16/07/2024
direttore Renzo Zuccherini

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Spunti di riflessione sulla valutazione in base al merito
Che idea di scuola abbiamo, e cioè che idea di educazione, crescita, sviluppo? Questa è la domanda sottesa alla questione “valutazione”


Dovendo sostenere pubblicamente le ragioni per cui siamo contro l’avanzare del sistema del merito, quali argomenti pensiamo siano efficaci per dire ciò a cui teniamo?

L’illusione che sia il riconoscimento dei meriti individuali a determinare nuovi andamenti positivi nelle singole realtà lavorative, e quindi anche in quelle scolastiche, si sta sempre più diffondendo.

Per prima cosa ci rendiamo conto che la parola merito sta facendo molta presa nell’immaginazione popolare italiana. Il senso comune sta identificando il riconoscimento del merito come la soluzione a forme di disonestà, raccomandazioni, clientelismo nel servizio pubblico. A queste forme di corruzioni sempre più diffuse, non tanto nelle scuole ma negli alti settori delle istituzioni pubbliche, si pensa di fare argine identificando chi è più bravo, chi è più competente. Mettendo così l’accento sull’individualità, più che sulla dinamica collettiva.

 

Ecco i nostri spunti per la riflessione.

Valutare in base al merito significa istituire gerarchie, senza considerare le differenze di partenza: le opportunità a disposizione per le bambine e i bambini e le maestre, le condizioni ambientali per le scuole. Significa introdurre una autorità esterna per dare un punteggio agli istituti e di conseguenza ricevere o meno finanziamenti e ridurre la complessità del nostro lavoro di insegnanti a un punteggio.

 Per anni abbiamo sostenuto che è nella comunità, cioè nella relazione condivisa con altre/i in un dato contesto, che si cresce in consapevolezza e conoscenza e grazie alla ricerca e alla riflessione/aggiornamento. Un conto è fare un lavoro di gruppo per mettere a frutto ciò che si sa, imparare da altre/i, offrire i nostri punti di forza, un conto è vedere il frutto del proprio lavoro messo in una graduatoria e ricevere differenti finanziamenti. Non dimentichiamoci che la responsabilità non potrà essere mai differenziata per statuto. A chi insegna, su questo fronte, bisogna richiedere il massimo.

 La valutazione è un processo, cioè un atto complesso che implica la storia personale, le idee, le invenzioni e le prospettive dell’insegnante, oltre che le locali risorse, la collaborazione più o meno intensa tra colleghe e genitori, il clima educativo che nella scuola è determinato anche dallo stile dirigenziale; come tale si fonda su alcune condizioni: tempo, disponibilità individuale e collettiva, fiducia, umiltà, capacità di stare nel dialogo e nella contrattazione. Le maggiori competenze devono essere messe a disposizione di tutti, e le occasioni di aggiornamento/ricerca sostenute dall’amministrazione.

In un’epoca in cui il confronto è sempre più considerato generatore di conflitti o da evitare, per la difesa delle posizioni individuali, come tendono a essere le valutazioni? Evitate? Ipocrite? Quali pratiche permettono di uscire da questo scenario? La valutazione, o meglio i processi autovalutativi consapevoli sviluppati e condivisi all’interno di una comunità, nascono dal bisogno autentico di capire, migliorare e cambiare.

Dovendo sostenere pubblicamente le ragioni per cui siamo contro l’avanzare del sistema del merito, quali argomenti pensiamo siano efficaci per dire ciò a cui teniamo?

