5 Broken Cameras
La Palestina divisa candidata agli Oscar. La storia di un contadino palestinese che lancia la sua protesta pacifica nei confronti dell'esercito israeliano. Giovedì 30 gennaio
Cinematografo Comunale S.Angelo di Perugia spettacolo unico ore 20,30
Regia: Emad Burnat, Guy Davidi Alegria Productions, Burnat Films, Guy DVD Films Nazione: Francia, Olanda, Israele, Palestina Genere: Documentario “5 broken cameras”. Di fronte alla giuria dell'Academy di Los Angeles il documentario di Emad Burnat (palestinese) e Guy Davidi (israeliano). Vincitore del Sundance Festival di Robert Redford, la pellicola racconta la crescita del figlio del primo ai tempi del muro voluto da Ariel Sharon. Con cinque telecamere, tante quante l'esercito israeliano gli ha rotto.
Los Angeles e l’opulenza di Hollywood non hanno nulla a che vedere con il povero e angusto villaggio cisgiordano di Bili’n, ulteriormente rimpicciolito dalla costruzione del muro israeliano, che lo spacca in due. Eppure Emad Burnat, regista di 5 broken cameras, primo documentario palestinese candidato a un Oscar, non appena atterrato a Los Angeles con la moglie e il figlio maggiore, si è sentito “a casa”. Gli agenti addetti al controllo dei passaporti non hanno creduto alla motivazione della sua visita, nonostante il foglio d’invito dell’accademia per partecipare alle premiazioni, e lo hanno rinchiuso con la famiglia nella camera di sicurezza dell’aeroporto, nell’attesa del primo volo utile per Israele. “Sono abituato purtroppo a queste situazioni – ha spiegato il regista una volta rilasciato – alla lotta quotidiana per avere un minimo di diritti. L’occupazione israeliana non si limita a toglierci le terre, a distruggerci la casa, a mettere barriere e posti di blocco ovunque ma ci strangola attraverso la macchina burocratica. Ci vogliono permessi e contro-permessi per fare qualsiasi cosa”. Mentre si trovava rinchiuso, Burnat ha postato un tweet e mandato un sms al suo collega-amico ben più noto, Michael Moore, che ha subito chiamato i legali dell’accademia per chiedere di intervenire. “Il problema è che qui nessuno ritiene verosimile che un palestinese possa essere candidato a un Oscar ”, ha risposto Moore. L’opera prima del contadino-regista palestinese ha già vinto il premio della critica del Sundance festival di Robert Redford anche se Burnat non aveva mai pensato di fare il regista. Avrebbe invece voluto continuare a lavorare il piccolo appezzamento di terreno della sua famiglia ma la costruzione del muro decisa nel 2005 dall’ex premier israeliano Ariel Sharon, ha scombinato tutti i suoi piani: il suo terreno è stato confiscato assieme agli uliveti e vigne della maggior parte dei suoi concittadini. Da allora ogni venerdì a Bili’n si tengono manifestazione pacifiche di protesta a ridosso del muro che spesso finiscono in tragedia per la reazione dei soldati israeliani. Fu proprio dopo l’uccisione di un amico, colpito in pieno petto da un lacrimogeno, che il giovane contadino decise di utilizzare la piccola telecamera, acquistata allo scopo di filmare la crescita dei suoi figli per denunciare la violenza nei confronti dei suoi concittadini. Ma i soldati e i coloni non appena si accorgevano di essere ripresi, gli rompevano la telecamera. Un fatto accaduto ben cinque volte: da qui il titolo del documentario. Che porta la firma anche di Guy Davidi, un filmaker attivista israeliano, diventato amico di Burnat durante i mesi in cui si era trasferito a Bili’n per documentare gli effetti perversi dell’occupazione. Davidi ha smistato il materiale, che include anche momenti di vita familiare del regista, e deciso come montarlo. La candidatura di 5 broken cameras all’Oscar è un’ulteriore dimostrazione del cambiamento generale di opinione sulla questione palestinese, dopo l’inaspettato risultato del voto all’assemblea generale dell’Onu che ha concesso alla Palestina di diventare Stato osservatore. Criticare l’occupazione israeliana dei territori palestinesi anche negli Stati Uniti non è più un tabù.
