La Piazza è una scelta "politica"
Una poesia di Patrizia Cavalli e alcune considerazioni: La Piazza Grande fu voluta dal popolo
Aria pubblica di Patrizia Cavalli L’aria è di tutti, non è di tutti l’aria? Così è una piazza, spazio di città. Pubblico spazio ossia pubblica aria che se è di tutti non può essere occupata perché diventerebbe aria privata. Ma se una piazza insieme alla sua aria è in modo irrevocabile ingombrata da stabili e lucrose attività, questa non è più piazza e la sua aria non è che mercantile aria privata. … Dunque una piazza va lasciata in pace, non è merce da farne propaganda. Ci pensa lei da sola ad animarsi, quello che importa è che sia pubblica piazza. Si vuota si riempie e poi si vuota, accoglie chi sta fuori e lo contiene finché sta fuori, che prima o poi dovrà tornare dentro. E se non è così non è più piazza, è privata terrazza o lugubre infinito lunapark. … La Piazza è una scelta politica Questa poesia, proposta da Vanni Capoccia - che ringrazio - mi ha fatto scattare una serie di considerazioni, che voglio provare ad esporre, lasciando ad esse il carattere un po’ emozionale e disordinato con cui sono nate. Un elemento forte della costruzione degli spazi urbani è stato sempre, nel tempo, il valore politico attribuito alla persona: regimi oligarchici o tirannici, tanto per semplificare, hanno preferito architetture enormi e un piano urbanistico incentrato sui luoghi del potere; viceversa, società più democratiche hanno seguito un disegno della città che tenesse conto delle relazioni tra le persone. L’esempio di una società orientata verso il potere diffuso può essere, per me, il Comune medievale di Perugia, governato per quasi duecento anni da un sistema complesso di cinque rioni paritari e ben quarantadue collegi delle arti (tra maggiori e minori). Ebbene, la struttura della città (malgrado le inevitabili trasformazioni nel tempo) mostra ancora chiaramente una articolazione altrettanto complessa, incentrata sulla Piazza Grande e sulle cinque vie regali, con gli edifici pubblici distribuiti su di esse secondo l’importanza. La Piazza Grande non è un luogo naturale, ma è una costruzione artificiale, voluta dal Comune popolare, che, a cominciare dall’XI secolo, ha riempito l’avvallamento che esisteva tra il Colle del Sole a nord e il Colle Landone a Sud. La Piazza fu poi allargata verso est (oggi Piazza Matteotti) con grandi sostruzioni arcate. La Piazza non c’era: fu voluta dal popolo. Era una piazza che, praticamente, occupava l’attuale Piazza Danti, la parte orientale del Duomo, la piazza IV Novembre, l’inizio del Corso fino a Piazza della Repubblica, e la stessa Piazza Matteotti (detta del Sopramuro), poi detta Piazza Piccola. Sulla Piazza si affacciavano i palazzi pubblici: del Podestà, dei Consoli, dei Priori, dei Notari e di altri Collegi, del Capitano del Popolo... Al centro della Piazza, la Fontana, monumento civile e simbolico ad un servizio pubblico. A che serviva una Piazza così grande, in una città in cui le mura (ancora quelle etrusco-romane) rendevano raro e prezioso il suolo rispetto ad una popolazione in rapido aumento? Evidentemente, serviva a contenere il popolo quando vi si radunava per le grandi decisioni: non a caso, mano a mano che a Perugia diminuiva il potere del popolo, la Piazza veniva decurtata di una sua parte, o per meglio dire di una sua funzione (e di un suo Palazzo): finito il Comune popolare, il Duomo ne occupò un lato, il palazzo dei Consoli e quello del Podestà (poi di Braccio) sono scomparsi, il palazzetto dei Notari è stato tagliato a metà... Nella Piazza si svolgeva il mercato (ancor oggi ne abbiamo traccia nel nome della scala della Vaccara, mentre la parte nord, oggi Piazza Danti, era detta piazza delle Erbe o della Paglia); i notai certificavano gli scambi; spettacoli, cerimonie e riti (come il corteo delle Sommissioni il 1° marzo) avvenivano in Piazza; persino la Battaglia dei sassi, inizialmente, si svolgeva in Piazza. Andare in Piazza significava entrare in contatto con tutti, con la città: significava prendersi una parte (anche piccola) di potere. Oggi parleremmo di un uso polifunzionale, ma non generico: infatti, tutte le funzioni erano subordinate a quella “politica”, cioè alla gestione del bene comune della città. Che questa predominasse anche su quella religiosa (che pure le era intrinseca) è testimoniato dall’architettura, cioè dal contrasto tra la compiutezza e lo splendore dei palazzi pubblici e della Fontana, rispetto ad un Duomo incompiuto e grezzo. In scala ridotta, ognuno dei cinque rioni ripeteva lo schema della Piazza su cui affacciavano gli edifici pubblici (ad es. le chiese, gli ospedali...): in questo modo, la centralità del comune non negava ma riassumeva le particolarità locali. A cosa può servirci oggi un modello come questo? Non si possono certo abbattere le periferie a misura di automobile, gli immensi condomini, i centri commerciali, le multisala e i centri servizi, che un modello di sviluppo tutto teso al profitto immediato ha sviluppato in aree estesissime e non più a misura d’uomo né di donna. Si può tuttavia (e si deve) tentare di ridisegnare, in un paesaggio urbano deteriorato e informe, alcuni spazi urgenti e indispensabili, costruiti non attorno alle merci o al profitto immediato, ma intorno alla persona ed ai suoi bisogni primari: l’aria, l’acqua, il cibo, il movimento, la relazione... Sembrerà strano, ma la civiltà dei consumi che pretende di soddisfare tutti i desideri non è in grado di soddisfare questi bisogni. L’aria è ammorbata dalle polveri sottili, l’acqua è a rischio privatizzazione, il cibo arriva da chissà dove e pieno di chissà quali veleni, muoversi in città è penoso, lento e costoso, incontrarsi con gli altri è sempre più difficile. Ma se ripensiamo alla nostra Piazza, che non esisteva ma è stata costruita per volontà politica, ci rendiamo conto che un progetto diverso è possibile: la Piazza è una scelta politica, una scelta di democrazia e di rispetto della persona nel suo ambiente (umano, relazionale, naturale). Facciamo della Piazza un progetto “politico”, cioè civico e democratico.
Renzo Zuccherini
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