Andar per asparagi il giorno di Pasquetta (pur restando a casa)
Dedichiamo questa giornata ad una bella “scampagnata” in quel di Pilonico Paterno. Staremo fuori tutta la giornata
(nella foto, il castello di Pilonico Paterno) Indicato da Dioscoride, Galeno e Celso che lo consigliavano come diuretico e lassativo, l’asparago è indicato per diminuire la glicosuria nei diabetici, nei casi di gotta, di idropisia di origine cardiaca, di calcolosi renale, di reumatismi, negli eczemi… Il selvatico o pungente, Asparagus acutifolius, è il vero asparago selvatico (la specie spontanea più diffusa e apprezzata nel nostro Paese). L’Asparagus tenuifolius è la specie più rara rara che vegeta soprattutto nelle faggete e a volte la si trova presso i vecchi oliveti. Il comune è l’Asparagus officinalis: identifica l’asparago coltivato, ovvero quello che troviamo nei banchi dell’ortofrutta. L’asparago comune si trova spesso inselvatichito. Secondo gli studi più accreditati, venne raccolto dai Romani a partire da piante selvatiche da cui, in seguito, sono derivati i ceppi più adatti per la coltivazione. La presenza di fosforo e di vitamina B lo rende indicato nei casi di astenia; il manganese e la vitamina A esercitano un drenaggio del fegato (con effetti benefici vari); i nitrati in esso contenuti depurano il sangue (la pelle ne trae vantaggio). E poi l’asparagina, tanti sali, vitamine… Insomma l’asparago “fa bene”. E la sua applicazione in cucina è vasta, nonostante sovente ci si limiti a frittate o comunque l’abbinamento con le uova (peraltro variamente interpretati e realizzati), o a primi piatti (pasta corta o pasta lunga?), meglio se senza eccessive aggiunte di altri ingredienti. Io vi suggerisco un’insalata, se avete una quarantina di minuti a disposizione (sicuramente sì in tempi di quarantena). Ingredienti per 4 persone: 1 kg di sparnaci – 2 mazzetti di cicoria – 1 cucchiaio di prezzemolo tritato – 1 uovo sodo – 1 cucchiaio di aceto bianco – 8 cucchiai di olio extravergine di oliva – sale q. b.
Lavare gli asparagi e accorciarne razionalmente i gambi (lo sapete come si fa? Ve lo dirò a voce alla prima occasione utile). Legarli a mazzetti e farli lessare in pentola con acqua in ebollizione poco salata (appena bolle l’acqua, immergeteli diritti per 1-2 minuti). Scolarli e passarli sotto l’acqua fredda. Spezzettarli. Mondare, lavare, asciugare bene la cicoria e tagliarla a fettuccine. Metterla nell’insalatiera con pochissimo sale. Sopra porvi gli asparagi come prima preparati. Spolverizzare con il prezzemolo tritato. Versare sopra infine l’uovo sodo tritato con olio, aceto bianco e un pizzico di sale. Buon appetito Dedichiamo questa giornata ad una bella “scampagnata”. È tempo di “pasquetta”. Staremo fuori tutta la giornata «Saliremo al monte Pilonico, e dal monte Pilonico scenderemo, percorreremo il “sentiero delle ginestre”, arriveremo al combarbio di Lanciafame (fondamentale per le escursioni “alte” di Pilonico in terra d’Arna), saliremo a Coldericoli, scenderemo e attraverseremo il rio del Bosco, passeremo per Casella e per il Nerbone, attraverseremo il rio Piccolo e saliremo a Colle Tecchio, conosceremo Aiale e i suoi laghetti, sosteremo davanti al Castellaccio». Sarà così un percorso bizzarro, con soste nei punti più suggestivi, con merenda a base di torta al formaggio e affettati misti, un bicchiere di rosso e di bianco fresco di borraccia, acqua di fonte a volontà. Mele all’occorrenza.
