Siamo tutti Emiliani
Rielaborare il lutto per la propria casa perduta è una cosa che non si può fare da soli
Quelle immagini della torre campanaria
spezzata a metà a Novi, un piccolo centro dell'Emilia, le conosciamo bene. Ci
ricordano quella pencolante di Foligno, le piccole chiese dai muri cadenti
della Valnerina, le vele spezzate di Cimabue ad Assisi. Ci ricordano tanti
nostri terremoti, uno ogni decennio, o quasi, sul finire del Novecento, da quelli
del '74 e '79 in Valnerina a quello del 1984 a Perugia e Gubbio e poi l'ultimo,
il 26 settembre del '97 ad Assisi, Foligno, Nocera, per non dire di quello del
2009 di Marsciano, circoscritto ma decisamente trascurato. Nel Settecento ce ne
furono ben nove, nell'Ottocento solo uno in meno, per restare a quelli più
pesanti. Il primo, di cui si ha memoria storica a partire dal medioevo, è del
1279 e colpì, manco a dirlo, Nocera, Foligno e Spello. Sono stati talmente
tanti da aver in qualche modo segnato profondamente, con le loro rovine,
l'identità dell'Umbria delle montagne che formano l'Appennino, i suoi paesi, i
monumenti, soprattutto quelli minori, a migliaia. Per questo ora ci sentiamo
tutti un po' emiliani, vicini alle famiglie che cercano un riparo sotto una
tenda e agli operai che sono finiti sotto le volte dei capannoni industriali
nello stesso identico modo di quei tecnici che tornarono troppo presto, dopo le
scosse del giorno prima, dentro la basilica di Assisi, quindici anni fa. Già,
sono trascorsi tre lustri e non si può dire che sembra ieri perché tutte le
famiglie che hanno atteso la ricostruzione dentro i container per non poco
tempo, davvero, hanno visto passare il tempo in modo lentissimo. Il terremoto
non cambia soltanto i paesi, le case e le chiese, ma le persone, la stessa
struttura sociale. Oggi, dopo gli anni passati, Foligno, Nocera o la piccola
Annifo non sono più le stesse anche se la ricostruzione si pone sempre il
compito di restituirci il tempo passato e la sua immagine. Il terremoto lascia
ferite che non si aprono soltanto sulle croste dei muri delle case ma molto più
in profondità. Ricostruire, anche se è una cosa molto difficile e terribilmente
costosa, non basta mai perché nel frattempo la comunità è cambiata, sono
cambiati i rapporti tra le persone, il tessuto preziosissimo delle relazioni
sociali.
Il terremoto, come tutte le grandi
calamità naturali, attiva sempre un moto di solidarietà collettiva. Per questo
l'Umbria, forte della sua esperienza, corre con i suoi tecnici in aiuto dei
paesi colpiti. Così è in questi giorni in Emilia, come avvenne in Irpinia
trent'anni fa o di recente in Abruzzo. Rielaborare il lutto per la propria casa
perduta è una cosa che non si può fare da soli. Serve la vicinanza delle
famiglie e la presenza attiva delle istituzioni. Per questo resta davvero
inaccettabile l'idea di sottoscrivere un'assicurazione e poi sbrigarsela con le
carte bollate. Questa novità che il governo vorrebbe introdurre risponde ad una
filosofia sbagliata e, alla fine, difficilmente praticabile, anche se coerente
con le politiche che si seguono in giro per l'Europa. Certo, ogni governo ha il
suo modo di vedere le cose.
Al tempo del terremoto dell'Umbria e delle Marche
Romano Prodi si assunse le sue responsabilità e la Regione fece la sua parte.
Magari non tutto funzionò alla perfezione, ma vedere la Basilica di Assisi
rimessa in sesto con un'azione di torsione nelle sue strutture portanti sotto
la guida di un grande sovrintendente come Antonio Paolucci fu come assistere in
diretta all'ultimo miracolo di San Francesco. Poi arrivò Silvio Berlusconi con
la sua idea delle new towns e, sinceramente, l'abbiamo scampata bella. Oggi
abbiamo l'Umbria dell'Appennino rimessa a nuovo nei suoi centri storici. Quello
della ricostruzione è stato per l'Umbria un cantiere permanente, decennio dopo
decennio, da qui a quasi quaranta anni fa. Forse è ora di tirare un bilancio,
non solo delle case ricostruite ma del modello seguito e dei risultati
ottenuti. Abbiamo lavorato mentre la montagna si è andata sempre più
spopolando, così come i bellissimi centri della Valnerina. Ci possiamo chiedere
se sono state rimesse in piedi seconde case o, al contrario, proposto
all'Italia l'esempio virtuoso di uno sviluppo sostenibile dove la natura non è
stata umiliata ma, anche, purtroppo, dove il segno della presenza dell'uomo è
sempre più flebile sino a perdersi nel silenzio dei boschi dell'Appennino.
Renzo Massarelli - renzo.massarelli@alice.it
|