17/09/2024
direttore Renzo Zuccherini

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La Nuova Brigata Pretolana per Aldo Capitini
Lo spettacolo per il cinquantenario. Con Anna Maria Farabbi


PERSONE CHE MARCIANO PER LA PACE
PERSONE CHE PARLANO PER LA PACE
PERSONE CHE CANTANO PER LA PACE

io sono una
umile
solo una
del coro
una che canta il corpo
di Aldo Capitini
una che batte la mia la sua la nostra
grana della voce contro vento
per resistenza e per bellezza
per nostra madre
sopravvivenza
senti la luce dentro il campanile di Aldo suona il batocchio
senti
perché la nudità della poesia è potente tesse la pace
cresce con i piedi e con le mani di tutti
attraversa l’io il tu nel noi
rovescia il dolore
la solitudine dei confini dell’ignoranza del potere dell’arroganza canta
canta l’orizzonte plurale della festa
qui ora
 Anna Maria Farabbi

Io sono Aldo Capitini, qui ora umilmente compresente nella potenza del noi, per una costruzione di pace aperta dal tu al tutti.

In “Attraverso due terzi del secolo - 1968”:
Sono nato a Perugia il 23 dicembre 1899, in una casa nell’interno povera, ma in una posizione stupenda, perché sotto la torre campanara del palazzo comunale. Mio padre era un modesto impiegato comunale, e custode del campanile, suonava anche le campane comunali, e tutti noi in casa sapevamo farlo.
Presi da Gandhi l’idea del metodo nonviolento impostato sulla non collaborazione, potevo avere una guida per dir di no al fascismo (quando Giovanni Gentile mi chiese la tessera fascista per conservarmi

Al suono di chitarra e mandolino - canto augurale
È una serenata augurale, di benvenuto, dedicata al pubblico, a tutti gli ascoltatori; dedicata a tutti i partecipanti e compartecipanti…
Questo breve spettacolo-concerto, che vuol essere una ESPERIENZA di COMPARTECIPAZIONE, CONDIVISIONE e SOLIDARIETA’, è dedicato ad Aldo Capitini. E, soprattutto, alla poesia di Capitini, o, meglio, a CAPITINI POETA.
Parte da Antonio Fogazzaro, con il nostro Risorgimento, e arriva (ma per proseguire e continuare) ai nostri tempi, con la I Marcia per la Pace e la Fratellanza dei Popoli, ideata e realizzata da Capitini nel 1961, e alle attuali iniziative contro la guerra, per la nonviolenza, per la pace, per la festa, perché il giorno di festa sia festa per tutti.

Scriveva Capitini (in: “Le tecniche della nonviolenza”):
 “La nonviolenza non è inerzia, inattività, lasciar fare; anzi essa è attività, e appunto perché non aspetta di avere le armi decisive, cerca di moltiplicare le iniziative e i rapporti con gli altri, e sa bene che si può sempre fare qualche cosa, se non altro trovare degli amici, dare la parola, l’affetto, l’esempio, il sacrificio…”.

Il prossimo canto è ADDIO MIA BELLA ADDIO, canto emblematico risorgimentale; lo proponiamo perché ci piace accostare lo spirito libertario di Fogazzaro allo spirito nonviolento di Capitini.
Nelle ultime pagine del capolavoro di Fogazzaro, “Piccolo Mondo Antico”, i soldati si imbarcano, siamo sul lago Maggiore, per andare a combattere per l’Italia (nella visione di una politica di unità e indipendenza) e, nel libro, si legge: «… Una vecchia, che aveva tre figli fra quei soldati, gridava loro, tutta scarmigliata ma non piangente, che si ricordassero del Signore e della Madonna… I soldati molto pratici del prevost, la prigione militare, risero… e il battello partì. Grida, sventolar di fazzoletti e poi un CANTO, un CANTO POTENTE di cinquanta voci gagliarde:
Addio, mia bella, addio,
l’armata se ne va
… … …

