine del Tempio) precettore di S. Giustino e in breve tempo i templari, grazie alla loro organizzazione, riportarono la prosperità nel monastero e un suo monaco, fra’ Bonvicino, fu nominato cubiculario papale (una sorta di segretario) che svolse tale funzione fino al 1262 (servendo di fatto sotto cinque Papi diversi). Nella chiesa attualmente, e più precisamente nella cripta (che secondo alcuni era la chiesa originale sorta sulle paludi presenti nella zona), permangono un paio di elementi o tre che testimoniano il passato templare di codesta struttura. Scrive il Riganelli (riprendendo dal Tommasi) che “questa rinascita dovrebbe potersi ascrivere all’apparato amministrativo di cui poteva disporre tale Ordine, che pare abbia potuto avvalersi di alcuni «laici provenienti dall’ambiente perugino e scelti nella cerchia dei clienti e consorti del Tempio», i quali «coadiuvavano i monaci – soldati nell’opera di conduzione» del patrimonio agricolo [i Templari crearono infatti una serie di precettorie rurali capaci di produrre quanto serviva in Terra Santa per la sopravvivenza dei cavalieri impegnati in prima linea nel compito di proteggere i pellegrini. Queste precettorie, dette ‘grangie’, erano delle fattorie dove lavoravano direttamente gli affiliati all’Ordine secondo il modello benedettino cistercense; a capo di queste aziende agricole c’era in genere un Cavaliere Sergente e il lavoro dei campi era affidato ai ‘Fratelli di mestiere’ che coltivavano cereali e legumi e allevavano maiali, pecore, buoi e cavalli]”. Nel “MEDIOEVO RURALE PERUGINO” del Riganelli si possono leggere gli avvenimenti che accaddero in quel territorio e in quel monastero nella II metà del XIII secolo. Sta di fatto che “dal 1283 al 1303 San Giustino venne sottratta con la violenza all’Ordine del Tempio e solamente dopo una ventina d’anni di ‘scaramucce’ e grazie all’intervento di Benedetto XI i Templari poterono riprendersi l’Abbazia nell’ottobre, per l’appunto, del 1203. Ma le vicissitudini non cessano tant’è che nel 1312 l’Ordine dei templari viene soppresso e dall’estate del 1316 i Cavalieri di Malta (gli ‘Ospedalieri di S. Giovanni Gerosolimitano’) presero possesso del monastero”. Ma già nel 1341 i Cavalieri di Malta furono cacciati da una rivolta capeggiata probabilmente da monaci benedettini che volevano rientrare in possesso del loro antico patrimonio. Le lotte sulla proprietà di S. Giustino andò avanti per un’ulteriore decina di anni sino a che un altro papa, Clemente VI, fece rientrare i Cavalieri nel loro possedimento. Ma la storia che s’intreccia di aspetti curiosi, ci consente di “osservare come, nell’evolversi degli avvenimenti di quei periodi, tra il 1349 e il 1389, fuoriesca dalle ingarbugliate vicende l’abate valpontese Paolo (di S. Maria di Valdiponte, leggi Montelabate), che ricevette l’incarico di rivendicare i diritti sull’Abbazia di S. Giustino, ed egli, come vicario generale, riuscì a redimere le questioni fra i monaci del Monastero, i Cavalieri di Malta (i Gerosolimitani) ed il vescovo di Perugia, che nel frattempo aveva usurpato la giurisdizione sulle chiese unite dell’Abbazia di S. maria di Valdiponte, su quella di S. Giustino e su quella di S. Stefano in Arcellis della non lontana Valfabbrica, e far sì che la chiesa di S. Giustino tornasse sotto la tutela della vecchia matrice”. Tutte queste contese per la proprietà della Commenda (nel frattempo erano comparsi gli abati“Commendatari”) derivavano dalla ricchezza delle terre in suo possesso e dal fatto che nel 1578 (come corrono gli anni!) da essa dipendevano ancora quella trentina di chiese, di cui si diceva all’inizio, con le loro relative ricchezze. Nei secoli successivi la Commenda perse il controllo di molte chiese tanto che nel 1766 ne controllava solo sei. Oggi S. Giustino è un’azienda agricola di proprietà (pensate un po’!) del Sovrano Ordine Militare di Malta. Il custode è da una decina d’anni il signor Sergio che è un falegname dipendente dello SMOM. L’ARCHITETTURA
Del complesso antico monastero, oggi resta soltanto la suggestiva chiesa romanica, di pietra squadrata, con un portale ad arco acuto, che è stata ristrutturata nel 1933 (e riaperta al pubblico, previo avviso al custode, nel 2004, dopo i lavori di restauro seguiti ai terremoti del 1984 e del 1997). La chiesa è dotata di un presbiterio rialzato a doppia navata (ma ‘unica nave la parte anteriore della chiesa con tetto a capriate’) al quale si accede attraverso due scalinate parallele, ove spicca un affresco del XV secolo raffigurante il martire S. Giustino vestito da monaco benedettino e la macina al collo con la quale venne annegato. Si dice che S. Giustino sia stato affogato nelle paludi medesime della zona ove poi sorse la chiesa e quindi l’abbazia; altre fonti lo dicono affogato nel non lontano Tevere (si ignora peraltro la motivazione, anche in virtù del fatto che non bene è stata individuata la figura di tale Santo). Vi è inoltre una cripta ad archi con colonne e capitelli raffiguranti esseri mitologici. Tale cripta, forse antecedente all’anno mille, ha tracce di un affresco della prima metà del trecento raffigurante una crocifissione; sull’altare (in pietra serena sagomato ad anse rientranti), in una teca di vetro, sono conservate le reliquie di S. Giustino. Controversa rimane l’identità del santo. C’è chi lo crede un presbitero martirizzato sotto l’imperatore Decio, a. 249 – 250, quando i Cristiani rimasero fedeli a Cristo, quantunque minacciati di morte e della confisca dei beni, e c’è chi lo pensa un monaco benedettino, ma non va confuso con il S. Giustino dell’omonimo Comune a nord di Città di Castello (un martire che si convertì al Cristianesimo all’epoca degli imperatori Antonio Pio e Marco Aurelio tra il 138 e il 180). Interessante è l’esterno dell’abside: è infatti a due ordini di archetti (motivo frequente nel romanico), con esili colonnine scanalate e in cima il bizzarro campaniletto a ventaglia, coronato da alcuni cipressi.
Daniele Crotti
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