Fontivegge: c'era un centro a misura... d'uovo?
Come è possibile che un luogo così ricco di tali valori sia stato declassato a periferia nella quale ci ostiniamo a sfornare brutti casermoni, abominevoli e immorali?
Natura docet: a un Piero della Francesca, a un Leonardo Da Vinci, come a un Cristoforo Colombo, acuti osservatori, non sfuggì la perfezione di certe figure geometriche e matematiche, quale, nella fattispecie, la figura ovale, cioè di uovo. Così come l’uovo nasce, esordisce, e viene normalmente fecondato, anche la città, qualsiasi città, è sempre stata fondata sulle necessità dell’uomo, e normalmente concepita dalla comunità dei cittadini. Mentre l’uovo è da sempre “a misura d’uovo”, la città si è invece andata progressivamente deformando, assumendo una conformazione priva di identità. Se la città storica ha un nome, un cognome, connotati salienti e segni particolari, altrettanto vale per la periferia, tutt’altro che priva di storia, di identità e di memoria. Purtroppo ad oggi la misura d’uomo viene ignorata e addirittura completamente dimenticata. A Perugia c’è un caso emblematico, che porta il nome di Fontivegge, “il luogo delle Fonti di Veggio”, dove l’acqua scorre generando vita, fin dall’epoca della cultura villanoviana. Ciò lo dimostrano i reperti quivi rinvenuti, come ad esempio la famosa spada di bronzo ad antenne, che risale alla prima età del ferro (IX - VIII secolo). Ai giorni nostri, c’è qualcuno che si domanda di quanta e quale storia sia stata testimone Fontivegge? Tra la via Pievaiola e la via Cortonese c’era il quartiere Bellocchio, fatto di casette che gradualmente univano la città con l’adiacente campagna, ognuna con il proprio giardino di pertinenza ad ispirazione della concezione di città - giardino di Howard; c’era lo stabilimento della Perugina e il Poligrafico Buitoni; poi il Tabacchificio e il Consorzio Agrario Provinciale. C’era, e meno male che ancora c’è, l’antica abbazia di San Quirico in via del Fosso, ora ridotta a rimessa di ferraglie, che resta eroicamente in piedi a testimoniare un’epoca. Poi c’è la stazione ferroviaria, porta d’entrata e d’uscita da e per la città, e, non ultimo, c’è il secolare viale di Platani intitolato al patriota Mario Angeloni. Come è possibile che un luogo così ricco di tali valori sia stato declassato a periferia nella quale ci ostiniamo a sfornare brutti casermoni, abominevoli e immorali? Perugia possiede una incredibile quantità di luoghi, memorie e identità, profondamente diverse tra di loro, sia in termini di spazio sia di tempo. Ovunque c’è qualcosa che fa da tratto ricorrente, da unione tra paesaggi anche molto differenti. Un insieme prezioso di opportunità, anime e totem che potrebbe validamente contribuire a una Perugia differente, plurale, cucita insieme da un ideale filo rosso che unisca tutte le varie memorie. Se archeologia storica e archeologia moderna fossero occasione di recupero dell’identità originaria dei territori, funzionerebbero come potenziale incentivo per rinvigorire i connotati storici e tradizionali di quella che oggi è volgarmente definita “periferia”. Qui c’è qualcosa che non quadra. Fontivegge periferia?! A pensarci bene, è uno sproloquio chiamarla periferia. Morale della tavola, visto che nessuno osa più ribellarsi a corruzioni, malaffari, malconcepimenti, circoli viziosi, né a disegni involutivi di qualche imbelle narcisista, sapete cosa vi dico? Con l’uovo con cui ho esordito in questa breve riflessione, in assenza di uno scatto di orgoglio cittadino, fateci un bel frittatone.
Mauro Monella
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