L'onda della violenza
Editoriale di "l'altrapagina", luglio-agosto 2014
Sembra che trabocchi sui media israeliani il desiderio di vendetta, dopo l’uccisione dei tre ragazzi mentre rientravano a casa nella zona di Hebron. La risposta dei coloni non si è fatta attendere e un sedicenne arabo è stato trucidato e bruciato vivo mentre usciva dalla moschea nella città vecchia. Quattro adolescenti che rappresentano le vittime innocenti di un odio razziale che può sconvolgere le comunità e spingerle fino alla crudeltà più efferata. «Uccidi l’arabo», «odiare non è razzismo, è un valore», scrivono su Facebook alcune giovanissime, che si presentano con i capelli al vento e le unghie smaltate. Non bisognerebbe dimenticare le parole della madre del ragazzo palestinese: «Israele ha distrutto le nostre case, ha ucciso e arrestato per i tre coloni. Per mio figlio cosa è stato fatto?». Eppure l’omicidio di Eval Yafrach, Gikad Sahar e Nefatali Fraenkel, così come Mohmmad Abu Khdeer, dovrebbe spingere a superare l’impulso della vendetta. Purtroppo le emozioni collettive sono molto pericolose nell’epoca di Facebook fino ad arrivare all’omicidio. Dopo la pace di Oslo è stato un clima di odio collettivo a spingere l’assassino a uccidere Rabin. Solo dopo molto tempo i responsabili dei servizi segreti hanno chiesto scusa perché dei fanatici ebrei siano potuti arrivare fino al punto di uccidere il primo ministro. E ci sono persino dei violenti che imperversano sui media per invitare ad ammazzare i pacifisti israeliani. È importante abbandonare la vendetta, che rappresenta sempre una forma di crudeltà. L’assassinio di ragazzi innocenti, e ora il bombardamento di Gaza che al momento in cui scriviamo ha già provocato almeno 165 morti e oltre 1085 feriti, serve solo a terrorizzare un popolo intero e ad assolversi da questa vendetta. Come ha scritto l’ex presidente del parlamento israeliano Avraham Burg: «Tutta la società palestinese è una società di sequestrati. E lo siamo anche noi, quando entriamo nelle loro case di notte, a sorpresa e con violenza. Questo è un male e un’ingiustizia a cui tutti partecipiamo». In fondo è la nostra umanità che distruggiamo, con l’illusione di annullare quella del nemico. Non rimane quindi che la via del dialogo, per andare oltre la barbarie del crimine politico o razziale. Per questo sono inquietanti le affermazioni di un movimento giovanile israeliano: «L’esercito non si fermerà fino a quando non avrà 300 prepuzi di Filistei». Insomma 100 arabi morti per ogni israeliano ucciso. Purtroppo è una memoria che fa ancora male.
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