Una festa d'aprile...
...se questo è un fiore… oggi andiamo, vi conduco ancora io se a voi non dispiace, a fare una nuova camminata virtuale
Domenica, 26 aprile 2020. “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. (Pietro Calamandrei) Dopo la ricca e bella scorpacciata di BELLA CIAO, ieri 25 aprile, un venticinque aprile resistente, oggi andiamo, vi conduco ancora io se a voi non dispiace, a fare una nuova camminata. Una sorta di Attravers…Arna inaspettata, diversificata, o un Amici di Manlio fuori stagione, primaverile, un Naturavventura atipico, curiosità e conoscenza, tra olivi con i primi incerti fiori e ginestre ancora dormienti… una domenica di festa, non lontano dalle colline di Capitini, con il suono delle campane, lontano e amico, il capriolo che intimorito fugge, correndo saltando, il biacco adagiato al primo caldo sole sui tronchi di legno abbattuti, timorose farfalle, bianche, gialle, fiori variopinti, tanti e poi tanti - è il loro momento -, con i suoni e i colori, i sapori e gli odori, della natura arnate… E partiamo, come sempre, dal piazzale della chiesa di Pilonico Paterno. Seguitemi dunque. Ci incamminiamo lungo la strada interpoderale in direzione nord-est in leggera salita. Alla nostra sinistra spicca la torre di C. del Castello. Passiamo sotto Le Balze e superiamo, poco sopra, C. Carletti (Pod. Col di Gra), e scendiamo alla sorgente - intrigante è il luogo, semiselvaggio, nascosto, degno di un’avventura salgariana – che alimenterà il Fosso Brina che si immetterà sotto il Pod.e La Brina nel Rio Piccolo (Rio d’Arna). Da qui un sentiero – e tutti in fila indiana è necessario esserlo – scende a sinistra, supera il fosso, si immette in una distesa prativa in leggera pendenza. Non c’è nessuno. È silenzio. È bello il silenzio. Risaliamo. Ora evitiamo strade e stradelli e, scoprendo nuovi passaggi – sali scendi risali riscendi -, aggiriamo C. Bruciata ed eccoci al Nerbone, a Palazzo Nerbone. È una antica casa padronale. Ipotizzo che la sua costruzione risalga all’Ottocento. Nel tempo ho chiesto a molti abitanti del territorio le origini, la storia di questo grande palazzo. Nessuno mi ha saputo dare spiegazioni al riguardo. Questo bel palazzo è su tre piani. È circondato da ricca vegetazione arborea, con angoli di giardino riposanti, riparati. C’è il forno, un piccolo lavatoio, una spenta ma accattivante fontanella, e più sotto, nel campo, si intuisce un pozzo. La struttura è sita sulla str. Nerbone Lanciafame Casella (già Str. Vic.le Campolungo). Anni fa venne riadattata, due cancelli la chiusero ai curiosi, il (nuovo) proprietario la affittò ad alcune famiglie (si intuiscono almeno tre situazioni abitative, grazie alle tre porte, con nuova numerazione, presenti, site al primo e al secondo piano; al piano terra cantine, ripostigli, altro). Oggi palazzo Nerbone appare disabitato. Ma resta imponente. E la presenza di una grande cappella, una chiesetta vera e propria, ne risalta l’importanza e la laica “sacralità” di un tempo andato. Non conosco l’etimologia del nome. E niuno mi seppe mai spiegarne l’origine. Mi invento. Che sia stato così chiamato per la forza, la vigoria, la fibra, il nerbo dell’antico proprietario? Illazioni!? Può essere, ma tant’è. Una bomba nel 1945 avrebbe colpito un casolare lì attorno, tra Nerbone (mai lesionato più di tanto), Casella, Casabella I e Casabella II, credo. Non vi è traccia né memoria di ciò in quei pochi abitanti intervistati. Ma continuiamo il nostro percorso, lungo la strada vicinale già del Nerbone, per l’appunto. Il Rio del Bosco è ora già Rio Piccolo. È alla nostra destra ma subito