E raccoglieremo asparagi Tra un gregge mansueto con tanti agnellini scampati all’inutile massacro, i caprioli con il loro camminar saltando, un leprotto, la povera volpe, fagiani e fagiane, il rosso inteso come scoiattolo nostrano, volatili pasquali e non soltanto… oggi racconteremo “Palazzo Ayale” e parleremo del “Castello di Pilonico”. Mentre il primo racconto si basa essenzialmente su interviste orali, il secondo è più approfondito basandosi soprattutto su ricerche bibliografiche. Va da sé che l’abbinare le due formule può portare a sviluppi conoscitivi assai più ampi e suggestivi. Lo vedremo, in parte, lo impareremo, nel corso della camminata, della giornata, parlandone di volta in volta, senza voler essere prolissi o noiosi. Però… Palazzo Aiale: breve storia raccolta oralmente Una incisione in una vecchia pietra riportava una data, quella del 1708, a dire che questo fu probabilmente l’anno in cui il Palazzo Aiale fu costruito o, comunque, risistemato o ristrutturato o modificato; questo non è facile intuirlo o saperlo. È comunque situato appena sotto e a sud-est del colle che in vecchi documenti è citato come Colle Tecchio [secondo altri corrisponderebbe a questo; ma dubito visto che l’antico Colle Tecchio è oggi mappato come C. o Voc.lo Coltecchio]°. Dal 1880 circa, Aiale, da sempre azienda agricola, con numerosi poderi e svariati ettari, coltivati a olivi, viti, grano, granoturco e/o altri cereali, e, più tardi, anche tabacco (ora questo non più), è di proprietà della nobile famiglia perugina degli Ansidei. Da questi passa alla famiglia Cucchia, originaria del Bosco; fu infatti venduto direttamente a ‘Gigetto’ Cucchia. L’attività agricola proseguì con loro sino a che nel 1932 fu acquistato dal ‘russo’ Abramo Krachmalnikoff, detto Krach. Con lui verosimilmente l’azienda si espanse sino a raggiungere i 12 poderi, dagli 8 prima esistenti. In altre parole la proprietà del Krach era di circa 150 ettari o forse più. Allora nel Palazzo Aiale, i proprietari abitavano il piano terra, al primo piano ci stava il fattore, e il terzo piano era adibito a granaio e poco altro. La chiesetta lì a fianco era da sempre esistita, tant’è che sino ad alcuni decenni addietro, la sera del venerdì santo partiva una processione, detta del “Cristo morto”, la cui croce era portata a spalla dagli uomini. Il crocefisso giaceva nella chiesa di S. Maria di Pilonico e veniva trasportata nella chiesetta di Aiale il giorno avanti, il giovedì santo. Dalla chiesa di Pilonico, sempre la sera del venerdì prima della Pasqua di Resurrezione, partiva il corteo di donne con l’effige raffigurante la Madonna col Bambino. Suggestive e ricche di lumi e luminarie erano queste due processioni, processioni che si incontravano a metà strada, più o meno all’altezza ove ora vi è il bivio che, dalla Strada Provinciale del Piccione, imbocca la Strada Comunale di Pilonico Paterno. Qui donne e uomini insieme cantavano vari canti liturgici e poi sia la “croce con il Cristo” che “l’effige della Madonna” venivano riportate nella chiesa madre di Pilonico. Nel 1932, come detto, e per la precisione il 4 maggio, la tenuta di Aiale viene comprata dall’attivissimo Abramo Krachmalnikoff, Krach per i suoi contadini, che la terrà sino al giugno del 1973*. Abramo ebbe tre figli: Leone, che giunse in Italia con il padre e la madre dalla Russia (allora già Urss) all’età di 1 anno (era del ’19), Vittorio, il secondogenito, nato in Italia nel 1920, e Marisa, detta Anna Maria, nata a Perugia nel 1930. Leone ebbe un figlio, Alessandro; Vittorio ebbe due figli, Anna e Alberto (anche quest’ultimo detto Krach, o, meglio, Crac*); Marisa ebbe due figlie, Yasmin (o Yasemin) e Deniz. Il vocabolo Yasmin deve così il suo nome al nome della nipote di Abramo (ora il vocabolo è disabitato, ma