Addio mia bella addio - canto risorgimentale

Con questa canzone Fogazzaro si lascia forse andare ad un sentimentalismo [tipico però] di fine Ottocento, ma non sgradito, anzi, in funzione dinamica, liberatoria e progressista.
Il canto finale nel bellissimo film del 1941 di Mario Soldati “Piccolo Mondo Antico”, con Alida Valli (Luisa) e Massimo Serato (Franco), che si ritrovano finalmente dopo la morte della figlia, è, così e per l’appunto, “Addio mia bella addio”.
La delicatezza e la forza di questa canzone è al pari con il timbro poetico che il film, e prima ancora il romanzo, vuoi per l’ambientazione vuoi per la tematica trattata, avevano ed hanno, e bene si accostano alla intensità e profondità poetica di Capitini, uomo di resistenza civile.
Pur nel distacco generazionale (A. Fogazzaro nasce nel 1842 e muore nel 1911, a Vicenza; A. Capitini nel 1899 e nel 1968, a Perugia) e nelle indubbie e sostanziali differenze intrinseche dei due letterati (ma sia l’uno che, soprattutto l’altro, furono assai di più), svariate analogie legano i due personaggi, liberal-progressista (sia pur d’estrazione borghese) Fogazzaro (nell’Ottocento), liberal-socialista Capitini (d’estrazione umile e popolare) nel Novecento, entrambi casualmente morti a 69 anni (malati e a seguito di un intervento chirurgico forse non ben riuscito), sia l’uno che l’altro potenzialmente meritori di un Nobel, per la letteratura il primo, per la pace il secondo, entrambi forse logorati da una crisi religiosa (credenti ma sofferenti), sia pur con risvolti assai diversi se non contrapposti.
Ci piace anche ricordare, ed ecco il nostro Capitini, che questo canto lo cantavano i giovani perugini (nel 1859, ai tempi della II guerra di Indipendenza) che andavano al nord per unirsi alle truppe sabaude, lasciando Perugia priva di elementi validi per contrastare la sete di vendetta papalina. Il XX giugno di Perugia è da allora una data importante per il nostro “calendario civile”!

MAMMA MAMMA MAMMA DAMMI CENTO LIRE è un canto legato al fenomeno emigratorio di fine ottocento, questa volta nella versione della NBP. E non possiamo non dedicarlo a tutti i migranti di oggi e di sempre, come allora lo fummo noi: ascoltare le parole attentamente è importante per capire bene il dramma delle migrazioni forzate... E non tanto, sarebbe sin troppo banale, per rispondere al pre-fascismo dell’attuale ministro degli interni e associati, ma per ribadire un concetto di libertà fondamentale: NOSTRA PATRIA E’ IL MONDO INTERO, a dire che ognuno ha il diritto di essere libero di scegliere di vivere dove vuole.
Mamma mamma mamma dammi cento lire - canto sull’emigrazione
Questa canzone è l’adattamento al tema dell’emigrazione di una antica ballata, “La maledizione della madre”.
Il canto si riferisce alle emigrazioni dei contadini dell’Italia settentrionale verso l’America meridionale (II metà dell’ottocento).
In verità anche dall’Appennino umbro tante furono le emigrazioni in Europa e Oltreoceano. Sugli altopiani plestini tra Umbria e Marche molte memorie/poesie cantate in ottava rima (AB AB AB CC) si riferiscono a ciò. Si pensi a L’emigrato che torna e che parte oppure Lettera di un emigrato italiano alla famiglia (Antonio Toni, tra Nocera U. e Gualdo T. con “Quelli di Nocera”).
Per quanto riguarda Mamma mia dammi cento lire, raccolta anche sull’Appennino umbro tra Nocera U. e zone limitrofe (“Quelli di Nocera” in “Memorie cantate, Isuc, PG, a cura di D. R. Nardelli, G. Falistocco & E. Mirti, 2018), la Nuova Brigata Pretolana propone la sua versione, raccolta da Lucilla Galeazzi nel sud del Lazio, e a Pretola arrivata e adottata.

O DIO DEL CIELO (Gran Dio del cielo) è un noto canto alpino della I guerra mondiale. La NBP lo ripropone nella versione dell’allora Brigata Pretolana, versione ed interpretazione socialista, antimilitarista e pacifista.
O Dio del cielo - canto alpino della Grande Guerra
“O Dio del Cielo” (“Gran Dio del Cielo”) è un noto canto popolare, conosciuto soprattutto nella versione trentina all’interno dei canti di Montagna: il canto è infatti un canto degli Alpini, cantato specialmente durante la I Guerra Mondiale, quella lunghissima guerra di trincea che unì individui da ogni parte d’Italia, e che nei lunghi momenti d’attesa invitava i singoli a cantare i propri canti, per cacciare la malinconia, la tristezza, la paura, nella speranza continua che la guerra finisse, che arrivasse la pace, che si potesse tornare a casa (sani e salvi, ovviamente). E questo fu uno dei tanti motivi che permisero la diffusione dei canti da una parte all’altra della nostra penisola.
Ma i moti di Torino dell’agosto 1917, mossi dalla richiesta di “Pane e pace”, durante i quali si ebbero momenti di solidarietà tra i dimostranti e le truppe, trovano la propria canzone in una trasformazione dell’accorata “Dio del cielo”: “Prendi il fucile/ e vattene alla frontiera./ Là c’è il nemico/ che alla frontiera aspetta.”, si tramuta in: ” Prendi il fucile/ e gettalo per terra,/ vogliam la pace/ e no non più la guerra./ Prendi lo zaino/ e gettalo per terra./ Siam fratelli/ non vogliam più la guerra”...
Questa versione socialista, antimilitarista, pacifista del canto fu ripresa nel corso della Seconda Guerra Mondiale e venne in tal modo cantata proprio dalla Brigata Pretolana, di cui divenne una sorta di icona referenziale. Così oggi la Nuova Brigata.

