Dino Frisullo, un'infinita militanza avida. Di Amore e di lotta.
Ci sono giorni che sono
poco più di un numero di un calendario che scorre. E ci sono giorni che invece
penetrano e rapiscono le corde più intime del cuore. Il 5 giugno è tra questi.
Il 5 Giugno, il giorno di Dino Frisullo. Giorno in cui la vita, nel lontano
1952, ce lo donò. E giorno nel quale un crudele destino, nel 2003 ce lo rapì.
Passano gli anni, ma sembra
ieri. Poche righe di agenzie diedero a tutta Italia la tristissima notizia: "è
morto il pacifista Dino Frisullo" e poco più. E tutti sentimmo di aver perso
qualcosa di più di un fratello, di un compagno, di un militante di mille e più
battaglie. A coloro che si dilaniano tra "foto di Vasto"(signora mia, come
è messo male il giornalismo italico se viene a Vasto per fotografare un
pugliese, un molisano e un emiliano seduti in poltrona e non si accorge
minimamente di ben altre bellezze, la Bagnante si lascia ammirare da
decenni nella sua commovente bellezza e loro si girano oltre...), il-Lusi-oni,
margherite e api che sembra di stare in un prato verde, terzi poli che si
sciolgono ancor prima che la neve cada, Dino avrebbe da insegnare moltissimo,
tantissimo, tutto e anche di più. Ma Dino è troppo passionale, troppo
innamorato, troppo scomodo per le loro vuote certezze. Dino è in mezzo a noi,
Dino è patrimonio degli ultimi, Dino è un'appassionata lotta che non è mai
finita.
Ovunque si alzava la voce
per i diritti e per la dignità, in ogni luogo dove si alzava la bandiera della
dignità e della pace, Dino c'era. Dino Frisullo è stato per decenni la storia
del pacifismo, dell'antirazzismo, dell'internazionalismo, della sinistra
italiana. Quella sinistra che non si trastulla nei salotti, che non si arrampica
per le poltrone di una banca o di un palazzo. Ma che vive, si appassiona, lotta,
nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche, nei lager per migranti, nei porti.
Una lotta che sapeva diventare poesia commovente e struggente, capace di
graffiare le corde dell'animo e di esprimere denuncia e umanità. L'11 settembre,
il dramma di chi abbandonava la sua terra e trovava ad attenderlo i lager e il
respingimento, nelle sue mani diventavano versi d'indignazione e di denuncia.
Non esiste la storia di
Dino, esistono le storie. La storia di Damiano Frisullo, un giovane ragazzo
pugliese, per vent'anni. E poi esiste Dino, che per trent'anni ha attraversato i
luoghi più martoriati e difficili della Terra assetato di umanità e di libertà,
di dignità e di giustizia. Già negli Anni Ottanta, quando moltissimi a malapena
conoscevano la parola immigrazione ed erano ben lontani dall'interessarsene,
Dino aveva capito una lezione fondamentale. Non ci si doveva "occupare" di
immigrazione, non bisognava "lavorare" per i migranti. No, era necessario e
doveroso vivere con i migranti, rivendicare diritti con i migranti, rendere i
migranti protagonisti delle loro vite e non oggetto di assistenzialismo o
pietismo. Era, in fin dei conti, la storia della vita e della militanza di Dino:
affiancarsi agli ultimi e agli oppressi e camminare con loro, essere uno di loro
in tutto e per tutto.
La
Bosnia,
la
Palestina, fino al suo amatissimo Kurdistan sono stati la sua
Patria. Era il 1997,
l'Italia aveva appena scoperto che il Kurdistan esisteva
veramente e non era un'invenzione cinematografica, e Dino ne aveva già
calpestato la terra per centinaia di volte. Arrivò un giorno in un porto del
sud, forse Brindisi o Mazara, una nave, una vecchia carretta arrugginita. Sulla
fiancata c'era una scritta rossa: Frizullo. Poche settimane dopo ne arrivò
un'altra: Frisonullo. I kurdi conoscevano lui, Dino Frisullo, e pensarono di
rendergli omaggio mentre giungevano sulle coste della sua Italia. Dino per loro
era più di un amico, di un compagno, era il loro vessillo che issavano sperando
di trovare le braccia aperte e l'umanità di Dino. Non fu così. Perché in quegli
anni l'Italia cominciò a costruire i Cpt, i lager per migranti. Dieci anni fa,
erano i tempi delle oceaniche manifestazioni contro la guerra in Iraq, i
pacifisti furono accusati di essere "quelli che sventolano le bandiere", i
giovanotti di belle speranze che non si sporcano le mani ma declamano belle
parole. Dino le mani se le sporcò eccome. E in Kurdistan provò anche l'arresto e
la prigione, fino ad essere espulso. Eminenti mandarini televisivi e
giornalistici, radical-chic da salotto e persino alcuni che si dichiaravano
pacifisti, lo attaccarono e dissero che non lavorava per la Pace, che Dino danneggiava
l'Italia. E' l'ipocrisia dei perbenisti e di coloro che Dé Andre definì
"materassi di piume".
