Noi lo paghiamo, per noi deve lavorare!
Sulla legge di iniziativa popolare per democratizzare il nostro servizio sanitario.
Quando nel 2009
scoppiò lo scandalo per “l'uso privato del pubblico”
riscontrato, al di là degli effettivi risvolti giuridici, nella
gestione della ex ASL3 di Foligno e che portò alle dimissioni
dell'allora Assessore alla Sanità Riommi, in Umbria molti
cittadini, associazioni consumatori e società scientifiche
iniziarono a riflettere sulle modalità con cui un servizio
sanitario potesse essere sottratto alla sostituzione dei fini
operata da amministratori e dirigenti, eletti i primi e pagati i
secondi proprio per garantire la rispondenza a bisogni di salute e di
assistenza.
La “conricerca”
realizzata nel 2009- 2010 dal “Comitato per la democratizzazione
del nostro servizio sanitario” fece emergere come proprio
l'aziendalizzazione della sanità, inappropriata sia per le
caratteristiche proprie del bene salute che per il particolare
funzionamento della sanità in quanto organizzazione professionale,
avesse mutato la natura del servizio sanitario, che, nato per
favorire la partecipazione dei cittadini alla tutela della salute, si
è trasformato sotto i nostri occhi in una struttura sempre più
autoritaria, tecnocratica ed autoreferenziale, dove gruppi di
interesse particolare possono esercitare, attraverso dirigenti
nominati in ossequio al principio di obbedienza, scelte a favore
di se stessi.
Il grande bagno di
democrazia del referendum popolare con cui 27 milioni di cittadini -
58% degli aventi diritti al voto, una percentuale impensabile per chi
oggi, “forte” del voto di un italiano su cinque, si arroga il
diritto di fare a pezzi la Repubblica italiana per sostituirla con
una repubblica funzionale alle elites del mondo finanziario ed ai
settori politici più coinvolti nella corruzione e nel malaffare -
hanno detto no al nucleare (esprimendo con ciò amore per la vita
presente e futura e visione strategica) e chiesto una gestione del
bene comune acqua che la sottraesse alla smania di profitto dei
capitalisti, ha ovviamente “contaminato” la nostra riflessione,
rafforzando la battaglia per la democratizzazione della nostra
sanità.
Si è così aperta la
discussione, cruciale, sulle forme possibili di
gestione: se in sanità il modo di gestione privato non
funziona (non troverete in letteratura scientifica un solo articolo
serio che ne dimostri la capacità di tutelare la salute di una
popolazione), quello “pubblico” ne sostituisce i fini
grazie al degrado raggiunto dalle forme di rappresentanza nella
contemporaneità e la conseguente corruzione diffusa tra eletti ed
amministratori (tra il 2013 ed la prima metà del 2014 sono state
attivate in Italia più di 50 indagini giudiziarie connesse o a gravi
omissioni di interventi come a Taranto e nella Terra dei Fuochi o ad
episodi di corruzione nella gestione di appalti, strutture e
nell'accesso ai servizi sanitari): inutile fare nostalgiche battaglie
per tornare ai tempi (irrimediabilmente passati) in cui fu varata la
legge istitutiva del Servizio Sanitario che pure resta una delle
leggi più avanzate mai approvata in quello che nel 1978 era
“l'Occidente capitalistico”.
Ecco allora
svilupparsi una riflessione condivisa sulla necessità di promuovere
elementi di gestione comune della sanità in modo da far si
che i cittadini e soprattutto i loro bisogni di salute e di
assistenza riescano finalmente a contare di più, riappropriandosi in
primo luogo proprio del controllo dei fondi che fanno funzionare il
servizio sanitario, che come tutti sanno vengono dai cittadini che
pagano le tasse: in sostanza opporsi all'uso privato del pubblico
significa fare in modo che noi che paghiamo il servizio sanitario
creiamo le condizioni per cui questo lavori per noi.
