16/07/2024
direttore Renzo Zuccherini

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Il ritorno del centralismo
Sopravviviamo amministrando l'esistente e così è anche la politica, povera, ormai da tempo, di una classe dirigente capace di immaginare il potere locale come il motore di una nuova rinascita regionale e di un cambiamento che non si può più rinviare

 
Dopo la nascita della Regione, nel 1970, pensavamo di sentirci finalmente padroni a casa nostra e che il bottone del potere fosse a portata di mano, bastava spingerlo, in qualche stanza segreta. Sognavamo di mandare a casa i prefetti e magari di chiudere le Camere di Commercio. Che bisogno c'era di tutte queste strutture dello Stato nel tempo delle Regioni e del potere dal basso? Invece sloggiano le Province, le comunità montane e molte altre forme di autogoverno locale. Questione di costi, come se il problema riguardasse solo tutto ciò che non è emanazione del potere centrale, dei ministeri, della vasta burocrazia dello Stato. La grande corsa del sogno autonomista è finita davanti al muro della propria sconfitta. E' vero, chiudono anche i tribunali, gli uffici postali, magari qualche caserma dei carabinieri, ma è la domanda, nel suo complesso, di servizi nel territorio che viene messa in un canto. Le logiche fredde della revisione delle spese che, si presume, si debbano considerare inutili, non guardano in faccia nessuno. Avremo anche città meno illuminate e questo darà un tocco di maggiore fascino ai nostri centri storici, alla fine.
E' un passaggio d'epoca al quale assistiamo con rassegnazione e un po' di nostalgia, come quando, alla fine di uno spettacolo, scende silenziosamente il sipario e conserviamo ancora per un po' confusamente in testa la trama della storia che abbiamo visto rappresentata sul palcoscenico. Su questa mezza rivoluzione si dovrà però, alla fine, fare qualche pensiero, magari proprio adesso, alla vigilia delle elezioni comunali e di quelle europee, curiosamente insieme. Eleggeremo la più piccola e più vicina istituzione che abbiamo e anche la più antica e poi quella più grande e più lontana, la grande idea di un mondo più vasto che si parla oltre i vecchi confini. E' la fine delle piccole patrie anche se non vediamo un sogno nuovo che nasce.
Il sogno europeo resterà sempre confuso e morirà ogni giorno all'alba se non viene arricchito e in qualche modo legittimato da un potere locale forte, consapevole, che abbia come protagonisti i cittadini, i signori delle città, la civitas, la forza più dinamica e creativa che l'uomo ha plasmato nel corso della sua storia.
E' con questi pensieri dentro di noi che dovremo andare a votare alla fine di maggio dopo aver ascoltato tanti discorsi e, purtroppo, tante chiacchiere. Una cosa però dovremmo averla capita, almeno qui da noi, nei nostri territori, nei nostri comuni. Questo passaggio d'epoca non ci porta soltanto una qualche forma rinnovata di centralismo statale ma anche la fine del modello dello stato sociale che la rete del potere locale in Umbria ha, con qualche successo, rappresentato. Questo non vuol dire che non avremo più i nostri asili, gli ospedali, le scuole, le reti diffuse di servizi sociali nel territorio. Resteranno, ma senza più la forza dinamica di una scommessa per un futuro migliore e sempre con il rischio di qualche altro taglio e con addizionali locali, insomma più tasse, decisamente importanti. 
Certo, gli scandali di questi ultimi tempi, gli sperperi che hanno toccato molti consigli regionali in Italia hanno contribuito a peggiorare la situazione e la popolarità delle istituzioni locali. In Umbria non saremo perfetti, però non c'è stato nessun consigliere che con i soldi pubblici si sia comprato le mutande rosse, bianche o azzurre, a seconda delle sue appartenenze politiche. Siamo più trasparenti di tanti altri, anche se non lo siamo in assoluto, ma abbiamo perso da tempo la forza propulsiva di una regione piccola ma innovativa. Sopravviviamo amministrando l'esistente e così è anche la politica, povera, ormai da tempo, di una classe dirigente capace di immaginare il potere locale come il motore di una nuova rinascita regionale e di un cambiamento che non si può più rinviare. Un limite, per  la sinistra, imperdonabile.
                                                                                                                                                                                                          renzo.massarelli@alice.it
(per il Corriere dell'Umbria, sabato 29 marzo 2014)



Renzo Massarelli

Inserito mercoledì 2 aprile 2014


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