BELLA CIAO, nella versione partigiana, è una canzone che va cantata tutti insieme e non ha o non avrebbe bisogno di presentazione. BELLA CIAO è il canto associato per antonomasia alla resistenza al nazifascismo. E non si deve dimenticare come Capitini passò un breve periodo in carcere a Firenze proprio perché rifiutò la tessera del partito fascista.
Bella ciao - canto della resistenza
Controversa, complessa, enigmatica, discutibile e affascinante l’origine di questo canto.
Proviene probabilmente dalla fusione di due canti precedenti: “La bevanda sonnifera” e “Fior di tomba II” (C. Nigra). Questa è quanto meno una delle ipotesi.
Come tale venne assunto ad inno patriottico alla fine della guerra di liberazione, dopo la RESISTENZA, col proposito di unire tutte le brigate partigiane che combatterono contro il nazifascismo. Si potrebbe ufficializzare, forse, la sua versione che oggi spesso cantiamo, ai primissimi anni del II dopo guerra. E forse già nel 1946 allorché venne invece proclamato Inno d’Italia il vecchio Inno di Mameli (ovvero il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro) scritto un secolo prima, nel 1846 e cantato nel ’48 durante le 5 giornate di Milano e nel ’49 durante la Repubblica Romana (ove Mameli morì).
Ma, quando è nata realmente “Bella ciao”?
Probabilmente già verso la fine della Resistenza. Due importanti interviste (che ci riguardano da vicino!), tra le altre, lo dimostrerebbero. Eccole.

I testimonianza:
“È stato nel marzo-aprile 1945 che ho sentito per la prima volta Bella ciao. Da gruppi di partigiani emiliani che avevano passato la linea gotica e che erano stati inquadrati nel gruppo di combattimento Cremona, dove c’erano anche parecchi altri volontari provenienti all’Umbria, dalla Toscana, dalle Marche eccetera. E anch’io ero fante volontario del II battaglione, V compagnia del 22° reggimento di fanteria Cremona. Sulla linea gotica c’erano 4 divisioni italiane: la Cremona, la Friuli, la Legnano e la Folgore… E Bella ciao la sentimmo cantare prima dell’offensiva, quindi marzo o inizio d’aprile, da questi emiliani che avevano passato la gotica… Non ricordo però che cantandola battessero le mani. Anche perché, se non avevi in mano il fucile, avevi lo zaino e altre cose che non ti davano la libertà di movimento delle mani…”

 (intervista di Cesare Bermani a Francesco Innamorati a PG il 30 gennaio 1998).

II testimonianza:
“Bella ciao io l’ho sentita cantare al fronte di Alfonsine nel gennaio 1945. Erano gli anziani soprattutto, che poi venivano dalla Sardegna, quindi non è che venissero dalla resistenza. Noi invece eravamo stati partigiani e ci eravamo arruolati volontari. Io ero volontario nella divisione Cremona, 22° reggimento di fanteria, e stavamo sul Serio…. E quelli che tornavano dalle postazioni, che c’era il cambio di notte, cantavano questa canzone, che però, come tutte le canzoni militari non era “questo è l’amore del partigiano”… ma era “il bell’amore della Rosina”…

 (intervista di Cesare Bermani a Vinci Grossi a PG il 9 febbraio 1998).