lo scavalcheremo lasciandolo scendere a sinistra, a sud-ovest, verso il Tevere. Superiamo la Strada (comunale) delle Selvette (ora SP del Piccione) e, all’altezza di C. Cerrocupo (o Cervocupo?) seguiamo l’itinerario di una strada virtualmente ancora di mappa ma ormai arata, stravolta, resa evanescente. Costeggiando campi lavorati rieccoci sul vecchio percorso per giungere proprio dinanzi l’abside di S. Giustino. E qui d’obbligo una sosta. In altre circostanze abbiamo potuto visitarla per intero. Oggi la rimiriamo dall’esterno e vi racconto un po’ di storia. L’Abbazia di San Giustino d’Arna (Perugia)
L’Abbazia di San Giustino d’Arna, sita a una quindicina di Km. a nord – nord est del capoluogo umbro, costituisce il primo insediamento templare di Perugia. A poco più di un centinaio di metri a oriente dell’Abbazia scorre il Rio Piccolo, già Rio d’Arna, che scende dagli alti colli della Fratticiola e si immette nel Tevere più o meno all’altezza (ma di fronte) dell’Ansa degli Ornari, dopo avere percorso tutta la stretta vallata di Pilonico Paterno e poi quella più ampia sottostante Civitella d’Arna (la costeggia nel suo lato nord – occidentale) per attraversare infine il contado di Lidarno. L’Abbazia è posta dunque ai limiti estremi nord – orientali del territorio d’Arna, la antica città umbro – etrusco – romana il cui centro sorgeva ove oggi è collocata Civitella d’Arna. LA STORIA San Giustino nasce come abbazia benedettina dalla quale dipendevano, sembra, non meno di trenta chiese: “furono i monaci benedettini a fondare il monastero di S. Giustino d’Arna verso la fine del medioevo; il convento visse un periodo di notevole splendore economico come centro operativo di un vasto territorio agricolo denominato ‘Massa d’Arna’, appartenente al Papa”. L’Abbazia di S. Giustino, contemporanea a quella sita a Montelabate, toccò il massimo splendore nel XII secolo. Si narra che questa abbazia fosse in lite con quella, appunto, di Montelabate, per il possesso del colle del Farneto (tra gli attuali Piccione e Colombella); un giorno, sembra nel 1218, l’Abate di S. Giustino si recava a Montelabate per cercare di redimere la lite, quando incontrò S. Francesco e si raccomandò alle sue preghiere. Il Santo si pose in ginocchio e pregò per lui tanto che l’abate stesso tornò indietro e regalò a Francesco il colle del Farneto. La cosa venne accettata allora anche dall’abate di Montelabate e ritornò la pace tra le due abbazie (quando il Monastero, o Abbazia, di S. Giustino andò in rovina, nel XV secolo, e la chiesa restò senza culto, le reliquie del Santo titolare furono trasferite temporaneamente a Farneto). Si dice che l’area dove sorge la chiesa ed il complesso annesso fosse ai tempi dei tempi ricoperta da una estesa palude (la medesima chiesa sorse, sembra, sopra una palude); furono proprio i benedettini a bonificarla (a fianco e connesso alla chiesa vi è un vano ove si possono apprezzare due rimesse per altrettante chiatte che tra il XII e il XIII secolo servivano per i lavori di risanamento della zona). Collocata lungo una importante via percorsa dai pellegrini, l’Abbazia prosperò, dunque, sino all’inizio del XIII secolo; ma, da quest’epoca, cominciò la sua decadenza, tanto che il Papa di allora, Gregorio IX, la affidò all’Ordine dei Templari. Quando infatti il monastero benedettino di S. Giustino passò nelle mani dei templari (aprile 1237 o 1238?), le sue condizioni economiche erano disastrose. Pochi mesi dopo, nel corso del medesimo anno, sempre Gregorio IX nominò fra’ Amerigo (dell’Ordine del Tempio) precettore di S. Giustino e in breve tempo i templari, grazie alla