La città del vento
Mercoledi 18 marzo, Perugia nei versi di Ombretta Ciurnelli: un andare senza meta, con lo spirito curioso del viaggiatore, che nel disperdersi nei vicoli tortuosi ed erti ne ritrova il respiro nascosto, la sua gente, comunque capitinianamente com-presente
Mercoledi 18 marzo, ore 17 Biblioteca S. Matteo degli Armeni Presentazione del libro La città del vento, di Ombretta Ciurnelli Intervengono Manuel Cohen, Vincenzo Luciani
Ombretta Ciurnelli, La città del vento, Roma, Edizioni Cofine, 2013
Per poter parlare della nuova fatica poetica di Ombretta Ciurnelli e inquadrarla nel contesto territoriale di riferimento, occorre un discorso preliminare. È ormai da un decennio che assistiamo a una (nuova?) fioritura di poeti che usano la lingua perugina, un proliferare che si traduce in libri, manifestazioni e iniziative varie che meriterebbero di essere osservate con attenzione. Posso peraltro anticipare che, insieme ad alcuni amici e cultori della materia, stiamo abbozzando un’idea di un incontro-momento di riflessione. Sul piano qualitativo, pur volendo essere benevoli, non c’è granché, o comunque le poche voci non ripetitive e originali fanno fatica a emergere e a essere individuate, anche presso la ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Inoltre, una sorta di gabbia provincialistica e autoreferenziale ha impedito di allargare gli orizzonti poetici più oltre le (etrusche) mura della città, e ci si è troppo spesso ripiegati sulla rassicurante immagine di un passato sempre più passato, stancamente e ripetitivamente riproposto in versi. A ben guardare, anche i meritori sforzi dell’Associazione Umbra di Cultura Popolare e Dialettale “Il Bartoccio” (1984-1995), rinata con altri scopi lo scorso anno come “Società del Bartoccio” nella direzione della salvaguardia delle lingue locali, nonché della valorizzazione di tutte quelle forme artistiche che avevano scelto il dialetto come codice espressivo (poesia, teatro, canzone), hanno sortito trascurabili effetti, almeno su ampie fasce di “consumatori culturali” che affollano incontri e letture di poesia (anche in dialetto). A parte qualche voce appartata di lunga militanza poetica, su tutte Anna Maria Farabbi, con il suo lavoro di scavo e recupero del dialetto in poesia all’interno della sua ormai pluridecennale ricerca, pochi fermenti si sono potuti cogliere tra le numerose opere prime (o seconde), a fronte di autori ormai prossimi alla decina di raccolte pubblicate, tutte uguali a se stesse e scontate. Almeno dal 2007, anno d’esordio con il volume “Badarellasse ncle parole, abbecedario di acrostici” (Guerra Edizioni, Perugia 2007), Ombretta Ciurnelli fa il suo ingresso sulla scena poetica (non solo perugina, ché sarebbe oltremodo riduttivo). Usando un registro dialettale arcaico, espressione della realtà contadina del Pian del Tevere a sud della città di Perugia, morfosintatticamente ricco e articolato, ma lessicalmente ristretto come tutte le parlate espressione di culture orali di comunità agricole (si pensi alla penuria di nomi astratti - lontani dalla materialità della cultura di cui sono manifestazione - e anche di un’articolata e variegata aggettivazione), riesce, anche attraverso uno studio e una ricerca rigorosi, fin quasi alla maniacalità, a esprimersi poeticamente in maniera compiuta e modernamente attuale. Questa cifra artistica connota tutte le sue produzioni successive, dove si riscontra un costante sviluppo di un percorso che (ri)allinea anche la poesia nel dialetto nostrano a tutta quella corrente di autori che oggi per comodità definitoria vengono comunemente chiamati “neo-dialettali”. Il nuovo libro ne è una piacevole, quanto oramai attesa conferma. A una prima lettura, questa prorompente dichiarazione d’amore per la sua città, paradossalmente e volutamente, giocando con le parole, non dichiarata, sgombra definitivamente il terreno da tante dichiarazioni d’amore, oleografiche o furbesche, talora artificiosamente costruite, e quindi inautentiche, di cui sono disseminate a piene mani tante raccolte e poesie di autori locali. Si tratta di un amore totale, plurisensoriale, come plurisensoriale è la descrizione della città, delle sue mura, delle sue pietre, delle sue vie, borghi e vicoli, dove il vento imperversa e dinamizza cose e persone. È la narrazione poetica di una città raccontata appunto in tutti i sensi con acutezza e sensibilità, passando attraverso il buio, i silenzi, le armonie, i colori, gli odori-profumi, i gusti e i sapori, perché na città già da lia è puisïa, come recita l’ultimo verso della lirica d’apertura. Ma sta nelle capacità di chi scrive versi riuscire a cogliere questi tratti di poeticità quasi mai espliciti, spesso celati allo sguardo dei più, magari ritrovati nell’umiltà di oggetti d’uso quotidiano, quali, ad esempio, la tarina/zuppiera, che, in un angolo appartato di un mercatino delle pulci, si fa evocatrice muta di antichi splendori e vitalità. Oppure attraverso i racconti che il linguaggio delle pietre e dei mattoni ci consegna per il tramite di coloro, i poeti appunto, che sanno coglierne il codice e la sua potenza evocativo-espressiva. La lingua di quelle pietre, di quelle persone, di quelle atmosfere è il dialetto, ovvero la lingua della prossimità, garanzia di freschezza e autenticità; in altri termini, mutuando l’espressione dal campo del cibo, si tratta di una lingua “a chilometro zero”. Dialetto, ma non dialettalità (intesa come genere letterario prevedibile e scontato), peraltro consapevolmente negata. È un andare senza meta, lontano dai tempi e modi del turista, ma con lo spirito curioso del viaggiatore, che nel disperdersi nei vicoli tortuosi ed erti della città-vita ne ritrova il respiro nascosto, la sua gente, di oggi e del passato, comunque capitinianamente com-presente. Abbiamo finalmente una raccolta di versi che dalle nostre parti chi scrive queste note aspettava da tempo, almeno tutte le volte che aveva sotto mano autori e poesie di tante altre zone d’Italia, scritte nelle innumerevoli lingue locali, per cui inevitabile diveniva il raffronto, non tanto in termini agonistico-sportivi (per i quali bastano e avanzano i concorsi letterari e l’industria culturale che li produce), quanto di autenticità, novità e ricerca. Che dunque quest’ultimo prodotto di Ombretta segni un nuovo inizio e apra una stagione ricca di fermenti poetici pronti a trovare una forma adeguata anche nella nostra parlata locale!
Nome: Giovanni Commento: Concordo pienamente con le parole di Walter Pilini e anch'io considero Ombretta Ciurnelli l'autrice capace della svolta che da tempo aspettavamo, l'ingresso del dialetto perugino nel novero delle lingue locali capaci di rivolgersi ad un pubblico nazionale, ad altre sensibilità che non siano legate al nostro territorio. Il grande lavoro dell'autrice di ricerca, recupero e limatura produce versi che, magicamente, più prosciugano la loro essenza, più radicalizzano il loro significato e più si innalzano nel loro lirismo e nella loro capacità evocativa.