2018, Cinquantenario della morte di Capitini
Ricordiamolo con lo stesso spirito nel quale ha vissuto, con iniziative non istituzionali ma dal basso, che ricordino il libero religioso, rivoluzionario non violento che tendeva a “una società senza oppressi e l'apertura ad una realtà liberata e fraterna”
Aldo Capitini è uno dei più grandi perugini di tutti i tempi, il più buono dei perugini come l'ha definito Piergiorgio Giacchè in un suo scritto. Pensando a lui il primo pensiero va alla Marcia della Pace che inventò e fece svolgere per la prima volta il 21 settembre 1961. Ma è una visione restrittiva, Capitini è una personalità grande e complessa del ‘900 italiano, un libero religioso, uomo d'azione (non violenta) e di pensiero che ha avuto un ruolo importante nella storia del nostro Paese. Figlio del campanaro del Comune di Perugia riuscì a laurearsi a Pisa ed a diventare segretario della Normale. Posto che perse per non aderire al fascismo. Tornato a Perugia, Capitini visse di lezioni private e continuò la sua attività d’antifascista che gli costò privazioni, persecuzioni e galera. La sua stanzetta dietro l'orologio del Palazzo dei Priori divenne luogo d'incontro e di riferimento per tanti tra i più importanti antifascisti italiani. Calamandrei, Calogero, Ugo La Malfa, Bobbio, i Rosselli, Carlo Ludovico Ragghianti, Apponi, Walter Binni, Catanelli, Montesperelli, i giovani Franco Fortini, Giamie Pintor, Ciabatti, Tenerini, Rasimelli, Innamorati, Baldelli sono alcune delle personalità italiane e perugine che vi salirono. Non se ne rendevano conto, ma nelle loro discussioni e nelle loro menti stavano formandosi i primi impalpabili semi della futura Costituzione della Repubblica Italiana. Un'oasi di libertà, ha chiamato quella stanzetta Mario Spinella: “mi viene alla mente una visita ad Aldo Capitini, quando abitava nella torre campanaria del palazzo del Comune a Perugia. Tornavo dai littoriali di Trieste, ed ero vestito con l'uniforme dei Guf. Di avere quei panni quasi non mi accorgevo. Era stato un lungo viaggio, in piedi nel corridoio a discutere tutto il tempo con Giaime, a conoscerci, a riconoscerci,. […] Questi incontri, queste discussioni, e lo sforzo di capire erano per noi allora qualcosa che forse oggi è difficile intendere: come uno spazio conquistato, un accendersi di fari nel buio della notte, un uscire al vento all'aperto. E ora appunto un'altra di queste oasi, la perugina torre di Capitini mi attendeva”. Pochi metri quadri la stanzetta di Capitini dietro l'orologio del Comune che noi perugini dovremmo avere carissimi. Tenere compresenti a noi. Sgombri da ogni altra cosa che non sia l'azione, il pensiero e la vita di Aldo Capitini. Cosa che ora avverrà, sia per quella stanza che per il resto della sua abitazione, grazie alla sensibilità di Marco Pierini direttore della Galleria nazionale dell'Umbria. Quest'anno è l'anno del cinquantenario della morte del nostro grande concittadino avvenuta il 19 ottobre del 1968. La speranza è che associazioni e singole persone perugine ed umbre sentano il desiderio di ricordare a se stessi e agli altri chi è stato, cos'ha significato la sua azione e quanto siano importanti per il presente e il futuro della nostra città, della nostra Regione e del nostro Paese la sua azione, il suo pensiero e il suo esempio. E che lo facciano a partire dallo spirito che per tutta la vita animò Capitini facendo nascere iniziative non istituzionali ma dal basso, che ricordino - come Walter Binni fece scrivere nella sua tomba - il libero religioso, rivoluzionario non violento che impegnò la sua esistenza per tendere verso “una società senza oppressi e l'apertura ad una realtà liberata e fraterna”.
Cesare Barbanera e Vanni Capoccia
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