loro organizzazione, riportarono la prosperità nel monastero e un suo monaco, fra’ Bonvicino, fu nominato cubiculario papale (una sorta di segretario) che svolse tale funzione fino al 1262 (servendo di fatto sotto cinque Papi diversi). Nella chiesa attualmente, e più precisamente nella cripta (che secondo alcuni era la chiesa originale sorta sulle paludi presenti nella zona), permangono un paio di elementi o tre che testimoniano il passato templare di codesta struttura. Scrive il Riganelli (riprendendo dal Tommasi) che “questa rinascita dovrebbe potersi ascrivere all’apparato amministrativo di cui poteva disporre tale Ordine, che pare abbia potuto avvalersi di alcuni «laici provenienti dall’ambiente perugino e scelti nella cerchia dei clienti e consorti del Tempio», i quali «coadiuvavano i monaci – soldati nell’opera di conduzione» del patrimonio agricolo [i Templari crearono infatti una serie di precettorie rurali capaci di produrre quanto serviva in Terra Santa per la sopravvivenza dei cavalieri impegnati in prima linea nel compito di proteggere i pellegrini. Queste precettorie, dette ‘grangie’, erano delle fattorie dove lavoravano direttamente gli affiliati all’Ordine secondo il modello benedettino cistercense; a capo di queste aziende agricole c’era in genere un Cavaliere Sergente e il lavoro dei campi era affidato ai ‘Fratelli di mestiere’ che coltivavano cereali e legumi e allevavano maiali, pecore, buoi e cavalli]”. Nel “MEDIOEVO RURALE PERUGINO” del Riganelli si possono leggere gli avvenimenti che accaddero in quel territorio e in quel monastero nella II metà del XIII secolo. Sta di fatto che “dal 1283 al 1303 San Giustino venne sottratta con la violenza all’Ordine del Tempio e solamente dopo una ventina d’anni di ‘scaramucce’ e grazie all’intervento di Benedetto XI i Templari poterono riprendersi l’Abbazia nell’ottobre, per l’appunto, del 1303. Ma le vicissitudini non cessano tant’è che nel 1312 l’Ordine dei templari viene soppresso e dall’estate del 1316 i Cavalieri di Malta (gli ‘Ospedalieri di S. Giovanni Gerosolimitano’) presero possesso del monastero”. Ma già nel 1341 i Cavalieri di Malta furono cacciati da una rivolta capeggiata probabilmente da monaci benedettini che volevano rientrare in possesso del loro antico patrimonio. Le lotte sulla proprietà di S. Giustino andò avanti per un’ulteriore decina di anni sino a che un altro papa, Clemente VI, fece rientrare i Cavalieri nel loro possedimento. Ma la storia che s’intreccia di aspetti curiosi, ci consente di “osservare come, nell’evolversi degli avvenimenti di quei periodi, tra il 1349 e il 1389, fuoriesca dalle ingarbugliate vicende l’abate valpontese Paolo (di S. Maria di Valdiponte, leggi Montelabate), che ricevette l’incarico di rivendicare i diritti sull’Abbazia di S. Giustino, ed egli, come vicario generale, riuscì a redimere le questioni fra i monaci del Monastero, i Cavalieri di Malta (i Gerosolimitani) ed il vescovo di Perugia, che nel frattempo aveva usurpato la giurisdizione sulle chiese unite dell’Abbazia di S. Maria di Valdiponte, su quella di S. Giustino e su quella di S. Stefano in Arcellis della non lontana Valfabbrica, e far sì che la chiesa di S. Giustino tornasse sotto la tutela della vecchia matrice”. Tutte queste contese per la proprietà della Commenda (nel frattempo erano comparsi gli abati “Commendatari”) derivavano dalla ricchezza delle terre in suo possesso e dal fatto che nel 1578 (come corrono gli anni!) da essa dipendevano ancora quella trentina di chiese, di cui si diceva all’inizio, con le loro relative ricchezze. Nei secoli successivi la Commenda