Alexandre Dumas e i Garibaldini
Alexandre Dumas (padre). Proprio lui, l'autore dei “Tre moschettieri” e del “Conte di Montecristo”. Il suo libro “I garibaldini” ci consegna un cronista d'eccezione che racconta la spedizione dei Mille
C'è una goletta con bandiera francese che dal mare segue la marcia di Garibaldi e delle camicie rosse dalla Sicilia fino a Napoli. E' “Emma”, il veliero di Alexandre Dumas (padre). Proprio lui, l'autore dei “Tre moschettieri” e del “Conte di Montecristo”. Il suo libro “I garibaldini” ci consegna un cronista d'eccezione che racconta la spedizione dei Mille. “Un raro esempio di cronaca contemporanea, riconosce Antonello Trombatori che nel 1982 cura e traduce il libro per gli “Editori Riuniti”. Nella Palermo appena liberata, quell'omaccione, che abbraccia Garibaldi, “è vestito di bianco ed ha in testa un gran cappello di paglia, adorno di una penna azzurra, d'una penna bianca e d'una rossa”. E' forte e reciproca la simpatia che unisce Garibaldi e Dumas. Eccolo all'opera il nostro cronista dopo lo sbarco di Marsala: “Avvicinatosi al telegrafo per eseguire l'ordine di tagliare i fili, il sottotenente mette in fuga l'impiegato che abbandona la minuta di un dispaccio così concepito: “Due piroscafi battenti bandiera sarda sono appena entrati in porto e stanno sbarcando uomini armati”. Il dispaccio è indirizzato al comando militare di Trapani. Mentre ne legge il testo, il sottotenente si accorge che stanno trasmettendo… “quanti sono e che vengono a fare?”. Ecco la risposta del garibaldino: “Mi sono sbagliato: si tratta di due mercantili carichi di zolfo provenienti da Girgenti”. Il telegrafo ricomincia a battere e dice: “Siete un cretino!”. Il sottotenente taglia i fili e torna dal generale Turr per il rapporto. Ed è proprio del generale Stefano Turr che Dumas ci parla a proposito di Santo Meli, un picciotto che si è unito a Garibaldi senza perdere il vizio di rubare appena l'occasione si offre. Sorpreso e riconosciuto proprio dal generale, stavolta rischia una condanna. “Credi che sarà fucilato?” chiede Dumas al generale. “Amico mio, risponde Turr, a Roma Garibaldi ha fatto fucilare un legionario che aveva preso trenta baiocchi ad una vecchia; Garibaldi non ha altra dote che due paia di pantaloni, due camicie rosse, due sciarpe, una sciabola, una pistola e un vecchio cappello di feltro; Garibaldi chiede in prestito un carlino per fare l'elemosina a un povero, perché carlini in tasca non ne ha mai; tutto ciò non ha evitato che i giornali di Napoli lo trattassero da filibustiere e quelli di Francia da pirata. Coi tempi che corrono bisogna essere tre volte puri, tre volte coraggiosi, tre volte giusti, per essere calunniati soltanto un po'. Seguendo questo comportamento può darsi che dopo dieci o dodici anni i vostri nemici comincino ad apprezzarvi, ma ce ne vorrà almeno il doppio perché ciò accada con coloro ai quali avete reso un servigio.” Dumas ricorda come Santo Meli viene sottoposto, per i suoi misfatti, ad un processo puntiglioso. Vuole anche non dimenticare i metodi “sbrigativi” della giustizia borbonica che, in particolare sotto la guida di Salvatore Maniscalco e i suoi sbirri, rielaborano e inventano “fantasiose” torture come il “berretto del silenzio”, una specie di sbadiglio traumatico o lo “strumento angelico”, una maschera di ferro che ingabbia la testa, la comprime per mezzo d'una vite e la frantuma così, millimetro per millimetro. “Mi hanno mostrato delle manette, dice ancora Dumas, che, per quanto esili siano i polsi destinati a sopportarle, non possono chiudersi senza penetrare nelle carni fino all'osso”. Intanto che il proprietario dell'Emma a bordo scrive i suoi resoconti, la goletta trasporta fucili e munizioni e, ormai Napoli vicina, imbarca alcuni sarti della città per cucire camicie rosse. E' proprio sull'Emma che salirà clandestinamente Liborio Romano, ministro di Francesco II, per elaborare una strategia di ingresso in città di Garibaldi senza sparatorie e spargimento di sangue. Operazione questa di cui Alexandre Dumas si dimostrerà particolarmente orgoglioso. Ecco come scrive a Garibaldi : “In nome del cielo, amico mio, non più un solo colpo di fucile! Non serve, Napoli è vostra. Venite subito a Salerno e,appena arrivato, avvertite Liborio Romano; o verrà a cercarvi a Salerno con una parte dei ministri, o vi aspetterà alla stazione di Napoli. Venite senza perdere un minuto. L'esercito non vi occorre: il vostro solo nome è un esercito…”. E' a mezzogiorno che Garibaldi arriva in treno a Napoli in quella mattina di settembre, tende la mano a Liborio Romano ringraziandolo di aver salvato il Paese. “Fuori della stazione, attendevano le carrozze, quella dove salì Garibaldi si mise alla testa del corteo e trottò verso Napoli…. cappelli e mazzi di fiori volarono in aria. Da tutte le finestre che davano sul palazzo d'Angri le donne agitavano i fazzoletti, si sporgevano fuori, a rischio di precipitare in strada”. Napoli 14 settembre 1860: “Il signor Dumas è autorizzato a occupare, per la durata di un anno, il palazzetto Chiatamone, nella sua qualità di direttore degli scavi e dei musei. Firmato Giuseppe Garibaldi". Ecco mantenuta quella promessa che si erano fatta il giorno della liberazione di Palermo. (dalla rivista l'altrapagina, luglio-agosto 2020, p. 62)
Maria Luisa de Filippo e Giorgio Filippi
|