Più fattori hanno
concorso alla costruzione di questo fondamentale processo di
innovazione politica: in primo luogo le lotte per la salute e
l'ambiente hanno visto in Umbria nascere e radicarsi molte esperienze
di rappresentanza dal basso in cui cittadini esposti a rischi
involontari per la presenza di inceneritori, discariche, cementifici,
impianti di produzione di energia da biomasse o insediamenti
produttivi o per la semplice utilizzazione di materiali insalubri
(es.: plastiche nella refezione scolastica), vedevano la propria
domanda di salute evitata dai servizi di prevenzione ambientale di
ASL e ARPA, addirittura sottratti i primi alle relazioni con i
territori tramite la costituzione di Dipartimenti di Prevenzione
esterni ai distretti sanitari, cioè autoreferenziali rispetto ai
bisogni di salute, mentre l'ARPA si sostanzia in un organismo
tecnocratico che non prevede alcuna forma di interazione strutturata
con chi dal basso segnala rischi per la salute e danni all'ambiente!
Oltre all'ingiustizia
ambientale anche l'ingiustizia distributiva ha dato il suo
contributo alla ricerca di una migliore sanità, “grazie” alle
sperequazioni che, costruite due ASL grandi ognuna quanta mezza
Regione, derivano dal fatto che non sono equi i meccanismi di
distribuzione dei fondi ai diversi territori che le compongono,
segnati da diverse dotazioni di servizi e condannati dalla attuale
legge regionale a ricevere fondi sulla base della spesa storica e
quindi a restare con i servizi che hanno: si da di più a chi ha
già di più e si da di meno a chi ha già di meno, il che spiega
bene la lotta di alcuni gruppi di interesse locali per conquistare il
controllo politico sulle direzioni aziendali di ASL ed Aziende
Ospedaliere (che godono di ampia discrezionalità nella assegnazione
di risorse) e la reazione di alcuni territori che come nell'Orvietano
e nel Ternano, sentendosi sovradeterminati ed espropriati di risorse
e sovranità, hanno fornito un grande contributo alla nostra
proposta.
Nel processo di
elaborazione collettiva per la gestione comune della sanità hanno
avuto il loro peso anche le indicazioni di prestigiosi economisti,
come Elinor Ostrom, premio Nobel per l'economia nel 2009, che con i
suoi studi ha fatto emergere alcune condizioni attraverso cui delle
comunità in diverse circostanze e diverse parti del mondo, sono
riuscite a mantenere vive ed efficienti nel tempo esperienze di
gestione comune, dimostrando appunto che oltre ai modi di gestione
privato e pubblico, esiste anche un terzo modo di gestire i beni
collettivi (chi volesse approfondire questi aspetti può consultare i
materiali presenti nel sito di ISDE Umbria). Secondo Ostrom un common
non si esaurisce se:
1) la comunità che
lo gestisce assume una chiara definizione delle possibilità e dei
limiti della risorsa;
2) le regole in uso
sono adeguate alle esigenze ed alle condizioni locali;
3) tutti gli
individui tenuti a rispettare queste regole possono partecipare alla
modifica delle stesse;
4) il diritto dei
membri della comunità a stabilire le proprie regole è rispettato
dalle autorità esterne;
5) esiste un sistema
in grado di auto monitorare il comportamento dei membri;
6) opera un sistema
di sanzioni progressive;
7) i membri della
comunità hanno accesso a meccanismi di risoluzione dei conflitti a
basso costo.