Il merito tradisce il senso della valutazione, perché valutare vuol dire dare valore, e non far primeggiare chi è più bravo, lasciando ai margini e penalizzando gli altri. Valutare è “condurre fuori” ciò che di buono c’è in ognuno, ognuna, e fare in modo che lieviti, a partire dalle condizioni soggettive, ovvero dalla storia personale e dalle differenti condizioni sociali.
È significativo che le modalità sperimentali di valutazione delle scuole si fondino sull’obiettivo di definire un punteggio delle scuole e finanziare solo quelle che si attestano ai migliori livelli di apprendimento delle studentesse/studenti.  Logica, buon senso, senso dell’economia, e tradizione educativa italiana consigliano esattamente l’opposto: sostenere chi è in difficoltà, in prospettiva, ripaga con miglioramenti di cui godranno tutti. La difficoltà in cui si può trovare una scuola per un’utenza difficile, per risultati che non si riescono a raggiungere, per un contesto sociale problematico, provoca molti guasti che si riversano prima sulla sua popolazione scolastica, poi sul territorio che non può più avvantaggiarsi di essa come centro propulsore di dinamiche positive, infine sulle altre scuole che vengono a essere investite di richieste di trasferimenti che fanno aumentare il numero di alunni per classe.
Il sistema di valutazione basato sul merito di fatto instaura una dinamica di giudizio dall’alto verso il basso e una gerarchia di posizioni; instaura una dinamica di potere. La scuola pubblica è un luogo dove si può mettere in discussione l’autorità, a partire da quella dell’insegnante, altrimenti è una scuola asservita. Attraverso il sistema del merito si instaura una forma di controllo con l’intenzione di mettere in competizione le/i singole/i insegnanti e le scuole. Viene deciso dall’alto quale è il miglior percorso formativo, quali le migliori competenze da possedere, senza comprensione e riconoscimento di quali guadagni e successi sono stati raggiunti finora per esempio dalle scuole primarie.
Il dibattito pedagogico e le iniziative del ministero secondo noi dovrebbero avere come principale fulcro il percorso scolastico costruito, a certe condizioni,  in tanti anni di sperimentazione nelle scuole dell’infanzia e primaria tra maestre/i, genitori e bambine e bambini: è da lì che passa prima di tutto l’idea di società che vogliamo costruire.
La reintroduzione del voto (2009) nelle scuole primarie è stato un atto scellerato. Il parto di una mentalità burocratica e negatrice dell’intelligenza didattica e educativa sperimentata e raggiunta da migliaia di maestre.
Questi anni di politiche volte a piegare la scuola verso una cultura dei premi e delle sanzioni, della riduzione della complessità, hanno provocato l’adesione di molte maestre a questo modo di intendere. Usare i voti è più sbrigativo, è autoassolutorio (carica sull’altro, il minore, la responsabilità dei presunti insuccessi), fa sentire chi li usa a posto, obbediente con le richieste che fa l’amministrazione pubblica.
C’è una responsabilità grande in tutti coloro che hanno partecipato a queste manovre di riforma nell’avere bruciato il terreno di anni di ricerca di parole e forme di valutazione che si fondavano su queste idee: sostenere la crescita, rilevare i progressi piuttosto che marcare le mancanze, articolare il giudizio con espressioni che non banalizzassero gli sforzi e le difficoltà che bambinie/i potevano incontrare, fare da mediazione tra bambine/i e padri e madri con i loro particolari sistemi valutativi.
Molte maestre di fronte a questo modo obbligatorio e disastroso di stare in rapporto con le  bambine e i bambine e l’apprendimento hanno continuato nel lavoro di tutti i giorni a utilizzare i giudizi e non i numeri, scegliendo di commentare per iscritto gli elaborati per spiegare, indicare, rilanciare, riconoscere. Niente voti vengono messi sui registri, niente voti sui quaderni, niente voti sulle prove di verifica, che pure vengono fatte. L’escamotage è di usare i voti solo nella compilazione del documento ufficiale quadrimestrale di valutazione.
