Il pane e il sociale
Un intervento sulla vendita sottocosto del pane e della pasta
Ci siamo ormai lasciati alle spalle la semina dei cereali autunno-vernini, come il frumento tenero. Sembra questo il momento migliore per intervenire su alcune iniziative politiche che Rifondazione Comunista sta praticando in Umbria, come la vendita di pane e pasta sotto costo. I prodotti di prima necessità, quindi, tornano ad essere oggetto di iniziative politiche. In particolare la farina, materia prima per eccellenza, è stata, nell’ultimo anno, al centro di numerose polemiche per il suo innalzamento di prezzo. Siamo stati subissati di commenti, anche autorevoli che hanno messo sul tavolo degli imputati dalle agro energie, alla popolazione cinese che, iniziando a consumare alte quantità di alimenti, carne in particolare, fino ad allora mai acquistata, “drogano” il mercato. E’ evidente che non può essere solo questo. Se si pensa che negli ultimi venti anni il prezzo del pane è aumentato del 419% mentre il frumento è rimasto ai prezzi degli anni “80, provocando un abbassamento dei redditi agricoli e con esso un collasso sociale nelle zone rurali che è sfociato nell’abbandono dell’attività agricole. La situazione diviene socialmente rilevante, anche nel mondo urbano, se associata alla crisi economica che stanno vivendo le famiglie in Italia. In un paese dove oltre quattordici milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro al mese e di questi circa 7,3 milioni non superano neppure i mille euro al mese, è evidente che il costo di pane e pasta diviene d’interesse sociale. Si provi, però, ad analizzare il problema, per una volta, guardandolo dalla parte di chi lavora la terra, del contadino che presidia il territorio e non solo dalla parte del cittadino consumatore, anche se, economicamente disagiato. Nel 2006, produrre un ettaro di grano, costava circa mille euro, nel 2008 ce ne sono voluti 1.800 (+80%). Tale aumento è imputabile soprattutto all’acquisto delle sementi ibride(+118%); dei concimi chimici (solo l’urea +86%); dei diserbanti per la lotta alle infestanti (+23%) e in ultimo l'aumento del carburate, che ha provocato l'incremento della spesa per tutte le lavorazioni dall'aratura alla raccolta (+60%). Oltre all'aumento del costo del petrolio, materiale essenziale per la produzione di tutti i composti chimici, il problema è che nell'agroalimentare esiste un oligopolio di multinazionali, a monte della filiera, (DuPont, Novartis, Monsanto, Aventis etc) che gestiscono il mercato mondiale di sementi (brevettate), concimi, diserbanti etc. Queste, facendo cartello sui prezzi, obbligano l'agricoltore ad aumenti sproporzionati dei costi di produzione. A calmierare l'aumento dei costi, è, per “fortuna”, arrivato l'aumento del prezzo del grano(+60%). In verità tale aumento è durato giusto un'annata agraria dato che ora i prezzi si sono riallineati a quelli degli anni passati, ma come si è visto sopra, i costi continuano ad aumentare. Ma chi influisce sulla determinazione del prezzo del grano? Come è ben specificato nell'appello "Salviamo il cibo, salviamo la vita", promosso dalla Fondazione dei Diritti Genetici, la risposta va cercata sopratutto nella speculazione finanziaria: " [...] una dinamica creata dalla fuga dei capitali dal mercato immobiliare verso i titoli legati alle materie prime. Riso, grano, mais e soia sono diventati, esattamente come il petrolio, oggetto di speculazione di quei capitali senza scrupoli che prima hanno razziato il mercato immobiliare e poi si sono riversati sui "futures" alimentari, cioè i prodotti finanziari che scommettono sui prezzi futuri scambiati alla Borsa di Chicago. Scommettendo sui prezzi di domani di soia, mais, grano e riso, questa enorme massa di denaro ha inciso sul prezzo di oggi, facendolo aumentare con una velocità che non ha alcun legame con l'economia reale della domanda e dell'offerta". Oltre alle multinazionali dell’agroalimentare e alla speculazione finanziaria, nella produzione di pane e pasta gravano altri fattori che ne determinano il prezzo, come la GDO. Quest’ultima è di fatto un altro oligopolio, basti pensare che Coop (11,5 miliardi di euro di fatturato annuo), Conad (8), Carrefour (7), SMA (5,7), Esselunga (5,4) e Despar (4) detengono circa il 90% della commercializzazione dei prodotti alimentari in Italia. In questo contesto, il fatto che un partito politico Comunista, invece di porsi il problema del cambiamento del modello di produzione e consumo, si mette a vendere un alimento sotto costo, come un normale discount o una Caritas qualsiasi, ci fa capire quanto è arrivato in basso il livello della proposta politica in Italia. Anche la nascita dei GAP (gruppi d’acquisto popolari), piccole nicchie territoriale, che non danno nessuna risposta alle esigenze diffuse di contenere i costi alimentari di larghe e crescenti fasce di consumatori, ne aiutano il settore agricolo al quale per lo più non ci si rivolgono, non ponendosi neanche il problema della provenienza del prodotto e quindi del cambiamento del modello di produzione. Fortunatamente è nella società civile che si muovono le idee e le intelligenze per stimolare un’alternativa al sistema di cose presenti. Così è Legambiente Onlus a proporsi, nella campagna “per un’agricoltura di qualità”, l’obbiettivo di praticare un nuovo modello distributivo di beni alimentari e non, che garantisca reddito per i produttori consentendo contestualmente un concreto risparmio per i consumatori . L’obbiettivo è di creare un legame efficace e diretto tra produzione e consumo e, nel caso degli alimenti, un ponte tra città e campagna, proponendo la nascita della “Cooperativa il Ponte”. L'ottimizzazione dei trasporti, la riduzione degli imballaggi, l' offerta standardizzata (che si concretizza in un paniere di prodotti prestabilito) e il taglio della componente servizio sono gli elementi che consentiranno alla Cooperativa di distribuire prodotti agricoli e derivati praticando prezzi al consumatore inferiori per circa il 20-30% di quelli proposti dagli operatori di riferimento, ovvero la GDO più avanzata. Serve questo. Serve una rivoluzione nel modello di consumo, proprio come fu nel 1854, quando un gruppo di Operai di Torino e gli agricoltori della zona, per arrestare gli effetti di una grave carestia agricola ed il conseguente rincaro dei prezzi, fondarono la prima cooperativa di consumo alimentare italiana “il Magazzino di Previdenza”. Da lì nacque la COOP che in 150 anni ha perso completamente il suo fine sociale. Bisogna ripartire, rifondando completamente l’idea della cooperazione nell’ambito alimentare. E’ qui che Rifondazione e la Sinistra devono investire, sostenendo iniziative innovative come quelle di Legambiente e abbandonando velleitarie improvvisazioni.
Fabio Barcaioli, agronomo
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