fu abitato sino ad alcuni anni fa dalla famiglia Moretti-Tomassini), mentre l’abitazione ove tuttora vivono i Tomassini si chiama Vocabolo Anna Maria, in onore al nome della figlia del primo Krach. Mentre il vocabolo (un vocabolo è costituito dalla casa con la stalla al piano terra, gli “stalletti”, ovvero la porcilaia, ed un fienile; in caso può essere presente anche un silos), mentre il vocabolo Annamaria, dicevo, venne costruito nel ’36, il Vocabolo Yasmin venne costruito successivamente, nel ’56. Al vocabolo Anna Maria vi dimorò dal 1937 al 1967 Terzilio Caponi (già Capponi, ma poi diventato Caponi causa disguidi di registrazione comunale); sino al 1973 continuò a risiedervi un fratello, anno in cui venne acquistata dai Tomassini che vi si insediarono però soltanto nel 1996, a fine ristrutturazione (trasferendosi dal vocabolo Yasmin). Nel 1973 Palazzo Aiale con la sua tenuta agraria fu acquistato da Alfredo Mignini (classe 1932), imprenditore di Bastia U. (PG), che ha avuto un figlio maschio e tre femmine, di cui Stefania (sposata con tal Paoletti, detto “l’ingegnere”) è quella che attualmente di fatto segue l’azienda di famiglia e viene talora a dimorare qua, nel palazzo ormai da alcuni anni ristrutturato, soprattutto internamente. La chiesetta non vi è più; la struttura è infatti da tempo adibita a uffici, in cui il Sig. Carlo Corbucci gestisce la azienda e tenuta agricola dei Mignini stessi. [NB: La struttura e la tenuta sembra essere da poco tempo posta in vendita; 2019]. Fattore della tenuta dei Mignini, oggi proprietari di Aiale, è stato sino al 1964 Nizzi Giulio, deceduto sul lavoro travolto dal proprio trattore in quell’anno. Dal 1965-66 fattore è stato Tomassini Gisberto, sino agli anni ’80, quando andò in pensione. La mezzadria era nel frattempo finita, per cui il sistema cambiò e tuttora è cambiato completamente. Ma questa è un’altra storia. [Un passo indietro. Gisberto Tomassini sposò Elia Moretti, la cui madre, Erminia, era la sorella di Pio Freddio, padre di Geremia, e nonno di Italo, Domenico (detto Mimmo) e Bruno (deceduto), Freddio. In precedenza, la casa padronale dei Freddio (da Pio in giù) era di proprietà della famiglia Sarti, già allora con i cinque poderi, poi perduti ai tempi di Geremia Freddio. Senza entrare nel merito, che si può prestare a antipatiche maldicenze, capitò che abitazioni e poderi passassero di mano in mano, anche in seguito a disgrazie o perdite al gioco o per altri motivi. Vi è un detto che recita: “la prima generazione acquista, la seconda mantiene, la terza generazione squista”, ovvero “vi è chi acquista una tenuta, chi la mantiene e chi la perde”]. Per quanto riguarda i laghetti artificiali di Aiale, quello inferiore è il più grande e fu realizzato nel 1954, mentre quello superiore, più piccolo anche se apparentemente più grande, fu realizzato negli anni ’60. Sono in parte alimentati dalle acque piovane, ed in parte da una sorgente di acqua sita poco sopra, sotto un paio di bellissimi lecci, acqua che vien dapprima raccolta in un vascone e da qui, attraverso una tubazione sotterranea, raggiunge il laghetto più in alto. Tale acqua, ora usata ad uso irriguo, un tempo, anche in quanto potabile, era utilizzata, tramite condutture, per dissetare gli animali delle stalle e gli abitanti di Palazzo Aiale medesimo. (Intervista raccolta da Daniele Crotti il 17 maggio 2011. Informatori: Terzilio Caponi (classe 1928), ora residente a Colombella; Elia Moretti (classe 1924), ora residente a Pilonico Paterno). ° Giovanni Riganelli. Medioevo rurale perugino. Comune di Perugia, 1989 *Alberto Krachmalnikoff: Storia della famiglia Krachmalnikoff. In: diomede 2007, n° 6, 79-92 Di là Aiale, di qua Pilonico; tra le due serie di collinette la vallata principale che dal Piccione