Perugia, dai vicoli alla pinacoteca... cioè, la Galleria
Chiusa per le restrizioni dovute alla pandemia da Covid, il 28 maggio è stata riaperta e aspetta che i perugini vadano a trovarla. Spero che saranno in tanti a farlo
(Foto Marco Giugliarelli) In Italia viviamo in un paese nel quale vita quotidiana delle persone, storia e arte entrano l'una nell'altra. A Perugia quest'intreccio è percepibile andando a piedi per il suo bellissimo gomitolo di vicoli dai nomi altrettanto belli: via deliziosa, chiara, della loggia, orso etc. Un intreccio di logge, volte, scalette, portali, piazzette, edicole, tetti dalle linee sghembe che sembrano volersi toccare e fanno intravedere lame di limpido azzurro. Vicoli che sbucano in piazze con chiese monumentali tuttora ricche d'opere d'arte anche se prive di quelle prese da Napoleone, dai Papi, finite vendute o, per fortuna, nella Galleria nazionale dell'Umbria. Quest'ultima, chiusa per le restrizioni dovute alla pandemia da Covid, il 28 maggio è stata riaperta e aspetta che i perugini vadano a trovarla. Spero che saranno in tanti a farlo muovendosi tra le sue sale con lo stesso spirito e facilità con i quali si muovono (o dovrebbero muoversi) a piedi per la loro città. Guardando prima la Fontana, le facciate e il portale del Comune, rivolgendo un saluto e un pensiero affettuoso al Grifo e Leone per poi salire fino alla cima del Palazzo dei Priori. A quel punto entrino come quando rientrano a casa loro abbandonando fuori dall'uscio timori reverenziali e senza la preoccupazione di sapere o non sapere d'arte. Pensando, invece, che i musei non sono nati per gli esperti o per intimorirci e neppure per essere valorizzati ma per valorizzarci, arricchire la nostra anima, le nostre conoscenze, renderci cittadini migliori e consapevoli di sé. Achille Bonito Oliva ha scritto che “l'opera d'arte non può esistere senza lo sguardo dello spettatore”, e da spettatore tra le sale della Galleria bisogna avere mente sgombra, cuore disponibile, occhi aperti lasciandosi guidare verso un'opera dalla curiosità, dai colori, dalle forme, dal desiderio di carpirne alcuni segreti. Dopo averla guardata leggete la targhetta che l'accompagna, riporta il nome di chi l'ha fatta e da dove proviene. È probabile che vi condurrà in un luogo che custodisce qualche vostro ricordo o in chiese e conventi sparsi nella bella campagna umbra vicino ai quali siete passati senza aver idea di cosa avessero contenuto. Oppure davanti ai magnifici marmi della Fontana di Arnolfo di Cambio vi capiterà di pensare “la Fontana si chiamerà Maggiore perché in fondo alla piazza c'era questa più cinina?”, mentre vedendo il dito indice della Madonna di Duccio indicare in basso chiedervi “che indica?” fantasticando su cosa c'era sotto: “un Tabernacolo? Cristo in croce? una Resurrezione?”. Mi raccomando occhieggiate da qualche finestrone si vedono i vicoli perugini dall'alto, e prima di sentirvi stanche o stanchi uscite. Non ve l'ha ordinato il dottore d'andarci, siete lì per piacere. Prima che il piacere finisca è meglio salutare tutto quel ben di Dio e uscire con la voglia di riprovarlo, di tornare un'altra volta a passeggiare lì dentro per vedere il resto o guardare meglio qualcosa che vi ha colpito. Insomma tirate fuori dal male del virus il bene della frequentazione con la Galleria. Anzi, vi consiglio di chiamarla familiarmente Pinacoteca come facevano i perugini fino a qualche anno fa. S'entra con più facilità in confidenza con lei e più compiutamente s'ascolta la storia, la nostra storia, che le opere esposte continuano a raccontare. Io la chiamo Pinacoteca, di storie me n'ha raccontate e racconta così tante che manco io so quante.
Vanni Capoccia
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