22/12/2024
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Gaza, Italia
La manifestazione di Assisi: per la pace, contro l’occupazione, contro la guerra ai civili


Un corteo si è snodato nelle vie di Assisi, colorato e pacifico ma determinato nel condannare la violenta aggressione israeliana ai civili di Gaza, così come i lanci di missili sui civili israeliani da parte di Hamas. Il rifiuto della guerra è stato però non una forma ipocrita di equidistanza, ma una precisa scelta di condanna delle politiche nazionaliste e criminali che le destre, sia quella israeliana che quella palestinese, si rilanciano per farsi propaganda a spese della popolazione.
La condanna investe innanzitutto la politica israeliana di occupazione dei Territori palestinesi, che si protrae da oltre quarant’anni senza una vera ricerca di una via d’uscita attraverso il negoziato. Non dimentichiamo che Israele ha attaccato, ridicolizzato e distrutto la classe dirigente palestinese capace di portare la Palestina alla costruzione di uno stato serio e di relazionarsi con lo stesso Israele: mentre la classe dirigente “moderata” veniva bombardata e delegittimata, Israele faceva crescere Hamas che si radicava nelle masse palestinesi, portate alla disperazione dalla politica israeliana (ad esempio con il blocco di Gaza): Hamas, pur con la sua folle politica integralista e terrorista, è sembrata a tanti Palestinesi l’unico organismo in grado di resistere alla violenza israeliana.
L’estrema destra israeliana ha perciò preferito veder crescere Hamas, cioè l’estrema destra palestinese, piuttosto che dare riconoscimento ai diritti palestinesi. L’estremismo degli uni ha finito col rafforzare quello degli altri; l’indifferenza verso le vittime del campo opposto ha favorito l’odio e la paura, in una spirale sempre più orrenda.
Questa è la solita, classica politica nazionalista, che oggi però purtroppo utilizza strumenti di morte e distruzione che non hanno pari.
Le colpe di Hamas sono gravissime: incoscienza, irresponsabilità, istigazione all’uccisione di civili israeliani (prima con gli attentati suicidi, poi con i missili), incapacità di gestire l’emergenza quotidiana a Gaza, l’incapacità persino di resistere all’invasione israeliana (malgrado le prosopopee dei dirigenti). Ma nessuna di queste colpe giustifica la violenza e la distruzione portate dal governo israeliano in questi venti giorni a Gaza.
Nessuno può sostenere che, per difendersi dai rudimentali missili di Hamas, sia stato giusto uccidere mille e duecento persone, in gran parte civili; nessuno può sostenere che, per impedire che un bambino israeliano sia ucciso dai criminali che lanciano missili, sia stato giusto uccidere oltre trecento bambini palestinesi.
Le colpe degli uni non giustificano quelle degli altri: ciascuno è responsabile di ciò che compie. Chi uccide, uccide; chi uccide un bambino, uccide un bambino: non è né israeliano né palestinese, è uno che ha ucciso bambini. Quei trecento bambini palestinesi uccisi avevano, ciascuno, un nome; e chi li ha uccisi ha, ciascuno, un nome, e si porta la colpa di ciò che ha fatto, anche se nessun tribunale lo perseguirà.
Certo, lo stesso vale anche per i kamikaze hanno ucciso bambini. Ecco perché è ora di smettere di vedere solo i propri morti; io non riesco a vedere differenza tra i bambini dilaniati da un kamikaze e i bambini dilaniati dalle bombe degli elicotteri: la spirale deve cessare.
Le destre nazionaliste e fondamentaliste hanno seminato il mondo di morte e di odio. Ormai è ora di cambiare strada: di non parlare più di israeliani e palestinesi, ma di politiche criminali e di politiche giuste. Vorrei che si cominciasse a parlare da una parte di israeliani e palestinesi estremisti e nazionalisti, e dall’altra di israeliani e palestinesi che vogliono costruire la pace: ci sono, li vediamo nelle manifestazioni e li sentiamo nelle discussioni. Appoggiamoli, diamo loro spazio e riconoscimento.
Sono israeliani e palestinesi che si battono contro le destre del proprio paese, perché lì è il vero “nemico”, non oltre il confine. Certo, sanno che per fare la pace dovranno rinunciare a qualcosa, magari di importante sul piano simbolico; dovranno prima di tutto rinunciare all’idea di eliminare gli “altri” (gettare a mare gli israeliani, o deportare tutti i palestinesi: queste cose abbiamo sentito dire dai nazionalisti).
Gli israeliani democratici e pacifisti, ad esempio, sanno benissimo che l’occupazione dei Territori e il proliferare delle colonie sono le prime cause dell’avvitamento del proprio paese nella paura e nel militarismo aggressivo, che hanno snaturato le grandi tradizioni progressiste di Israele. Il primo passo è quindi il riconoscimento del diritto dei Palestinesi ad avere uno stato.
Non più, dunque, israeliani contro palestinesi, ma pacifisti contro guerrafondai, democratici contro autoritari. 
E’ un’utopia? forse: ma come sappiamo, nulla è così urgente come le utopie.
 
 

 



Renzo Zuccherini

Inserito sabato 17 gennaio 2009


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