Siamo rimasti in sei
C'è chi pensa che la cultura sia una cosa che si può comprare in qualsiasi bancarella delle banalità paesane. Poi, per rimettere le cose nel verso giusto è arrivata questa occasione
Se fossimo stati esclusi sarebbe stato un disastro. Non perché non ci possa stare perdere una corsa tra ventuno città italiane dove figuravano Venezia e Torino, Mantova e Bergamo, Palermo, l'Aquila e Pisa e Urbino, per dire solo di alcune delle escluse, ma perché usciamo da un periodo lungo e pesante nel corso del quale l'immagine di Perugia era finita in un pozzo che sembrava senza fondo proprio sul tema dei giovani. Il processo Meredith, la droga, la criminalità tra i vicoli e la sicurezza perduta. La droga, soprattutto, l'industria più ricca di interi quartieri come l'impronta di un fenomeno di notorietà ormai nazionale. Sembrava che fossimo diventati i cittadini di una città capitale di tante emergenze. Siamo stati sulle pagine dei giornali e in Tv praticamente solo per questo e per molto tempo. Perciò abbiamo seguito le varie fasi della candidatura di Perugia e delle terre francescane a capitale europea della cultura in silenzio, come seguendo le regole irrazionali della scaramanzia. Niente critiche, mugugni, scetticismo di maniera. Abbiamo incrociato le dita e, per una volta tanto, abbiamo rinunciato alle solite lamentele che tanto infastidiscono il Palazzo, anche quando se le merita. Perugia aveva le sue brave carte da giocare. Era giusto che potesse farlo in un clima costruttivo e sereno e con l'aiuto di tutti coloro che potevano offrirlo, enti pubblici o singoli privati che fossero. Per ora non abbiamo vinto nulla ma siamo ancora in corsa con la consapevolezza di poter competere alla pari con le altre cinque città candidate. Quindi, anche di poter raggiungere il traguardo prima degli altri. Detto questo, bisognerà pur ricordare che in questa partita non si discute del buon governo e in ballo non c'è il gonfalone da assegnare al comune più efficiente d'Italia. Se così fosse, città come Mantova o Bergamo difficilmente potrebbero star dietro a Perugia. I nostri problemi sono ancora lì, e li conosciamo da tempo. Questo bel risultato non assolve il Palazzo dai suoi peccati, che non sono pochi, e non può essere usato per tacitare tutti coloro che si ritengono niente affatto soddisfatti di come vanno molte cose in questa città. Il lavoro di questi mesi, coordinato con grande saggezza da Bruno Bracalente, presidente della Fondazione per Perugia capitale europea della cultura, ci parla di idee e progetti le cui finalità non sono state molto presenti in questi anni nell'agenda della città. Quindi, è nel Palazzo che si devono cambiare molte cose così come nel modo di pensare collettivo di tanta gente e di tanti protagonisti della vita pubblica. Il lavoro che si sta facendo avrebbe poco senso se si limitasse a mettere insieme una serie di rispettabili progetti che ci potrebbero consentire, magari, persino di vincere. Non è la competizione l'aspetto primario di questa corsa tra bellissime città italiane quanto la convinzione che il cambiamento è il traguardo necessario alla crescita culturale e civile di questa città e che si deve andare in questa direzione senza ambiguità e doppiezze o, peggio, con il vizio dei gattopardi che cambiano le cose solo per lasciarle, nei tempi lunghi, sempre uguali a se stesse. Cambiamento vuol dire operare una riflessione sincera e non reticente sugli errori del passato, che si vinca o che si arrivi secondi o terzi, cercare linguaggi nuovi, uscire finalmente dal modo di pensare di una città di provincia che sente come un limite le sue dimensioni e non ha cercato altro per tanti anni che il valore della quantità. Grandi opere, grandi eventi, ipermercati, autostrade. Persino le stalle, nella campagna perugina, devono essere maxi. Aspettiamo ancora che arrivi Ikea come grande occasione per continuare a inseguire una modernità fatta di lustrini e di consumismo. Questa occasione della capitale europea della cultura ci ha colti mentre pensavamo alle zone industriali e commerciali da spiattellare lungo le nostre superstrade, al nodo di Perugia e all'autostrada, persino, che occuperebbe uno spazio, lungo tutto l'asse verticale dell'Umbria, dieci volte più ampio della E45. Ancora, non è una decisione di tanto tempo fa quella del consiglio comunale che voleva regalare all'Augusta Perusia una bella festa in costume per rievocare una brutale usanza medievale quale era la cosiddetta "Battaglia dei sassi". C'è chi pensa che la cultura sia una cosa che si può comprare in qualsiasi bancarella delle banalità paesane. Poi, per rimettere le cose nel verso giusto è arrivata questa occasione nella quale siamo stati capaci di essere più bravi di tante altre non meno importanti città italiane. Miracolo di un sogno che qualche volta non muore all'alba e continua a resistere al peso della realtà di tutti i giorni grazie alla speranza di futuro che ci regalano le giovani generazioni e alla cultura che è la chiave del cambiamento. Dobbiamo continuare a crederci. renzo.massarelli@alice.it (per il Corriere dell'Umbria, sabato 23 novembre 2013)