porta all’incrocio con la ex SS di Valfabbrica, poco dopo “Righetto del cucco” (l’esercizio già spaccio poi bar alimentari in terza generazione è ormai non più attivo), ove il territorio di pertinenza di Pilonico finisce. Il Castello di Pilonico Paterno: quello che sappiamo “Castello, ora diruto, circa otto miglia di fronte da Perugia dalla parte di Levante vicino al Rio Piccolo” (da un documento forse dell’800, fornitomi da Giuseppe Vicarelli Saluzzo, residente a Montecapanno). Leggete, per favore, questo scambio (avvenne anni fa ormai) tra un inesperto (DC) e un’esperta (LRB). “Secondo una tradizione si fa derivare il nome di questo castello dal dio etrusco Pilumno (Pilumnus), divinità celebre tra queste popolazioni, ma venerato particolarmente dai perugini: questo fa supporre che in quel luogo esistesse un tempio a lui dedicato (D. C.)”. “Per quel che ne posso sapere io, più che di una tradizione si tratta di una leggenda popolare: non esiste nessuna divinità etrusca con questo nome, tanto meno venerata dai perugini e non si deve supporre alcun tempio. Ma quali sono le fonti? (L. R. B.)”. “Sul Vocabolario di Latino-Italiano di Castiglioni-Mariotti (non so l'anno perché è un vecchio, ma non poi troppo, dizionario rilegato) alla voce Pilumnus corrisponde: antica divinità italica, congiunta a Picumnus (antica divinità laziale), protettrice delle partorienti e dei neonati (D. C.)”. “Se viene data come eventuale divinità italica, perché parlare di una divinità "etrusca" o "romana" o addirittura di un tempio? È sempre meglio riferirsi alle fonti dirette. Di certo, Pilumnus non potrebbe avere dato esito: Pilonico. Questo mi sento di dire in base alla storia di altri toponimi. Più accettabile l'ipotesi del nome di un proprietario" (L. R. B.). Altra ipotesi è che l’etimo derivi da tale Pilonicus, antico feudatario e che Paterno sia stato un termine ereditario [lascito per via paterna; di questo mi accennò Renzo Zuccherini. Ma debbo riportare quanto agli inizi degli anni ’90 la signora Assunta Freddio, residente a Pilonico Paterno, e scomparsa nei primissimi anni del nuovo secolo, mi disse, ovvero che l’ultimo discendente della famiglia “Pilonico” o “Pilonicus” abitasse in Austria e che svariati anni addietro fosse passato a vedere quei luoghi]. Pilonico Paterno e Pilonico Materno sono situate in modo diametralmente opposto rispetto a Perugia e alla medesima distanza dalla città: che siano stati così denominati (al di là della divisione “familiare”, vuoi un lascito vuoi un grave litigio [vox populi, dal sottoscritto raccolta]), per un controllo (nel medioevo? Ma quale medioevo?) delle vie regali provenienti una da Ancona e l’altra da Orvieto? [testimonianza orale raccolte dallo scrivente]. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella (e forse è la più plausibile), di cui mi parla sempre (ed anche) lo Zuccherini di cui sopra, che la parola Pilonico derivi da “pila” o “pilus”, parole latine che starebbero a identificare un confine; la parola italiana “pilo”’ (forse derivazione del latino pilus) può significare anche “pilastro”, pilone, che a sua volte potrebbe delimitare un confine. Ecco allora che potrebbe essere spiegato che i due Pilonico fossero a guardia di un confine, ossia salvaguardassero, per esempio, il cosiddetto “corridoio bizantino” che permetteva di unire Roma e Ravenna (una fascia di una trentina di chilometri che da Todi passava per il perugino, nella fattispecie anche il territorio d’Arna per arrivare a Gubbio e da qui a Ravenna. Chissà!). [NB: il testimone storico Leone Ostiense narra che l’imperatore Ottone, di ritorno da Ravenna, per riprendere l’assedio di Roma, mori a 23 anni proprio a Pilonico nel 1002 (ma il cadavere venne riportato subito in Germania scortato dalle sue truppe)].