Tutto questo ha
portato alla presentazione nell'autunno 2012 di proposte per
migliorare la legge regionale di organizzazione del Servizio
sanitario, proposte che, se non sono riuscite a modificarne
l'impianto durante la stesura, hanno però trovato riscontro in un
ordine del giorno dei capigruppo della maggioranza in Consiglio
Regionale (delibera n 185 del 6 novembre 2012) che impegnava la
Giunta Regionale a valutare la possibilità di procedere ad una
ripartizione del fondo sanitario analoga a quella da noi richiesta,
entro i tre anni di attività della legislatura regionale. Per rafforzare questo
indirizzo istituzionale, della cui assunzione da parte della Giunta
non siamo stati capaci di cogliere segnali, abbiamo così promosso
nell'autunno inverno 2013-2014, una campagna di raccolta di firme su
una legge di iniziativa regionale per modificare gli articoli della
vigente legge di organizzazione del Servizio Sanitario Regionale,
concentrandoci proprio sugli aspetti del finanziamento, della
programmazione e valutazione partecipata e della titolarità di chi
nei territori vive e lavora a concorrere al governo di tutti i
servizi che pure finanzia al fine di ricevere una appropriata
risposta ai propri bisogni di salute e di assistenza (nel sito di
ISDE Umbria trovate il testo delle modifiche di cui si chiede
l'introduzione:
http://isdeumbria.wordpress.com/proposta-di-legge-di-iniziativa-popolare/
).
La campagna è stata
supportata da una forte iniziativa dal basso tra quanti condividevano
il problema, creando una tanto eterogenea quanto funzionale
aggregazione di soggetti ( molti comitati territoriali, alcune
associazioni di cittadini e di attivisti sociali, parti di partiti
politici – il PDCI dell'Orvietano e del Ternano che ha aperto una
riflessione sulla gestione comune nello sforzo di innovare i propri
orizzonti programmatici – società scientifiche come ISDE,
singolarità, ecc), portando alla creazione di una rete regionale
capace di raccogliere le tremila (3000) firme necessarie, con ciò
dimostrando che tematiche concettualmente astratte possono divenire
oggetto di condivisione ed iniziativa politica da parte di ampi
settori della popolazione, ove rispondano a problemi reali. Come informa il
comunicato dell'agenzia stampa del Consiglio regionale
http://www.consiglio.regione.umbria.it/informazione-e-partecipazione/2014/07/10/sanita-potenziare-partecipazione-e-trasparenza-modificare-l
giovedì 10 luglio si è
svolta la prima audizione, in cui siamo stati ascoltati dalla prima e
terza commissione consiliare riunite in seduta congiunta; dopo
l'audizione, alcuni consiglieri hanno espresso pubblicamnte
interesse, una attenzione di cui li ringraziamo.
Pur nell'assenza di un
calendario definito dei lavori che nei prossimi mesi queste
commissioni svilupperanno per raccogliere pareri e valutazioni sulla
nostra proposta di legge – ci è stato detto che i lavori
riprenderanno verosimilmente a settembre – si tratta di continuare
a sviluppare la costruzione di quella rete di relazioni e alleanze
tra comitati che lottano su salute e ambiente, territori che si
battono contro l'ingiustizia distributiva e gli altri movimenti che
attraversano con le loro istanze di democrazia la nostra società: in
particolare in questo momento, oltre alle relazioni già acquisite è
molto importante sollecitare prese di posizione da parte dei sindaci
e delle amministrazioni comunali, che molto spesso si
vedono scavalcati dalle decisioni assunte sulla sanità dei loro
territori e possono quindi rappresentare ulteriori alleati, puntando
a far prendere posizione all'ANCI regionale.
Se in generale è poco
probabile che in questo specifico quadro politico le nostre proposte
verranno accettate, è in ogni caso molto importante continuare a
lavorare per rendere sempre più ricca e diffusa la rete di quante e
quanti pensano che debbano essere messe in atto, sotto diverse forme
e in diversi contesti: prendere il controllo dei servizi che pure
paghiamo è un processo lungo e difficile, che vede le elites ed i
loro rappresentanti schierati per imporci i loro interessi e
espropriarci della ricchezza che produciamo in comune, in un
crescendo di attacchi quotidiani alla nostra vita ed alla qualità
del nostro ambiente che svuota di senso la prima e devasta
irrimediabilmente il secondo, al solo fine di fare ancora più soldi. Alla pochezza delle
elites e della finanza, rispondiamo arricchendo ogni giorno di più
la nostra capacità di gestire in comune la nostra vita.
Carlo Romagnoli
Comitato promotore proposta di legge di
iniziativa popolare
(carloromag@yahoo.it)
Carlo Romagnoli
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