La vita, le mille vite, di
Dino è stata militanza appassionata, è stata la lotta dei migranti, dei kurdi,
di migliaia di persone. Una militanza che cancellava la stessa vita personale e
le dava altri sentieri, altri passi, altri luoghi. Impegno quotidiano, se fosse
possibile anche 26 ore al giorno, senza pause e senza fermarsi, in una "folle
staffetta mozzafiato", com'ebbe a definirla lui stesso. Sempre pronto, sempre
presente, perché alla porta bussa lamico tamil senza visto di soggiorno, c'è
un'occupazione o un corteo da organizzare e mille altri impegni. Sul letto
d'ospedale, poco prima di morire, il suo pensiero non andava alla salute, a sé
stesso, ma alla mobilitazione contro la guerra che stava animando l'Italia, al
suo non poter essere in prima linea. Fino all'ultimo Dino non fu semplicemente
Damiano Frisullo, ma fu l'umanità assetata di altra umanità, la millenaria
storia dei compagni veri, dei socialisti e degli anarchici, dei comunisti e dei
pacifisti, degli operai e delle mondine, che camminava. Lo straccio rosso di
Pasolini per Dino non cadde mai per terra, non si dovette mai rialzare dalla
polvere, non ne aveva il tempo.
"La cosa più bella è
suscitare ricordi forti e belli" scrisse due mesi prima di esser strappato
crudelmente da noi. Tanti, tantissimi, avranno per sempre ricordi forti e belli
di Dino, con Dino. L'avranno le migliaia di militanti e di attivisti che con lui
hanno condiviso il cammino, l'avranno i migranti, i pakistani, i tamil, i senza
casa, i palestinesi, gli iracheni, i kurdi che hanno lottato con lui e in lui
hanno trovato umanità, voce, speranza. E sono ricordi che superano ogni
calendario, ogni barriera di tempo e di spazio. Scavalcano quel crudele 5 giugno
e ancora oggi infiammano i cuori. Dino vive e lotta ancora, ama e amerà
sempre. Nel popolo dei sognatori e dei ribelli. In una delle loro canzoni più
belle i Modena City Ramblers cantano "Un giorno, guidati da stelle sicure, ci
ritroveremo in qualche angolo di mondo lontano, nei bassifondi, tra i musicisti
e gli sbandati o sui sentieri dove corrono le fate". Nella lotta dei compagni,
dei militanti che non si arrendono, degli ultimi che reclamano diritti, dignità,
libertà e giorno dopo giorno costruiscono i loro sogni, guidati dalle stelle più
luminose dei cuori veri e degli ideali appassionati, la musica dei poveri e il
calore degli ultimi disegneranno sempre la magia più bella, la magia di Dino.
Bellissimo conoscerti,
impossibile dimenticarti. E oggi cammini ancora al nostro fianco, ci fai
coraggio e ci sproni a non fermarci mai. Nei mille Alì che sognano l'Europa,
nelle bellissime Leyla dagli occhi "più profondi del mare", sotto il cielo di
Zako, nei prigionieri assetati di vita nel deserto del Neghev, nei 31 migranti
deportati l'altro giorno da Riace, negli aspri monti del Kurdistan, nel senza
casa che disperatamente vuol sperare nel futuro, Dino c'è. Ha altri nomi, altre
radici, ma è sempre lui. E ogni volta che asciugheremo una lacrima di "chi sa
piangere ancora", ogni giorno in cui raccoglieremo "il testimone del suo
entusiasmo", Dino camminerà al nostro fianco, il mondo respirerà ancora e si
nutrirà di ogni sua fibra.
Amici di Dino Frisullo
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