16/07/2024
direttore Renzo Zuccherini

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L’esperienza del mutualismo conflittuale del Comitato Perugia Solidale
Il Covid non ha fatto altro che far esplodere le contraddizioni di questo sistema ovunque. La platea sempre più affollata di disoccupati, lavoratori in nero-precari-senza tutele, si è trovata a essere ancora più invisibile agli occhi dei governanti. L'iniziativa del Comitato Perugia Solidale


A partire dal blocco di marzo, determinato dalle misure governative volte a limitare la diffusione del Covid-19, a Perugia (come in altre città italiane) alcune realtà politiche e sociali hanno deciso di unire le forze e le capacità organizzative per fronteggiare la crisi economica e sociale che sin da subito mordeva su quelle fasce della popolazione perugina che già si trovavano in situazioni precarie.

Alle difficoltà derivanti dalla crisi del 2008 si sono aggiunte quelle della pandemia attuale.

L’Umbria è la Regione del Centro-Italia che a partire dalla crisi finanziaria di 12 anni fa, ha subito probabilmente la flessione peggiore degli indicatori socio-economici delle famiglie, del sistema produttivo e del mondo del lavoro. I tassi di disoccupazione sono cresciuti di molto, come anche il ricorso a forme contrattuali precarie e flessibili e parallelamente sono aumentati gli infortuni e le morti sul lavoro. Naturalmente sono incrementate le famiglie in situazioni di povertà assoluta e relativa (sia autoctone che straniere), soprattutto nelle due città principali: Perugia e Terni.

Il Covid non ha fatto altro che far esplodere le contraddizioni di questo sistema ovunque.

In questo contesto, a Perugia, è nato il Comitato Perugia Solidale, ispirato dalla logica del mutualismo conflittuale e incentrato sull’organizzazione della Spesa Solidale per rispondere direttamente alle esigenze di quelle famiglie che in città e nei suoi quartieri periferici non trovavano alcuna risposta dalle istituzioni locali (oltre alla scarsità delle soluzioni adottate dal Governo Conte, che si sono tradotte essenzialmente nelle briciole – tardive- del Reddito di Emergenza e in poche altre misure palliative).

La platea sempre più affollata di disoccupati, lavoratori in nero-precari-senza tutele, si è trovata a essere ancora più invisibile agli occhi dei governanti.

Inizialmente, il bonus spesa, predisposto dal Comune di Perugia è terminato dopo pochi giorni dalla pubblicazione del bando e ha peccato di chiarezza nella definizione dei requisiti di accesso sin dall’inizio, escludendo centinaia di nuclei familiari bisognosi.

A molte di queste persone, il Comitato, grazie alle donazioni private dei singoli, è riuscito a dare una risposta sin da subito. Però sin dalla sua nascita, non si è trattato di puro e semplice assistenzialismo, ma appunto di mutualismo popolare – in cui ci si aiuta reciprocamente senza un rapporto caritatevole o gerarchico tra chi dona e chi riceve-  fondato sull’autorganizzazione dei militanti e delle famiglie beneficiarie della spesa.

Consapevoli della gravità della situazione e dell’incapacità e non volontà delle istituzioni locali di fronteggiare queste problematiche emergenti, il Comitato ha deciso –subito- di adottare una linea politica rivendicativa e conflittuale, di non cadere nella pratica dell’associazionismo che va a tappare i buchi e le falde dei governanti, ma di far emergere quelle contraddizioni che attraversano questa società e chiedere risposte urgenti a chi ha il dovere giuridico-politico e morale di elaborarle.

Ma come si è tradotta questa modalità nel pratico? Allora partendo dal piano più strettamente organizzativo, il Comitato Perugia Solidale, è stato animato da alcuni soggetti già presenti in città come lo Spazio Popolare Rude Grifo (legato agli Ingrifati della Curva del Perugia) radicato da anni nel quartiere di San Sisto, gli Operatori Sociali Autorganizzati Perugia -OSA PG- (che già portavano avanti rivendicazioni sulla questione dei disoccupati e dello sfruttamento lavorativo interno al Terzo Settore) presenti in zona Fontivegge, VOK (Voce Ostinata e Kontraria), Fronte della Gioventù Comunista e tanti altri militanti singoli.

Il comitato si è strutturato in quattro zone che coprono l’intera città: San Sisto, Zona Fontivegge e Via del Lavoro, Ponte San Giovanni e Centro Storico. Ognuna si occupa della consegna delle cassette alimentari e di mantenere rapporti con le persone con cui entra in contatto. Poi una volta alla settimana si tiene un’assemblea generale organizzativa. Dalla nascita dell’esperienza perugina, poi sono nate altre due strutture nella Provincia: Marsciano Solidale e Trasimeno Solidale, ognuna autonoma nelle rispettivi territori, ma animate dalla stessa logica.

Le cassette alimentari sono fatte con i beni dei produttori locali e proprio in quest’ottica, ossia nella volontà di aggirare la grande distribuzione organizzata, le multinazionali e ridare fiato alla filiera corta e locale, è nato il GASP (Gruppo di acquisto solidale e popolare). Inoltre ogni persona che acquista dal GASP i prodotti, dona il 15% dell’importo speso alla spesa solidale, ossia alle cassette che vengono date alle famiglie in difficoltà.

Per quanto riguarda invece il rapporto con le famiglie beneficiarie della spesa, si è strutturato un percorso di integrazione e coinvolgimento organizzativo attraverso tre pratiche principali. Innanzitutto, bisogna però specificare che molti beneficiari hanno partecipato e partecipano alla lavorazione delle cassette nel giorno della consegna, la quale avviene il giovedì. Già questo è un momento di condivisione importante, ma come detto poco fa, sono tre le modalità principali da considerare:

– lo Sportello Sociale (già precedentemente attivato dagli OSA PG) che si occupa, attraverso l’ausilio di legali, delle pratiche legate alla richiesta dei vari Bonus (spesa e affitti) e offre supporto gratuito sulle questioni lavorative e abitative (la problematica della difficoltà nel pagamento degli affitti è risultata essere molto importante).