Addirittura ci capita ora che, dopo 4 mesi di scuola, anche in una prima classe, con bambine/i di 5 o 6 anni, siamo obbligate a usare sulla scheda di valutazione i voti (di solito dal 5 al 10) riducendo i loro sforzi a un numero che immediatamente richiama al successo o all’insuccesso e soprattutto che ci non permette di tenere conto dei differenti livelli di partenza.
Le ricerche continuano a sottolineare che i tempi dell’apprendimento, per esempio del codice scritto (Emilia Ferreiro e Ana Teberosky), sono differenti e questo è fisiologico per gli esseri umani; bisogna anzi rilevare queste differenze e rispettare le fasi in cui ogni piccolo/a si trova. La spinta però che viene dalla legislatura e dalla mentalità dei dirigenti scolastici, sempre più autoritaria, è a essere “oggettive” nelle valutazioni, e certificare con i voti sopra il sei o sotto il sei chi è “bravo” e chi non lo è.
Anche le ricerche in ambito matematico (Rosetta Zan, Università di Pisa) testimoniano di quanto le esperienze e i giudizi negativi blocchino i processi di apprendimento della matematica. Creando disagio e sofferenza psichica e, in prospettiva, adulti che detesteranno questa disciplina.
Ricordiamo che la Provincia Autonoma di Trento ha stabilito che nel primo ciclo dell’istruzione la valutazione avvenga attraverso giudizi e non attraverso l’utilizzo dei voti; inoltre nei primi due bienni del primo ciclo la valutazione debba riguardare le aree di apprendimento e non le discipline. In Italia esiste quindi una realtà scolastica che è riuscita anche a livello legislativo a tenere fede alle conquiste educative e pedagogiche della scuola primaria. Realtà scolastica che si attesta tra le migliori della nostra penisola.
La scuola in questo momento ha intorno una società che la alimenta di alcune idee (individualismo, consumismo, intolleranza, qualunquismo, la legge non è uguale per tutti) che depotenziano il suo ruolo di mediazione tra differenze – di saperi, di culture, di identità. Anche la cultura del merito va secondo noi in questa direzione. La scuola primaria sta garantendo ancora pratiche di incontro, di conoscenza, di scambio che in altri luoghi sono decisamente in crisi. Per quanto tempo la scuola potrà avere tale funzione e riuscire nel suo intento?
Di cosa ha bisogno la scuola pubblica per funzionare? Di insegnanti distinte/i in livelli di bravura? Di insegnanti che percepiscono stipendi diversi, avendo tutte/i la medesima responsabilità, e cioè occuparsi al meglio che possono delle loro alunne e dei loro alunni?
Denunciamo che le proposte di legge avanzate e sostenute in questi anni, persino da alcuni sindacati, siano state elaborate a partire da questa idea: differenziare gli stipendi delle maestre offrirà nuova motivazione verso l’insegnamento e un giusto riconoscimento. Persino il presupposto su cui questa idea si fonda è tutto da rimettere in discussione: bisogna indistintamente migliorare le scuole primarie, senza rilevare i punti di forza che già ci sono; per farlo è necessario pagare diversamente le donne e gli uomini che vi lavorano e metterli pubblicamente in competizione attraverso una graduatoria.
La scuola in generale, e la scuola dell’infanzia e primaria in particolare, ha bisogno di maestre/i motivate/i, appassionate/i, serene/i.  Per questo bisogna puntare sulla condivisione, sulla generosità degli scambi. E sulla ricerca e l’aggiornamento. E bisogna lasciare gli incentivi per chi voglia dedicarsi per più ore a compiti e attività utili a tutti. Semplicemente e efficacemente. All’oggi invece non vengono più finanziate le ore per alfabetizzare le alunne/i che provengono da altri paesi, per seguire particolari attività di laboratorio, per sostenere chi è in difficoltà. I soldi spesi nella scuola sono sempre meno, oppure vanno in quei mastodontici progetti di valutazione nazionale degli apprendimenti e delle scuole.
Che idea di scuola abbiamo, e cioè che idea di educazione, crescita, sviluppo? Questa è la domanda sottesa alla questione “valutazione”.

http://www.retescuole.net/maestre-in-ricerca-e-movimento/spunti-di-riflessione-sulla-valutazione-in-base-al-merito




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Inserito martedì 2 dicembre 2014


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