L'evento è organizzato da: Monimbò,CineGatti, dalla rivista Risonanze e dal Cineclub Nuovo Barnum
Nome: Daniele Commento: Da MicroMega, 9/2013
Sionismo/antisionismo
“Si può essere antisionisti senza essere antisemiti? Che significato ha oggi il termine ‘sionismo’? …” La domanda è stata rivolta a cinque importanti intellettuali.
Trascrivo qui stralci della risposta di Gianni Vattimo nel suo intervento dal titolo COME SI DIVENTA ANTIONISTA che anticipa così: “Dopo i danni prodotti dalla politica hitleriana e l’orrore della Shoà, nel 1948 la genesi di Israele è stata sostenuta dall’intera opinione pubblica e legittimata dall’evidente mancanza di democrazia in tutto il Medio Oriente. Ma ben presto la mitologia sionista si è tramutata in colonialismo e razzismo nei confronti dei palestinesi. Ecco perché oggi bisogna mettere in discussione la stessa nascita dello Stato ebraico”.
In poche pagine, Vattimo delinea lo stato dell’arte, dal suo punto di vista, che condivido appieno, che è in ogni caso presa di posizione rispetto a evidenze storiche inequivocabili.
Dice lo stesso: “Anche con l’aiuto dei molti film americani che hanno narrato le storie del ritorno degli ebrei in Palestina prima e dopo il 1948, l’epopea sionista è stata a lungo, nell’immaginazione del pubblico italiano, l’analogo dell’epopea della Resistenza antifascista e, nei suoi aspetti spettacolari, qualcosa di simile alla conquista del West nell’Ottocento yankee. Quest’ultimo possibile richiamo «cinematografico» appare un po’ forzato: ma viene in mente con qualche buona ragione, giacché nessuno degli spettatori dei film western si è mai preoccupato, fino ad anni molto recenti, della sorte dei pellerossa sterminati dall’avanzata degli allevatori bianchi e dei loro cow boys, in modo del tutto analogo all’oblio assoluto che i palestinesi hanno sofferto nell’epopea della nascita di Israele.” Appunto che si stimano in circa 300 milioni i nativi americani sterminati nell’arco di meno di due secoli.
Sostiene Vattimo come la storia di moltissimi intellettuali democratici occidentali si avvicini a quella di Ilan Pappe: “ anche noi siamo partiti da una mitologia «sionista» - il diritto di Israele ad avere un proprio Stato, legittimato dall’orrore della Shoà e dall’evidente mancanza di democrazia in tutto il Medio Oriente – e l’abbiamo via via abbandonata proprio in quanto abbiamo scoperto la Nakba, cioè abbiamo aperto, o ci sono stati aperti, gli occhi sul peccato colonialista e nazionalista (razzista, anzi) che sta come una colpa originale alla base dello Stato di Israele”.