In “Nuova socialità e riforma religiosa – 1950”:
Rifiutando ogni carica offertami nel campo politico ho piegato la politica e l’interesse in me fortissimo per essa alla fondazione di un lavoro per la democrazia diretta per il potere di tutti o
omnicrazia come la chiamo.
Si deve cominciare il lavoro dal basso, dal più basso possibile, dagli anonimi e dagli sconfitti, dai mal ridotti, dai disperati, da chi sta già mezzo dentro la fossa, contro la falsa luce e l’oscura vittoria dei forti e dei potenti, che nella vita sono morti, mentre gli altri dalla morte vivono e operano dal di dentro a noi e con noi, se siamo umili e uniti in un aperto cerchio corale.
da “Taccuino Ritrovato (1935 - 1936)”
Credo nella forza della coscienza, nel mio lavoro, nei miei doveri e diritti, qui sulla terra.
Prima di tutto, ho visto che le chiese di tutte le religioni sono piene di leggende e di dogmi che fanno condannare chi non li crede. Per me c’è una vera chiesa infinita.
Si farà come il grano che, per l’inverno e la neve, spinge più nel profondo le sue radici.

Negli “Atti della presenza aperta - 1943”
Non ti sei compiaciuto.
Ma non ti sei idoleggiato.
Quando dirai una parola, sarai infinitamente in essa, anche umile.
Se canterai, fa che tu sia tutto canto.
Ed è bello, che te aperto a tutto, nulla possa far da padrone.
E vai a vivere ogni incontro, ti spezzi come un pane intimo al mondo. Non vuoi aver fatto, ma fare.
Nelle assemblee porterai un’interna nonmenzogna.
Cuore mente e forza, come un governo.
Che importa l’avverso? Anche la bestia battuta dal vento diviene più forte.
Vedi il concepibile dentro il tempo e lo spazio, e ti senti, sopra l’adorazione, presenza.
Entro la mitezza una forza.
Hai messo da parte la tua storia, non hai scritto il tuo nome sui muri.
Intanto il mondo ti colpisce, muoiono i buoni, e tu non evadi nella felicità.
Hai accettato la tua infinita povertà.
Finalmente sei con gli annullati nel mondo.
Ad ogni morte di animali soli sulla terra.
Sarai sempre alle terre periferiche dove l’umile è più misero: si alzano davanti a te volti e occhi di
neri, di gialli.
Nulla prometti per attrarre e nulla chiedi.
Ogni modello è sceso e non s’impone più.
Ogni morte non muore nell’uno molteplice.

Colgo la rosa – stornello a dispetto

COLGO LA ROSA, uno stornello a dispetto, un primo canto legato alla FESTA, tema tanto caro a Capitini. Siamo negli anni ’50 del secolo passato, poco tempo dopo la fine della guerra e dopo la liberazione.
Accanto alle canzoni tristi si cantavano anche canzoni allegre, canzoni popolari legate alla pace e all’amore, pur nei suoi contrasti a volte inevitabili.
Così gli stornelli.
Lo stornello è un tipo di canto di solito improvvisato molto semplice, d’argomento amoroso o satirico, affine alla filastrocca. È tipico dell’Italia Centrale.
Questo stornello è d’origine aretina: è un dispetto toscano, forma tipica di insultarsi di solito a vicenda (dalla Toscana alla Puglia passando per Roma e Lazio).
Deriverebbe dall’uso di cantare “a storno” (come lo storno appunto) e a rimbalzo di voce da un luogo ad un altro.
Lo stornello a dispetto (dalla Toscana alla Puglia) è una forma (tipicamente sarebbe romana) di insultarsi di solito a vicenda.
Ed ora l’ascolto della Canzone per la marcia della pace, canto che fu improvvisato nel settembre 1961 da Franco Fortini e Fausto Amodei (Cantacronache per intenderci, da cui poi il NCI), durante la I marcia della pace Perugia-Assisi (“manifestazione popolare contro l’imperialismo, il razzismo, il colonialismo, lo sfruttamento”).
In “Persone che marciano per la pace Perugia – Assisi 24 settembre 1961”, a cura di Aldo Capitini, si legge (ed è Fausto Amodei che parla):
«Avevo portato la chitarra anche con la segreta speranza che da questa Marcia della Pace scaturisse una canzone, una bella canzone composta dai contadini che chiedevano la riforma agraria, dagli studenti di Pisa che portavano un cartone col ritratto di Lumumba, dall’americanina che cantava con voce acuta una canzone pacifista, sull’aria di John Brown’s Body.
E una canzone ne è uscita. È stata composta da tutta la gente che ha partecipato allla Marcia, ed è stata raccolta, dieri “coagulata” da Franco Fortini, che me ne suggeriva, una per una, le strofe perché le cantassi ad alta voce:

