Non nel loro giardino
Il convitato di pietra di tutta questa storia che è il presidente di Adisu, avrebbe almeno potuto spiegare agli architetti quanto sia prezioso per i perugini il territorio davanti a San Bevignate
San Bevignate non sembra nemmeno una chiesa quanto piuttosto una casa fortificata, un monumento al silenzio, un inno alla solitudine. Se ne sta lì, in quel breve falsopiano che si attraversa prima di affrontare le vie scoscese che portano al fiume, assolutamente indifferente a tutto ciò che gli passa intorno. Forse per questo la sapienza dell'uomo ha scelto lo stesso luogo per seppellire i propri cari, sei o sette secoli dopo. Il camposanto e la chiesa non si parlano, anche se conoscono lo stesso linguaggio immateriale e incomprensibile della morte e delle eterne sepolture. Ora, se l'uomo contemporaneo fosse capace di intendere il senso di ciò che ha prodotto nel corso della propria storia saprebbe benissimo dove costruire le abitazioni e soddisfare le proprie esigenze di comodità e di sviluppo senza il bisogno del piano regolatore e delle inevitabili varianti. Invece non ne è capace e così procede alla cieca avendo perso un po' alla volta il suo rapporto con il territorio e la memoria di ciò che gli appartiene. Per questo San Bevignate non ascolta il chiacchiericcio della città né si preoccupa di quella specie di lombrico che vorrebbero mettergli vicino. Lo sa come è fatta la gente e si ricorda meglio di qualunque altro lo stato miserevole in cui fu lasciato per tanto tempo. Adesso che lo scandalo, nel senso biblico del termine, ("se il tuo piede è motivo di scandalo, taglialo e buttalo via" ) è pubblico e non si può più nascondere, i responsabili non sanno cosa dire. In genere, se le proteste vengono da associazioni ambientaliste o da qualche comitato cittadino, rivendicano un interesse generale contro l'egoismo di una minoranza che non vorrebbe veder realizzato qualcosa che possa disturbare la quiete del proprio giardino. Se la cavano sempre così. Solo che questa volta la sindrome Nimby, al massimo, potrebbe essere attribuita a San Bevignate o al cimitero, ma non si può. Allora c'è chi dice: " Ma come, dopo sette anni protestano proprio ora?" Beh, sono proprio loro, quelli dei palazzi perugini, ad aver avuto sette anni di tempo per rendersi conto della gravità di quello che stavano facendo e per poter rimediare, mentre le ditte che miravano all'appalto se le davano a colpi di ricorsi al Tar. Anche la minoranza del consiglio comunale la cui capacità di fare opposizione è nota e apprezzata ad ogni elezione che ci manda il calendario, accusa i comitati di non aver condiviso la loro battaglia di sette anni fa, che produsse uno storico voto contrario. Succede sempre così. Il gioco dello scaricabarile ha mille mosse e un'infinità di varianti. In realtà, se non ci fosse in questa città qualcuno capace ogni tanto di opporsi alle cose sbagliate, ci troveremmo ancora in una specie di terreno melmoso dove risulta complicato persino pronunciare parole come ambiente, territorio, paesaggio senza correre il rischio di essere definiti nei palazzi del potere dei patetici contemplativi. Forse, dopo questa storia di San Bevignate le cose cambieranno, ma non è sicuro. La protesta dei cittadini è entrata ora nei giardini di coloro che hanno in mano le chiavi del nostro territorio e, quindi, della nostra storia. Il progetto predisposto da una "Associazione temporanea di professionisti" sorta ad Avellino proprio nel 2007 non sembra ora agli esperti che sia collocata entro un modello di perfezione, come hanno invece sostenuto gli amministratori di Palazzo dei Priori. Il convitato di pietra di tutta questa storia che è il presidente di Adisu, l'agenzia regionale per il diritto allo studio, che ha frequentato il liceo proprio dalle parti di Avellino, avrebbe almeno potuto spiegare agli architetti di quella zona quanto sia prezioso per i perugini il territorio davanti a San Bevignate, ma non è tutta colpa sua. Ci siamo seduti un po' tutti ai margini del mondo, come questa nostra chiesa, e non produciamo ma solo consumiamo la storia. La nostra storia. renzo.massarelli@alice.it (per il Corriere dell'Umbria, sabato 1 marzo 2014)