Sono sorti così numerosi i movimenti che vogliono fare chiarezza su tutto questo, anche nello stesso Israele. Continua Vattimo: “ Per lo più, anche questi movimenti di opposizione tendono a prendere ancora sul serio il progetto dei due popoli due Stati, che si è ormai svelato come un mezzo per prolungare all’infinito (…) le pseudo trattative per la soluzione del problema. Intanto gli insediamenti si moltiplicano, la costruzione di nuove abitazioni a Gerusalemme Est” (ricordo: Al-Quds) “ si intensifica, e soprattutto si allunga il muro che divide in due la Palestina e che rende sempre più invivibile la vita dei palestinesi, cittadini di Israele compresi. Il mito, un altro aspetto della mitologia sionista, dei due Stati per due popoli è troppo palesemente un modo di tirare in lungo le cose, per non apparire chiaramente come un alibi continuo delle democrazie occidentali per sfuggire alle responsabilità; e come un modo per dare tempo a Israele di continuare il genocidio, a Gaza e altrove, rafforzandosi militarmente in tutti i sensi… Non nascondiamo – noi filo palestinesi antisionisti – che uno dei motivi del nostro atteggiamento è anche e soprattutto la sempre più chiara consapevolezza del legame tra politica israeliana e dominio statunitense”… Sì, perché “la causa palestinese è anche la causa dei popoli che si ribellano all’imperialismo”. A dire: “Non significa tutto questo che ciò che rende «inaccettabile» Israele come Stato è il suo peccato originale razzista-colonialista-antiegualitario?”.
L’articolo prosegue. Per poi sottolineare: “Dobbiamo portare con noi, in noi, Israele come un peso di cui non ci libereremo tanto presto; quasi che l’incancellabile memoria dell’Olocausto ci sia imposta come una pena che abbiamo ancora sempre da espiare”. Quasi a dire “il sionismo” come con un “significato sostanzialmente vendicativo”… “radicale e vendicativo giustizialismo”.
Vi aspetto in tanti e vedere questo importante film “5 broken cameras” per riflettere e appieno comprendere la drammaticità del tutto.
Nome: Daniele Commento: ANNO INTERNAZIONALE DI SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE
Lo scorso 26 novembre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato di proclamare il 2014 come "Anno di solidarietà con il popolo palestinese"; ed io aggiungo: con la Palestina e con la Nazione Palestinese. Risultato delle votazioni: 110 favorevoli, 56 astenuti, 7 contrari (Israele, USA, Canada, Australia, Micronesia, Isole Marshall, Palau).
Tra i numerosi libri che sono stati scritti sul "problema palestinese" cito per primo "La pulizia etinica della Palestina" di I. Pappe (Fazi 2008); in questo libro leggasi alle pagg. 116-7): "[Il 9 aprile 1948] Ci portarono fuori uno dopo l'altro; spararono a un uomo anziano e quando una delle sue figlie si mise a piangere spararono anche a lei. Poi chiamarono mio fratello Muhammad e gli spararono davanti a noi, e quando mia madre gridò chinandosi su di lui, con in braccio la mia sorellina Hudra che stava ancora allattando, spararono anche a lei".
Con in "Benvenuti in Palestina. Cronache da Ramallah" (Le Lettere 2005), A. Brunswic racconta di "un viaggio emozionante attraverso le speranze, le voci e i ritratti dei palestinesi incontrati: donne, bambini, studenti, medici... raccontano con straordinaria semplicità l'assurdo quotidiano di una città divisa da un muro insormontabile di guerre e conflitti atavici..." Ramallah:... "è una città che parla attarverso i suoi caffè, l'università, le strade e gli abitanti...".
In "PALESTINESI. Storia e identità di un popolo" (Carocci, 2010), M. Allegra ha come obiettivo di "andare al di là della cronaca, fornendo al lettore le chiavi necessarie per interpretare la storia di un popolo e di una terra". Sì, perché lo slogan sionista di "una terra senza popolo" è assolutamente falso. La Palestina ha un suo popolo, quello palestinese, da secoli e secoli, formato da musulmani, cristiani, ebrei che da sempre vi hanno risieduto... ma ha anche un terribile aggressore, venuto dall'esterno, guerrafondaio e colonizzatore, il Sionismo. In "Nakba. La tragedia del 1948" (AL HIKMA, 2009), A. Lano e J. Falchetta riportano che "dando per scontato che è totalmente irrazionale e al di fuori di ogni fondamento giuridico restituire una porzione di terra ai discendenti di un gruppo etnico che reclama a sé una "patria" dopo 2000 anni di storia (e per di più sulla base di un testo religioso come la Torah che, per quanto sia un testo sacro, non è certo accettabile a livello universale e giuridico), ci si può anche chiedere perché i "Padri fondatori" dello stato di Israele abbiano potuto non solo occupare una regione che non apparteneva a loro, ma anche in parte sterminare e in parte deportare gli essere umani che la popolavano".
