SUL CONSUMISMO SANITARIO
Tratto dal foglio informativo dell'associazione Le Vie della Salute n.12 - maggio 2009
Riceviamo da www.isde.it
I MMG (Medici di Medicina
Generale) Animatori di Formazione (AdF) della Regione Toscana riuniti
ad Arezzo il 20 gennaio 2009 per un Master formativo avente come
argomento “il Consumismo Sanitario”, sono arrivati alla stesura
condivisa del seguente documento di raccomandazioni per la Regione
Toscana.
Da alcuni anni si sta
intensificando un fenomeno che può essere definito come “Consumismo
Sanitario”, cioè uso di prestazioni sanitarie in assenza di chiare
indicazioni. Questo fenomeno si muove con le logiche del marketing ed
i meccanismi del “consumismo” in generale e tratta la salute come
una merce di consumo. Il consumismo interessa, in primo luogo, e
forse con maggiori giustificazioni, il settore privato, ma anche il
Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non ne è esente.
Il SSN è un sistema che
risponde ai criteri di universalità, solidarietà ed equità. Le
statistiche dimostrano che dove c’è un SSN pubblico la salute è
maggiore. Questa non può essere considerata merce e il Servizio
Sanitario non può essere finalizzato al profitto: è un servizio
etico il cui valore è la salute. Il mercato è diverso: c’è
conflitto tra chi ha per obiettivo il profitto (privato) e chi la
salute (SSN). La sanità deve essere governata dalla struttura
pubblica, se non altro per motivi etici senza sprechi, tenuto anche
conto che le risorse sono limitate, e con obiettivi di appropriatezza
di intervento. La solidarietà non può comprendere tutto: il
necessario e il superfluo. Si tratta di avere un sistema che
individui quali sono le prestazioni efficaci e appropriate e le
priorità che indirizzino le allocazioni delle risorse. Al di fuori
di questi criteri, l’uso eccessivo delle prestazioni non solo fa
spendere, ma spesso non serve, e talvolta può essere dannoso per la
salute stessa del cittadino. La moderna medicina spreca immense
risorse per esami inutili e terapie inappropriate: questa è la
ragione vera per la quale la sanità costa sempre di più e diventa
insostenibile. Il consumismo sanitario va peraltro ad impattare le
categorie più fragili economicamente, ma anche culturalmente.
Il compito delle
professioni è quello di diventare la voce più forte a favore del
SSN e del cittadino per individuare le prestazioni efficaci, tenendo
presente che certa scienza può falsificare se stessa per
autopromuoversi.
Cause del consumismo
sanitario sono la disinformazione e la cattiva comunicazione, la
cultura diffusa del “diritto a tutto, subito e gratis” e i
bisogni indotti dal mercato.
Il “consumismo
sanitario” si adopera per creare bisogni attraverso campagne di
stampa, associazioni di malati, giornate nazionali, creazione di
centri e associazioni scientifiche e produzione di numeri, dati e
ricerche ad hoc.
Il paziente talvolta
chiede anche il superfluo perché lo ritiene un suo diritto. Si
lamenta spesso impropriamente. C’è una aspettativa esagerata.
Insegue il mito dell’eterna giovinezza e il miraggio di una vita
eterna.
L’industria della
salute deve reclutare sempre più clienti che consumino pillole, che
facciano esami, ricoveri, visite, interventi. Ed oltre ai malati
vanno reclutati anche i sani! Il messaggio dei media è ormai
esplicito: ognuno è a rischio, più o meno remoto, di ammalarsi,
quindi anche i sani devono ricorrere all’industria della salute, e
precocemente, trasformandosi così in malati.
Il consumismo sanitario
determina la fine della ricerca indipendente poiché i costi della
ricerca sono elevati e non sostenibili dai governi ma solo dalle
multinazionali con chiaro e spesso non dichiarato conflitto
d’interesse.
Il consumismo sanitario
determina la crisi del servizio sanitario. Negli ospedali crollano le
giornate di degenza ed esplode il numero dei medici che hanno
complessivamente spostato la loro attività dalla cura alla diagnosi
precoce o presunta tale. L’aumento delle liste di attesa è da
attribuirsi al consumismo sanitario correlato a scarsamente utili
check up e procedure di diagnosi precoce, come spesso avviene anche
in campo oncologico; settore molto delicato per la presa emozionale
sul cittadino.
