La bellezza salverà il mondo?
Una città bella, giusta e contemporanea la si realizza recuperando un Abc della comunità pensando a come ricostruire un percorso civile, economico e culturale a partire dalle persone e da dove esse vivono. Si dovrebbe operare per rendere la città migliore, e quindi più bella, grazie alla cultura del fare insieme agli altri
È sufficiente pensare all'Italia per rendersi conto che se bastasse la bellezza sarebbe una nazione salva. Non è vero che la bellezza salverà il mondo sono gli uomini che producono la bellezza e producendola dal modo in cui si relazionano, dai valori che hanno, dai sentimenti che coltivano salvano se stessi. L'idea che la bellezza salverà il mondo nasce da quanto Fedor Dostoevskij ha scritto ne l'Idiota. Ma Dostoevskij non era un autore di frasi per “Baci Perugina”, è uno dei più grandi scrittori che l'umanità abbia mai avuto, un grande indagatore dell'animo umano e nella pagina dove scrive della bellezza non dà una certezza: instilla un dubbio. Tutta la pagina dove è scritta la frase è un punto interrogativo, l'invito a porsi una domanda. La bellezza è stato un tema caro a Dostoevskij andò a Dresda davanti alla Madonna Sistina di Raffaello e rimase come in estasi, per lui le Madonne di Raffaello erano una terapia psicologica, diceva che senza di loro avrebbe disperato di se stesso e degli uomini. Nei Demoni scrive che l'umanità “senza la bellezza non può vivere, giacché non avrebbe più nulla da fare al mondo”. Quindi, se la bellezza non è un concetto estetico né individualistico ma un prodotto del fare degli uomini, un percorso che esce dal cerchio circoscritto dell'io per entrare in quello più grande del noi dobbiamo chiederci che fare per produrla. Per quanto riguarda Perugia ricordo la proposta di Alessandro Riccini Ricci di organizzare in contemporanea della Fiera dei morti una fiera delle idee. Nei giorni nei quali rinnovano il legame con il loro passato sarebbe bello che i perugini discutano di se stessi, mettendo insieme conoscenze e competenze per definire progetti per il presente e il futuro di una città. Si confrontino con intelligenze venute da fuori per parlare di urbanistica, di politiche per la casa, di scuola pubblica e università, di sanità pubblica, su come rimettere in moto l'ascensore sociale bloccato da decenni. Una città bella, giusta e contemporanea la si realizza recuperando un Abc della comunità pensando a come ricostruire un percorso civile, economico e culturale a partire dalle persone e da dove esse vivono. Il disagio non è un'astratta categoria ad uso di esperti, lo si contrasta nel concreto della vita: interrompendo lo smantellamento degli ultimi presidi di protezione sociale. Immaginando luoghi e nuove forme di cittadinanza partecipata per offrire servizi, favorire i rapporti con la società civile, il ritrovo informale di giovani adulti e anziani. Avendo presenti le esigenze di bambine e i bambini. Volendo quartieri che abbiano piste ciclabili, un'area pedonale, una fontana, un monumento simbolo che li identifichi. Si dovrebbe operare per rendere la città migliore, e quindi più bella, grazie alla cultura del fare insieme agli altri. Perché come ha scritto Gramsci la “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita […]. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”.
Vanni Capoccia
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