– il Centralino del Comitato, che gestisce le varie richieste di aiuto, smistandole nelle varie zone e inoltre ha realizzato una importante attività di inchiesta sociale, intervistando con dei questionari autoprodotti le famiglie che necessitavano di aiuto. Questo ha permesso di avere un quadro completo delle condizioni sociali ed economiche di determinati settori della popolazione della città, cosi da orientare, poi, il processo rivendicativo sulla base delle esigenze emerse con questo lavoro. Bisogna ricordare che, addirittura gli sportelli dei servizi sociali del Comune di Perugia, durante il lockdown, chiedevano aiuto al Comitato per rispondere alle richieste delle persone in difficoltà. La dice lunga sull’incapacità di risposta mostrata dal Comune governato da Romizi.

– le assemblee di quartiere: nelle quattro zone di riferimento della Spesa solidale, ogni soggettività ha cercato di costruire un processo di autorganizzazione e di democrazia diretta attraverso assemblee di quartiere (soprattutto con i beneficiari della spesa) in cui si decideva senza meccanismi di delega e in forma orizzontale quali iniziative compiere e dove si discute dei problemi più pressanti.

Dal punto di vista della dinamica più strettamente politica, il percorso del Comitato ha conosciuto delle tappe significative. Dopo il primo periodo di consegna della spesa solidale e dell’attività di inchiesta, si è deciso con le famiglie di mobilitarci per denunciare l’insussistenza delle risorse predisposte per il bonus spesa, così i primi di giugno è stato fatto un presidio in Centro a Perugia con le cassette alimentari vuote in segno di protesta. Subito dopo il presidio e gli articoli pubblicati dalla stampa locale, alcune persone hanno visto revisionata la propria domanda del bonus in senso positivo. L’Assessore alle Politiche Sociali Cicchi, probabilmente preoccupata della visibilità assunta dalla protesta, ha deciso prontamente di uscire sulla stessa edizione del TG Regionale (in cui era stato fatto un servizio sulla giornata) affermando che il vero problema era rappresentato dal lavoro che mancava e che prometteva risorse in tal senso.

Allora il Comitato, cogliendo la palla al balzo dopo queste dichiarazioni, ha organizzato con il protagonismo dei beneficiari della spesa, nelle settimane successive due scioperi alla rovescia. Lo sciopero alla rovescia è una pratica che veniva usata in passato – in particolare da Danilo Dolci in Sicilia – con la quale i disoccupati spontaneamente svolgevano come protesta lavori di pubblica utilità per rivendicare la necessità di risposte dalle istituzioni. Forma di lotta adottata negli anni anche in altre città da altri gruppi di disoccupati organizzati (come dal Movimento di Lotta dei disoccupati 7 Novembre di Napoli).

Con questi due scioperi, quindi, le stesse famiglie e i militanti hanno pulito due parchi lasciati al degrado denunciando una duplice situazione correlata: da un lato c’è una platea crescente dei senza lavoro che rivendica un reddito dignitoso per vivere e dall’altro ci sono spazi comuni abbandonati da restituire alla collettività che necessiterebbero di progetti finanziati dalle istituzioni locali di lavori di pubblica utilità prevedendo, però, contratti di lavoro dignitosi (non il baratto amministrativo o il lavoro coatto dei migranti).

Cosi il processo rivendicativo, dalla questione momentanea del bonus spesa, si è spostato al problema strutturale della disoccupazione (emersa anch’essa durante l’indagine compiuta). Nel frattempo, durante l’estate è uscito il bando Comunale per il bonus affitti.

Studiandolo, il Comitato si è accorto che presentava degli elementi di incostituzionalità (già indicati dalla Corte Costituzionale in una sentenza su un caso analogo), sollevati poi dai legali membri. Elementi che riguardavano i requisiti di accesso legati alla residenza prolungata nella Regione e che escludevano e discriminavano buona parte delle famiglie bisognose, in quanto straniere.

Oltre alla diffida inviata ai Comuni della Provincia di Perugia che avevano adottato questi requisiti, è partita una petizione popolare. Poco dopo è stato organizzato un nuovo presidio in città per denunciare quanto accaduto. La partecipazione è stata numerosa (tenendo conto che si è svolta a Luglio) e partecipata dalle famiglie stesse.

Nel frattempo, in tutti questi mesi, la spesa solidale è stata garantita ogni settimana, senza interruzioni.

Con queste pratiche e questa logica, il Comitato, ha tradotto il metodo del mutualismo conflittuale in città, fatto sostanzialmente di quattro linee guida: inchiesta, autorganizzazione, radicamento territoriale, rivendicazioni.

Il processo è recente e sicuramente necessita di tempo per rafforzarsi e diventare una forma di controllo popolare dei meccanismi decisionali dei governanti locali, ma la direzione sembra dare i suoi frutti, soprattutto nel senso della ricostituzione di forme di comunità nei quartieri periferici dove il tessuto sociale appare sempre più sfibrato.

Per approfondire: www.perugiasolidale.it
da http://effimera.org/lesperienza-del-mutualismo-conflittuale-del-comitato-perugia-solidale-di-operatori-sociali-autorganizzati-perugia/?fbclid=IwAR2SJhKwS2gte9tpR8ogQ68SCmFh9VaPmV717fjoIynR6joyR3dVk_OllTU



Operatori Sociali Autorganizzati Perugia


Inserito sabato 17 ottobre 2020


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