E se Berlino chiama
ditele che s’impicchi:
crepare per i ricchi
no! Non ci garba più.
E se la Nato chiama
ditele che ripassi:
lo sanno pure i sassi:
non ci si crede più.
Se la ragazza chiama
non fatela aspettare:
servizio militare
solo con lei farò.
E se la patria chiama
lasciatela chiamare:
oltre le Alpi e il mare
un’altra patria c’è.
E se la patria chiede
di offrirgli la tua vita
rispondi che la vita
per ora serve a te.
Prima di arrivare ad Assisi sul rettilineo che parte da Santa Maria degli Angeli, un gruppo di contadini di Foligno, e gli studenti di Pisa, la cantavano a squarciagola, sovrastando la voce mia e della mia chitarra. Non era più una canzone di Fortini o mia: era già diventata la loro canzone».

Canzone della marcia della pace - canto corale

Da “Colloquio Corale -1956”:
Ci siamo levati nella notte e il buio era già aperto.
Per tutto ieri abbiamo volto il corpo ad una tensione aperta
pazienti alla mole del lavoro piegandoci mansueti a ascoltare
dall’oscuro esistere le cose si preparavano a una simmetria festosa.
Dopo giorni di abitudini e di non accorgersi rispondiamo a una chiamata per noi.
O festa.
Tu che sei di là dall’utile o invisibile nel tuo culmine
compensa ogni perdita.
Non può essere che esista soltanto darsi colpi l’uno con l’altro.
Scendiamo nella vita col vestito della festa, indossato al cospetto dei morti
è con noi il silenzio dei cimiteri, l’ultimo verso delle epigrafi.
Amare, amare dalla radice, amare, amare dalla radice.
E voi alberi dalla vostra immobilità, voi animali cui batte il cuore
non restate chiusi nei nidi, non seguite le vecchie abitudini
è la parola qui divenuta compresenza di tutti
agli stroncati ai disfatti ai rimasti con voce afona
perché tutto sia di tutti, così come fa la festa.
Perché andare lontano, se qui è il sommo che si apre?
La mia nascita è quando dico un tu
mentre aspetto, l’animo già tende
andando verso un tu ho pensato gli universi.
La casa è un mezzo a ospitare

Prima che tu sorridi, ti ho sorriso.
Ardo perché non si credano solo nei limiti.
La mente visti i limiti della vita si stupisce della mia costanza di
Innamorato.
Mescolato agli altri modestamente vestito.
Sono divenuto estraneo, gli altri non sentono che ci sono.
Non voglio far pace con la scaltrezza con la tattica e il compromesso
No non si creda non ho fatto la pace con il mondo.
No No No non si creda non ho fatto la pace con il mondo.
E io non faccio pace con lui e lo scruto da fermo e costante.
Date parole che siano reali come cose e più delle cose.
Ho invocato nella mia solitudine e ho avuto soltanto la forza di resistere.
Meglio amare per poter anche pensare.
Invocando tutti, sto aperto.
Amo ciò che è umile, perché assomiglia al silenzio… pronto alla musica.
Vieni dolce amore – serenata
Una breve contenuta serenata, e, come tutte le serenate, legate all’amore. Ed evviva la FESTA! La
FESTA, tema assai caro ad Aldo Capitini (siamo negli anni ’50 e ’60 del secondo dopoguerra).

Amore eterno baciami – stornello a rispetto

La guerra è finita, la vita riprende, la voglia di gioire è doverosa.
Eccovi allora un canto che è un invito alla speranza.
È uno stornello, uno stornello (o strambotto) a rispetto: scherzoso e spiritoso.
Scrisse G. Carducci al riguardo: “è chiamato a rispetto a cagione della riverenza o venerazione che i cantori dimostravano verso l’oggetto dell’amor loro”.
Comunque sia questo stornello lo si deve interpretare come un canto amoroso e di speranza.
La prima parte è, appunto, scherzosa e spiritosa. È in dialetto, quello pretolano.
La seconda parte è decisamente un invito all’amore e alla speranza. È in italiano.
Rappresenta un po’ l’atmosfera di allora, sempre del II dopoguerra: necessità di dimenticare quanto
era successo, il bisogno di divertirsi dopo le lunghe e faticose giornate lavorative, la voglia di scherzare ma anche di partecipare le emozioni e credere in un mondo migliore.
È la realtà dei piccoli borghi lungo i nostri fiumi; si pensi, oltre a Pretola, tutti nostri Ponti, Torgiano, Brufa, S. Martino in Campo… e via dicendo…