«Interessante peraltro vi può essere un’altra ipotesi, seppur improbabile. Navigando (anche) in Internet scopro che Pilonico (Paterno) viene definito, in un “sito”, Pilonico d’Arno. Orbene vi è chi sosterrebbe che Paterno potrebbe venire proprio dall’unione delle parole “ai piedi d’Arno/a” (piè d’Arno/a [Arna è la vecchia città etrusca la cui posizione è stata individuata nell’attuale Civitella d’Arna, per l’appunto, poco distante da Pilonico], e quindi “Paterno”)» (D. C.). «Di questo mi sono occupata anch’io, a proposito del toponimo derivato da arna e corrotto in –arno come forma suffissale (vedi Civitella d’Arno, Castel d’Arno, Lidarno): ma escludo che possa avere la stessa origine (L. R. B.)». Fine della diatriba (cosa peraltro interessante, a mio avviso). Ma proseguo e integro. Nel documento, databile nel XIX secolo, consegnatomi da G. Vicarelli Saluzzo, di cui sopra, leggesi che: «Il Ciatti,.., e il Gori,… , ripetono il nome di questo castello dal Dio Pilumno, celebre fra gli Etruschi e venerato specialmente dai perugini. Non sarebbe però strano che prendesse il nome da qualche soggetto chiamato Philonicus (o Pilonicus), di cui si hanno molti esempi nelle Antiche…L’aggiunto di paterno non è facile. Nei repertori dei secoli XIII (con 23 fuochi [vedi ‘Medioevo rurale perugino. Una ricerca sul territorio dell’attuale XII Circoscrizione del Comune di Perugia’, di Giovanni Riganelli, Comune di Perugia, 1989]) e XIV appare come villa del contado di Porta Sole; in quelli del secolo XV come castrum (nel 1469 contava 18 fuochi e nel 1499 28 fuochi)… Torniamo anche un po’ indietro perché penso possa essere utile che io riporti, sia pure solo in parte, quanto scrisse Giovanni Riganelli, a proposito di Pilonico, nel suo prezioso “Medioevo rurale perugino” (edito nel 1989 grazie al Comune, all’Apt, alla Cm e alla XII Circoscrizione, di Perugia): «Il 10 gennaio 1465 si procedeva all’unificazione di villa Collistecchi e villa Collisassi nell’unica pertinenza di castrum Pilonici, dove la maggior parte degli abitanti delle due ville sembra aver avuto la propria abitazione. L’”unione” dei due insediamenti era effettuata richiamandosi ad una delibera del consiglio dei priori del 5 marzo 1456 nella quale, dopo aver ricordato la normativa statutaria che prevedeva il divieto per insediamenti al di sotto dei 10 fuochi di poter eleggere un proprio sindicus, con le difficoltà che ne derivavano in materia fiscale e amministrativa, si diceva espressamente che gli abitanti dei centri con meno di quel numero di fuochi avrebbero dovuto unirsi alle comunità che superavano questa “soglia”. Nell’atto d’unificazione si specificava il numero di fuochi, o unità fiscali, dei due insediamenti: 5 per Colle Tecchio e 11 per Colle Sasso. Era probabilmente lo stesso notaio che aveva provveduto alla redazione dell’atto d’unificazione delle due ville che, nell’impianto catastale di Colle Sasso, doveva essersi premurato della cancellazione di questo nome sostituendovi quello di castrum Pilonici… L’analisi della situazione in cui dovevano versare gli insediamenti della zona in materia di dipendenze giuridico-amministrative,…, sembra complicarsi ulteriormente con la comparsa, nel 1333, … , di una villa Francorum de Pilonico. La presenza di una villa degli uomini “franchi” di Pilonico, come lascia intendere il nome dell’insediamento, non può che presupporre un processo di affrancazione di servi che, in quel periodo, sembrano essere già stati in grado di dar vita ad un nucleo abitativo. … Questo processo di affrancazione dovrebbe potersi collocare nel periodo a cavallo tra il secolo XIII e il XIV, più precisamente tra il 1282, anno in cui si ha l’ultima menzione duecentesca di Pilonico, …, e il 1333…». In una nota al testo di Riganelli, citando A. Grohmann (Città e territorio), si evince che molto probabilmente il toponimo Colle