Il consumismo sanitario
determina danni alla salute (da farmaci e da diagnostica), danni
all’ambiente (da inquinamento con conseguenti danni alla salute!),
disuguaglianze di accesso e utilizzo dei servizi assistenziali.
E’ lo spreco che rende
impossibile cure gratuite per tutti. Tagli obbligatori e malessere
sociale sono effetti e non cause del fallimento di una sanità
gratuita.
Possibili proposte per
contrastare il consumismo sanitario e difendere il servizio sanitario
nazionale sono:
1) sviluppare la ricerca
scientifica pubblica per valutare, secondo metodi scientifici, quali
procedure devono essere mantenute e/o introdotte nella pratica
clinica, assistenziale ed in ambito preventivo.
2) Potenziare la “vera”
prevenzione primaria, la riduzione, cioè, dell’esposizione
collettiva ai sempre più ubiquitari patogeni ambientali, attraverso
una valutazione preventiva, pagata dall’industria, del rischio
biologico connesso alle sostanze immesse nell’ambiente (REACh) e
attraverso l’applicazione del Principio di Precauzione.
Il Principio di
Precauzione è un approccio alla gestione dei rischi che si esercita
in una situazione d'incertezza scientifica, che reclama un'esigenza
d'intervento di fronte ad un rischio potenzialmente grave, senza
attendere i risultati della ricerca scientifica. Il principio
contrasta l’atteggiamento di “stare a vedere cosa succederà
prima di prendere provvedimenti” per non turbare interessi in gioco
diversi da quelli di salute (Trattato Istitutivo dell’UE, art. 174,
comma 2, Mastricht, 1992, e Conferenza ONU Ambiente e Sviluppo –
Principio 15, Rio de Janeiro, 1992).
3) Assicurare la
dichiarazione di eventuali conflitti di interessi da parte di
ricercatori e consulenti. Chi utilizza il suo prestigio scientifico
per esprimere un parere dovrebbe essere obbligato a pubblicizzare i
propri legami economici e di carriera con lo sponsor. Il problema è
ancora peggiore quando ad essere sponsorizzate sono le società
scientifiche che scrivono le linee guida per un determinato campo
medico.
4) Recuperare il senso
civico dei cittadini che sono portatori sia di diritti che di doveri.
Promuovere una nuova cultura della responsabilità condivisa. E’
necessario far capire che cosa c’è dietro ciascuna prestazione:
quali siano i costi, i rischi e l’impatto ambientale.
5) Formare studenti che
diventino medici responsabili, che prendano parte con impegno alle
attività che contribuiscono alla salute e al benessere dell’intera
comunità e dei suoi membri.
I curricula universitari
non rispondono ancora ai bisogni emergenti, in particolare non sono
ben conosciute le correlazioni dei diversi livelli di salute con i
determinanti di salute e cioè i fattori socio-economici, culturali e
ambientali.
6) Fornire strumenti di
conoscenza critica ai medici affinché possano decodificare le
domande improprie che i cittadini e i malati presentano, essendo
questi ultimi influenzati da un’informazione non sempre trasparente
e obiettiva, riconoscendo che compito della professione è
contribuire alle scelte attraverso l’individuazione delle priorità
e la verifica delle linee guida nella pratica clinica.
7) Promuovere una cultura
di “osservazione” nei confronti delle distorsioni del sistema. In
particolare sollecitare la realizzazione di un osservatorio regionale
sugli screening, composto anche da MMG, tenuto conto che la diagnosi
precoce è un’importante area di criticità e sollecitare i
comitati etici affinché tutti i protocolli di ricerca riportino, in
maniera esplicita, veritiera e trasparente, la stima dei rischi
(acuti, subacuti e a lungo termine - ad esempio connessi all' impiego
di radiazioni ionizzanti) connessi agli esami proposti al paziente
per motivi di studio e di ricerca.
8) Favorire l’affermarsi
di fonti di informazione credibili, trasparenti e indipendenti
(recuperare la pubblicazione indipendente “Riflessioni sui
farmaci”).
9) Negoziare con i
cittadini patti di salute etici ed efficaci, richiamando gli abusi,
vigilando sull’appropriatezza delle prestazioni e denunciando
apertamente il disease mongering, ovvero tutte quelle strategie che
puntano ad aumentare il numero dei malati e di malattie con il solo
scopo di allargare il mercato della salute.
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