Le ragazze pretolane – ballata pretolana
È il canto più famoso e forse emblematico della (vecchia e nuova) Brigata Pretolana.
Il canto è da attribuire un po’ a tutti i componenti il gruppo, in particolare Ugo Pappafava e Remo Alunno. Questo nelle parole, mentre la musica potrebbe rifarsi a temi preesistenti ma di cui non sappiamo.
La guerra è ormai finita da alcuni anni. La vita riprende e le speranze sono tante.
Il testo riflette pertanto la spensieratezza, l’allegria, la voglia di vivere e di divertirsi, finalmente!
Le parole contenute in esso sono fotografie, sono raccontini, in parte surreali, in parte balordi, in parte realistici, che tracciano momenti di vita di paese. Ricordiamo che siamo negli anni ’50 – ’60 del secolo passato. Dobbiamo pertanto calarci con la memoria in quel periodo storico, a Pretola, così come nei piccoli borghi lungo il Tevere ed il Chiascio, come sopra accennato.
Gli ultimi tre canti sono tutti legati al tema della FESTA: VIENI DOLCE AMORE, una serenata, AMORE ETERNO BACIAMI, uno stornello a rispetto, e LE RAGAZZE PRETOLANE, una ballata.
Tutte canzoni nel repertorio (originale) della Brigata Pretolana.

E allora, adesso, vi salutiamo, tornando a Fogazzaro, con il nostro commiato sempre augurale con la speranza di rivederci e risentirci. Siamo a metà Ottocento, per la precisione tra il 1850 (marzo 1848 – marzo 1849: I Guerra d’Indipendenza) ed il 1859 (aprile – luglio 1859: II Guerra d’Indipendenza).
Antonio Fogazzaro (1842 – 1911) scrisse il suo capolavoro, Piccolo mondo antico, nel 1895, ma lo ambientò in quegli anni tra le guerre d’indipendenza sul Lago di Lugano e sul Maggiore.
In Piccolo mondo antico, un ROMANZO di delicata, profonda ed emozionante vena poetica, per l’ambientazione, i luoghi, la tematica… si legge:
“Nello stesso tempo si udirono i remi d’una barca che veniva da Porlezza, si udì un fagotto scimmiottar l’aria di Anna Bolena. Franco, che s’era seduto sulla poppa del battello, saltò in piedi, gridò lietamente:
«Ehi là!».
Gli rispose un bel vocione di basso:
Buona sera.
Miei signori,
buona sera,
buona sera.
Erano i suoi amici del lago di Como, l’avvocato V. di Varenna e un tal Pedraglio di Loveno, che solevano venire per far della musica in palese e della politica in segreto; un segreto di cui Luisa sola era a parte.”
Vicentini entrambi, Antonio Fogazzaro nell’800, Mario Rigoni Stern nel 900 (entrambi o proposti o indicati per il Nobel per la Letteratura), riportano, prima e dopo, ad Aldo Capiitni, uomo di fede laica, di religiosità aperta, educatore, filosofo, politico e POETA civile
Nell’ultima pagina del su citato opuscolo “Persone che marciano per la pace Perugia – Assisi 24 settembre 1961”, è riportato quanto scrisse M. R. Stern, ex alpino, da Asiago a Capitni e a tutti i partecipanti e compartecipanti:
«Cari amici, per impegni precedentemente assunti non posso essere tra voi, ma il mio cuore, il mio entusiasmo e il mio pensiero sì. Vent’anni or sono portavo le mie ossa in una lunga Marcia senza fine per le steppe della Russia; il carico delle armi mi soffocava, il gemito dei moribondi accompagnava il mio passo. Per questo che ho visto e sofferto, per loro, per le madri, i figli, le spose, basta! Pietà per gli uomini, per le sofferenze di tutti gli uomini, per ogni vita. Per tutti, per tutta la terra, per il lavoro, per la civiltà, pace e non armi.
Così quando camminavo per la neve senza fine. Ora voi, amici più che ogni altro, fate ben altra Marcia che la mia di una volta. In questo meraviglioso autunno, per luoghi sereni. Ma serve. Servirà. Sono con voi, e così vi saluta l’ex alpino».

Buonasera miei signori - commiato

A cura di:
Daniele Crotti, Anna Maria Farabbi, Claudio Giacometti, la Nuova Brigata
Pretolana
ECOMUSEO del TEVERE




Inserito lunedì 28 gennaio 2019


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