Tecchio corrisponde alla collinetta appena sopra all’odierno Palazzo Aiale (sopra S. Giustino d’Arna), laddove Colle Sasso dovrebbe identificarsi [ma potrebbe non essere affatto così] nello stesso “Castellaccio” di Pilonico, residuo dell’antico insediamento, ove sino a buona parte dell’800 [testimonianza raccolta dallo scrivente dall’informatore Italo Freddio] vi era anche la chiesa, che fu trasferita verso la fine di quel secolo ove si trova ora. Continuo citando il testo di Riganelli: «… Con ogni probabilità la posizione strategica del nuovo insediamento, a cui deve aggiungersi la perdita d’importanza in ambito militare di Pilonico a causa della rovina delle mura, dovettero giocare un ruolo di prim’ordine nel proiettare Colle Tecchio a centro guida della zona. Tuttavia, nonostante l’assunzione di questa funzione, …, questo insediamento non sembra mai essere riuscito ad imporsi come reale “polo urbano” dell’area circostante… Forse è proprio in questa incapacità o impossibilità di proporsi anche come polo abitativo da parte di Colle Tecchio, che devono verosimilmente ricercarsi le cause alla base del ritorno di Pilonico quale insediamento principale della zona… ». Per quanto concerne il caso di Colle Sasso, questo sembra essere molto lineare e non è da escludere che alla sua nascita possano in qualche misura aver contribuito gli affrancati di Pilonico, parte dei quali, una volta liberi, potevano aver optato per la fondazione di un nuovo nucleo. Pur non disponendo di documentazione atta a dimostrarlo, il fatto che anche in questo caso gli uomini della comunità posseggano abitazioni in quello che potrebbe definirsi il “centro originario”, dovrebbe concorrere a legittimare quest’ipotesi. … In verità da quanto sopra riportato non è chiaro se Pilonico era identificabile in Colle Sasso (o viceversa) oppure era un terzo e diversificato “nucleo abitativo”. «Pilonico fu la residenza, …, della nobile famiglia Villani di Perugia. Nel 1603 qui visse Carlo Giacinto Villano, figlio di Adorno, molto stimato e conosciuto per aver ricoperto importanti cariche militari. Nel censimento dello Stato pontificio del 1853 contava 390 abitanti. In seguito il nucleo abitato si spostò più in alto, a 200 metri [?], e il toponimo assunse il nome di “castellaccio”. Il complesso è attualmente diviso in due parti: la torre antica con annesso un fabbricato, appartenuta alla Curia vescovile di Perugia, è di proprietà della famiglia Bazzucchi di Ponte Felcino, mentre il nucleo abitativo che affianca il complesso fortificato, di epoca ottocentesca, era di Freddio Pio nel 1902 che lo trasmise poi ai suoi eredi. Imponenti ruderi testimoniano la grandiosità del complesso che meriterebbe un approfondito restauro». (in: ‘Castelli, fortezze e rocche dell’Umbria’, di Daniele Amoni, Quattroemme Srl, Perugia, 1999). Preciso che oggigiorno l’antico complesso ove c’era il castello è così suddiviso: torre con parte di annessi è di proprietà di eredi di Bazzucchi, la restante struttura pressoché accollata alla precedente è una sorta di residenza vacanze di proprietà di una famiglia romana, il fabbricato antistante (già della Curia) è oggi di proprietà della famiglia Lepri. Continuo, nella speranza di non confondere le idee al gentile lettore. Non è facile, nel consultare i testi, individuare o avere sicurezze o certezze storiche. Comprensibile. Inoltre può capitare che vi possano essere discrepanze, differenti interpretazioni, anche contraddizioni, diverse valutazioni, in parte soggettive, in parte legate alla carenza di adeguati documenti di tempi oramai lontani. Ma poi ci sono le “trasmissioni orali”, da semplici storie o storielle più o meno arbitrarie che con il passaparola assumono le più svariate fisionomie, a vere e proprie leggende che nel tempo possono acquisire un certo grado di veridicità, e comunque fanno parte del