perse il controllo di molte chiese tanto che nel 1766 ne controllava solo sei. Oggi S. Giustino è un’azienda agricola di proprietà (pensate un po’!) del Sovrano Ordine Militare di Malta. L’ARCHITETTURA Del complesso antico monastero, oggi resta soltanto la suggestiva chiesa romanica, di pietra squadrata, con un portale ad arco acuto, che è stata ristrutturata nel 1933 (e riaperta al pubblico, previo avviso al custode, nel 2004, dopo i lavori di restauro seguiti ai terremoti del 1984 e del 1997). La chiesa è dotata di un presbiterio rialzato a doppia navata (ma ‘unica nave la parte anteriore della chiesa con tetto a capriate’) al quale si accede attraverso due scalinate parallele, ove spicca un affresco del XV secolo raffigurante il martire S. Giustino vestito da monaco benedettino e la macina al collo con la quale venne annegato. Si dice che S. Giustino sia stato affogato nelle paludi medesime della zona ove poi sorse la chiesa e quindi l’abbazia; altre fonti lo dicono affogato nel non lontano Tevere (si ignora peraltro la motivazione, anche in virtù del fatto che non bene è stata individuata la figura di tale Santo). Vi è inoltre una cripta ad archi con colonne e capitelli raffiguranti esseri mitologici. Tale cripta, forse antecedente all’anno mille, ha tracce di un affresco della prima metà del trecento raffigurante una crocifissione; sull’altare (in pietra serena sagomato ad anse rientranti), in una teca di vetro, sono conservate le reliquie di S. Giustino (ma solo in parte; altre sono nella chiesa di S. Maria di Pilonico Paterno). Controversa rimane l’identità del santo. C’è chi lo crede un presbitero martirizzato sotto l’imperatore Decio, a. 249 – 250, quando i Cristiani rimasero fedeli a Cristo, quantunque minacciati di morte e della confisca dei beni, e c’è chi lo pensa un monaco benedettino, ma non va confuso con il S. Giustino dell’omonimo Comune a nord di Città di Castello (un martire che si convertì al Cristianesimo all’epoca degli imperatori Antonio Pio e Marco Aurelio tra il 138 e il 180). Interessante è l’esterno dell’abside: è infatti a due ordini di archetti (motivo frequente nel romanico), con esili colonnine scanalate e in cima il bizzarro campaniletto a ventaglia, coronato da alcuni cipressi. Piaciuta la storia? Adesso è ora di ripartire. Proseguiamo così lungo la Strada Vicinale S. Giustino sino a Farneto. A destra un filare di pioppi (“con le loro tremule foglie…”) costeggia in parte il Rio Grande, a sinistra, lassù, Colle Tecchio domina il nostro cammino. Giunti a C. Nuova (Pod. C. Grande) ci incuneiamo in un forse dimenticato sentiero che, in mezzo ad una fitta macchia (tanti sono i ciclamini), ci permette di raggiungere senza troppa difficoltà la carrareccia che dalla SP del Piccione porta ad Ayale sino al Voc.lo Anna Maria. A destra abbiamo il Voc.lo Yasmine, sotto i laghetti di Ayale, a sinistra Voc. Coltecchio. Seguitiamo lungo questa facile carrareccia e, piano piano, scendiamo in direzione sud, superiamo Palazzo Ayale, la Palazzetta, sino a Pod.e Bonacheto. A sinistra, se ci fermiamo un attimo o due e osserviamo, ecco il campanile della chiesa di Pilonico con le quattro strutture abitative circostanti, in mezzo agli alberi, olivi, rare querce e salici, cipressi, e sopra la piana sommità del monte Pilonico. Da Bonacheto scendiamo a C. Sabbione, proseguiamo in direzione est, superiamo la solita SP del Piccione, e, oltre il Pod.e Bischera (alla nostra sinistra sulla Str. Com. per Pilonico Paterno), eccoci al fine della nostra “gita”. In piazza. E adesso?
Daniele Crotti
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