La Suntina
In un volume le "suntinate", cioè le bartocciate della Suntina
La Suntina. Riflessioni tra costume e politica in dialetto perugino di Silvana Sonno, Prefazione di Luigi M. Reale, Era Nuova edizioni 2021
Quando ho ascoltato per la prima volta una suntinata è stato ad una cena per l’8 marzo a Perugia, e mentre tutte si salutavano e abbracciavano, io nuova del posto ero un po’ in imbarazzo fino a quando non sono arrivati i versi della Suntina che era impossibile non conoscerla con quel suo dialetto perugino senza convenevoli. E’ stato il mio benvenuto. Quella sera ricevetti in dono un triangolo piccolissimo di pianta grassa che si è ramificata in tante strisciole spinosette e storte e che rappresentano con la loro verde consistenza il tempo mio con Silvana. La conobbi quella sera. Anni di letture e scrittura insieme. Nella sua storia d’impegno politico e letterario è indelebile l’impronta di un femminile: “Non sono candidata all’universale/ma la Storia dovrà ben fare i conti con me”. Così lei scrive. Posso così immaginare quanto liberatoria possa essere stata la sua soddisfazione di dire nella propria lingua di appartenenza la propria rivolta, la propria libertà femminile e capovolgere il povero in sentito, lo scritto formale in parlato, l’istituzione in diritto di cittadinanza. Ciò che c’era d’irregolare puntuto debordante nella sua/nostra liberazione trova il suo apice esilarante nella voce della Suntina che attraversa tempo e spazio in un moto irrefrenabile, a svelare ciò che oscuro anche se istituzionale. Non le manda a dire la Suntina, ci mette la faccia, non perde tempo a intrigare come Colombina. E’ diretta e conosce anche parole importanti senza per questo rinunciare alla sua parlata diretta pregrammaticale con cui tocca i nervi scoperti. La libertà una volta provata non si dimentica e così lei la esercita con genio creativo non solo sulle cose da donne ma su tutto quello che è stare al mondo. E davanti a lei sfila la storia quella in maiuscolo e quella in minuscolo, nazionale e locale. Certo la Suntina dice quella parolaccia che noi non abbiamo saputo dire, quella battuta pronta che non abbiamo saputo fare ma non è una macchietta, è una cittadina che sa l’argomentare fino e politico, ha imparato parole difficili dal professorone dove sta a servizio, conosce “il pensiero dell’esperienza”. Ha un’innata allegria come per Umbria Jazz:”I’ m’arcordo quanno che a Perugia/arivò la musica di negre/nco tutta quilla gente colorata/che nto le strade girava pe cantà./ C’era n’aria de vita ‘n’ po’ ribelle/c’attizzava la voja de fà festa/che diceva ta Perugia nostra/ch’era arivata l’ora de cambià.” Ma la Suntina ha una cicatrice profonda e centenaria quella delle stragi di Perugia del 20 giugno 1859 quando le truppe pontificie massacrarono donne e uomini che si erano ribellati al dominio dello Stato della Chiesa:”che la libertà l’em trovata tra le mano/senza troppo suffrì, senza rischià la morte/e senza dovè sbatte ‘l nostro grugno,/come ‘n quil più lontano 20 Giugno.”. E’ una stimmata questa che si rinnova in lei di fronte ad ogni ingiustizia e violenza. La Suntina non sta in casa a lamentarsi e a fare la vittima ma va a manifestare come quella volta a Deruta perché il Consiglio comunale aveva intitolato una piazza a Bettino Craxi: ”Come ta chi? Ma ta quillo che/qualche anno addietro l’òn preso/c’à rubbato lù à ditto “me dispiace/ma nn era pe mme ma pel Partito/e pu zitto zitto e lesto lesto,/pe davero è partito, n’ Tunisia/pe nun finì n’ prigione, dove è noto/ce finiscono soltanto i disgrazziate/mejo si so’ straniere e anco drogate/che alora ce restono pe sempre/che tanto chi li piagne è poca gente.”. E sa difendersi dagli insulti come quando sogna suo padre che si rivolge a lei come al maschio che avrebbe voluto dicendole: “’l por babo me diceva: si ò da parlà con cojone/alora parlo nchi mii. E ‘ntendeva/de nun sperticasse a ragionà con chi ‘l cervello/nun l’apre o nun ce l’à.”.
Nicoletta Nuzzo
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