patrimonio immateriale di quel determinato territorio. Così da noi. Tra “storie e leggende di banditi, briganti, spiriti e fantasmi” mi soffermo su “Massa de Arne e il cunicolo segreto del castello di Pilonico”. «Già nel basso medioevo, X secolo dell’era volgare, la Massa d’Arno, Massa de Arne, era piuttosto estesa, con piccoli villaggi e i suoi tre castelli, Civitella d’Arna, Pilonico (poi Paterno, allora Pilonico d’Arno) e Castel d’Arno. Probabilmente fu nel tardo medioevo che i castelli divennero tali e così importanti: allorché la Massa era zona di confine tra il ducato longobardo di Spoleto e il corridoio bizantino di Perugia. “Se… sotto Castel d’Arno si sa che ci sono dei cunicoli sotterranei, in parte ormai crollati e non più comunque rintracciabili, ma che anticamente – ai tempi del nostro racconto senz’altro – scendevano fin quasi alla base della collina, in quel di Pianello, per permettere la fuga… anche in caso d’assedio..”, pare e si dice che da sotto la torre del Castello di Pilonico vi fosse anche qui un cunicolo, relativamente stretto e non altissimo, che, passando sotto il Monte Pilonico, raggiungeva i sotterranei del castello di Castel d’Arno». [NB: chiedo scusa ma non rammento la provenienza di quanto or ora scritto. Mi si perdoni]. Tante sono le leggende, gli aneddoti, le storie, le memorie che si tramandano su questi castelli, in particolare, in tale contesto, quelle e quelli sui castelli di Pilonico e di Castel d’Arno. A me preme raccontarne una (o forse più d’una), oppure è la medesima che si intreccia e si tramanda nel corso del tempo, raccolta (e raccolte) direttamente ed indirettamente dalla bocca di varie persone del luogo ma soprattutto da due anziani, ormai deceduti, residenti allora in quel di Ripa (già Ripa d’Arno, pure essa). E si riferisce… beh principia con un tal Giacinto, figlio di Adorno… «Si racconta infatti che sin dal tardo medioevo il Castello di Pilonico fosse collegato con Castel d’Arno da cunicoli sotterranei ai più segreti. Racconti di amori e di scandali taciuti. Nel periodo rinascimentale i “banditi” da Perugia, l’Alfani in primis, e da altri luoghi, sembra utilizzassero tali passaggi per le loro scorrerie e violenze di varia natura. Ancora nell’800 con i briganti che imperversavano questi territori, sempre tali passaggi segreti erano spesso importanti per agguati, violenze e fughe repentine. Non sappiamo da quando si cominciò a parlare degli spiriti di Pilonico e di un fantomatico fantasma. Forse gli spiriti erano le anime dei defunti, uccisi brutalmente nei corsi dei secoli, delle fanciulle rapite, segregate e violentate, ed il fantasma l’anima di qualche importante e misericordioso personaggio che voleva punire i malvagi e tranquillizzare le famiglie ed i famigli di chi aveva o avesse subito dei torti. Le cose si protrassero sino all’ultimo dopoguerra del secolo passato, quando più recenti “briganti” e malfattori agirono su queste colline. Ormai il cunicolo tra i due castelli era scomparso, ma l’anima degli spiriti e del fantasma aleggiava sopra e le dentro le case ormai spopolate, e soprattutto nella pineta comunale, ora abbandonata a sé stessa, luogo di sgradevoli e nefandi incontri. Con la morte negli anni ’80 dell’ultimo “furfante” tutto si placò». L’escursione è terminata. È stata una bella giornata. Serena. La natura ci ha offerto le sue preziosità. La conoscenza del territorio, nei suoi aspetti storici di antropizzazione, ha arricchito la piacevolezza di percorrere in maniera più approfondita (da percezione soggettiva a ricezione oggettiva) e quindi di dare valenza culturale più ampia al paesaggio arnate nella sua parte estrema nord orientale. Grazie a tutti voi che avete offerto la vostra partecipazione, attenta, viva, non mascherata da protezioni oggi non necessarie.
Daniele Crotti
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