R. Shehadesh, palestinese di Ramallah, nel meraviglioso libro dal suggestivo titolo "IL PALLIDO DIO DELLE COLLINE. Sui sentieri della Palestina che scompare" (EDT, 2010), condensa in sette racconti il suo stato d'animo. "Le sette camminate nel Paesaggio della Palestina si svolgono attraverso gli ultimi trent'anni di storia della regione; ognuna di esse racconta un diverso momento della sua drammatica vicenda storica... Dalle verdi colline intorno a Ramallah, fiorite e coltivate a olivo fra i terrazzamenti, alla natura selvatica che circonda Gerusalemme, con i suoi monasteri e i suoi wadi incantati, fino alle scarpate e al fascino antichissimo del Mar Morto e dei suoi dintorni...".
Il 27 dicembre scorso ricorrevano i 5 anni dall'inizio dell'attacco a Gaza da parte dell'esercito israeliano che, secondo fonti delle Nazioni Unite, portò a: PALESTINESI, morti 1.383 di cui 333 bambini e 112 donne, feriti oltre 5.000 individui, oltre 2000 tra bambini e donne; ISRAELIANI, morti 3 civili e 11 soldati (di cui 4 per fuoco amico) e meno di 500 feriti (più soldati che civili). Al proposito numerosi Parlamentari e Lord britannici hanno inviato una lettra al quotidiano "The Gurdian" diendo tra l'altro che "E' deplorevole che noi permettiamo questa continua punizione collettiva dei palestinesi di Gaza. Esortiamo il governo britannico ad agire immediatmente per porre fine al blocco di Gaza".
Leggete allora "Non odierò" del medico ginecologo palestinese I. Abuelaish (lavora in Palestina e Israele, per un ideale di pace). Ecco cosa scrive: "... poco più di un mese dopo, gli israeliani avrebbero bombardato Gaza e buttato all'aria la mia vita. Quel giorno eravamo tutti in casa: i miei 8 figli, i miei fratelli, le loro famiglie. Dove potevamo andare se neppure ospedali e moschee venivano risparmiati dai bombardamenti? Giocavo con Abdullah quando ho sentito l'esplosione nella stanza delle ragazze. Ho perso le mie figlie, e nonostante la rabbia e lo sconcerto, so che non odierò".
Ma esiste anche questo, e va compreso..., se leggete "L'attentatrice" dell'algerino M. Moulessehoul (Oscar Mondadori 2009)... in cui il dottor A. Jaafari, cittadino israeliano di origine araba, chirurgo a Tel Aviv,... scopre che la terrorista kamikaze è sua moglie... alla ricerca della verità e delle ragioni di quanto succede. L'orrore quotidiano del mondo d'oggi va capito, quando ti rubano terra, identità, dignità, valori... in... donne che non sono certo le donne-spia giudee che, capaci di tutto, al servizio del neocolonialsimo sionista, verranno poi premiate per la loro scelta di vita. Quale sarà mai allora il vero terrorismo? Quello di Sihem che ormai non ha più nulla da perdere perché tutto le hanno "rubato" o quello delle insospettabili mamme che indossano i panni di spie del Mossad, pronte a tutto per difendere quello che loro stesse hanno rubato alle proprie "sorelle" e ai propri "fratelli" palestinesi dal 1948 (e da ancora prima) a tutt'oggi? Riflettiamoci e guardiamo attentamente questo importantissimo e struggente film, un film sulla libertà perduta dei palestinese perché violentata e rubata dallo stato sionista di Israele.