Mercato scoperto
Umbria grida terra, dal 7 al 9 marzo 2014
Il programma: Umbria grida terra.pdf
Chi siamo Non ci interessa la poesia del disincanto, né l’arte dello sventolar bandiera. Quello che ci interessa è incontrare persone che come noi sentano l’esigenza di “produrre libertà”. In un contesto storico come quello in cui la nostra generazione sta (soprav)vivendo, in cui la logica della speculazione finanziaria sembra aver detronizzato le antiche divinità, sostituendo quelle che erano vecchie certezze con nuovi dogmi, dirottando il fine della politica dall’essere umano al mercato, sentiamo la necessità di “ipotizzare” che un altro mondo sia possibile. Ipotizzare: questo sì che è un verbo rivoluzionario! Rivoluzionario perchè soltanto partendo da una chiara, lucida, alternativa crediamo sia possibile il passaggio dallo stato di cose attuale ad uno stato di cose “migliore”. L’ontologia del nuovo millennio rovescia di fatto se stessa, semplicemente perchè non fondata sull’essere, ma sull’avere…anzi, sull’acquistare. Lo sviluppismo, l’attuale ideologia dominante basata sulla ripetitività della carenza al fine della produttività materiale, ha steso il tappeto rosso ai grandi colossi finanziari sulla strada del dominio mondiale, sostituendoli di fatto agli Stati nazionali, ai popoli sovrani. Il paradosso storico è che se “noi siamo lo Stato” e gli stati sono subordinati alle leggi di mercato, noi stessi possiamo essere acquistati, svenduti, consumati. La politica è un riflesso di un sistema di pensiero, di valori, che -tecnicamente, se la situazione attuale ne è il risultato- pensiamo vada cambiato. Noi non crediamo a nuove divinizzazioni, noi non crediamo, pensiamo. Pensiamo che l’unico modo di concepire una nuova idea politica, che sia una politica della persona, non una politica “dell’accordo tra pochi”, possa partire esclusivamente dal basso e dalle singole realtà locali. Non abbiamo la presunzione di avere in tasca soluzioni a macroproblemi, ma l’esigenza di ri-costruire l’uomo decostruendo il consumatore. La ricerca che sentiamo di dover intraprendere è una ricerca innanzitutto valoriale, è la ricerca dei nostri ruoli nei nostri spazi, la ricerca di una dimensione conviviale, di una struttura culturale, di una nuova (antica) socialità. Citando il poeta Franco Arminio “vogliamo moltiplicare le nostre prove tecniche di comunità tra chi pensa che quando i luoghi in cui si vive zoppicano è inutile pensare di farli camminare, meglio pensare di farli volare”. Prove tecniche di comunità: da qui l’idea di un festival, partendo dal presupposto che la parte più interessante della festa consista nel cammino stesso verso la sua realizzazione: un progetto, appunto, un qualcosa che -letteralmente- si lancia verso il futuro. Costruire un festival, progettare un movimento culturale in fieri, è per noi un piccolo, primo passo verso una decostruzione della politica, verso una riappropriazione della politica. Politica significa “ciò che riguarda la città”, per estensione “ciò che riguarda lo Stato”. Noi siamo la città nella stessa misura in cui siamo lo Stato; e sappiamo che le singole realtà locali sono piccoli specchi che riflettono una stessa unica concezione socio-economica. Perchè questo sistema di micro-cosmi dominati dalla gravità dei mercati, rivelato col linguaggio asettico della finanza, possa tornare a produrre vita, perchè possa attuare una valutazione dell’azione in relazione all’ essere, occorre che da noi in primis parta un atto di responsabilizzazione, nei confronti di noi stessi e nei confronti della società. Perchè se è vero che l’uomo è un “animale sociale”, l’uomo alieno dallo spazio sociale torna ad essere bestia. L’impostazione culturale dominante è strutturata sulla base del processo di individualizzazione del soggetto, processo che viene mediato da un controllo totale dei mezzi di comunicazione di massa da parte delle elitè dominanti, elitè in grado di definirsi tali perchè espressione di un sistema economico basato sulla grande truffa dell’iniquità elvata a legge: il neoliberismo. “Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace”, suggeriva Tacito. Ebbene oggi questo deserto chiamato pace è il deserto che regna nelle piazze delle nostre città, nel vuoto degli spazi sociali, nella mercificazione della vita, nella decentralizzazione dei flussi e delle attività, dall’antico teatro di confronti umani al nuovo centro commerciale. Se esiste uno spread, reale, è quello socio-culturale, espressione, frutto, di una struttura anti-umanista, del trionfo intellettuale della predominanza economicista. Vogliamo che la politica torni ad occuparsi della vita, per questo le nostre vite devono occuparsi ed essere occupate da spazi politici. Ipotesi, tesi, sintesi. Abbiamo deciso di chiamare questo progetto “Paul Beathens” (pseudonimo di Paolo Vinti, personaggio di cui -pensiamo- non servono presentazioni) perchè il suo occhio verso la città, teatro di confronti umani, possa essere anche il nostro occhio, il nostro punto di vista, per poter auspicare che una città come Perugia, nel suo piccolo, possa tornare a vivere di socialità, di cultura; nelle strade, nelle piazze, al di fuori delle vetrine commerciali che la stanno soffocando da anni, al di fuori della solita logica del tornaconto economico a breve termine, al di fuori del punto di vista industriale, per un punto di vista “conviviale”. Vogliamo una città viva, e sentiamo l’esigenza di rianimarla insieme: è il nostro “vertenzializzare”. Intendiamo iniziare questo percorso di pensiero col dare spazio a quelle realtà popolari che sono la vera anima, la profonda psiche di una città, e quindi di uno Stato; creare uno spazio sociale di confronto, scambio, una piattaforma su cui poter edificare le nostre aspettative per un’altra Perugia, per poter “disegnare” insieme un nuovo ambito urbano, un piccolo riflesso dell’Italia di domani che vorremmo, non centro commerciale a cielo aperto, non ghetto, non caserma, ma contenitore di vite, di esistenze umane. “Arte-concetto-cultura/divaricati dal potere, dalla moneta e dalla decisione”. Con emozione altissima!
Progetto Paul Beathens
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