16/07/2024
direttore Renzo Zuccherini

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A cose fatte
Non servono solo patti per la sicurezza ma un'assunzione di responsabilità                                               

Sembra già così lontana la foto dello scorso anno del nostro sindaco e dei rappresentanti delle altre istituzioni con il ministro degli interni Roberto Maroni tutti  sorridenti, dopo aver firmato un documento che si chiamava "Patto per Perugia sicura", il secondo dopo quello del 2008 con Giuliano Amato, per non avere ora un po' di sana diffidenza di fronte alle promesse di un nuovo ministro. Non perché si debba dubitare delle parole di Annamaria Cancellieri espresse di fronte a un sindaco che chiede aiuto per avere più sicurezza in una città capoluogo di una regione. Magari questa volta non sarà proprio la stessa cosa e, chissà, i risultati potranno anche essere diversi, ma intanto non sappiamo com'è andata con il patto dell'anno scorso e quanti dei suoi numerosi articoli di spesa che riguardano lo stato ma anche gli enti locali sono stati rispettati. Fatto è che questa storia del chiedere più agenti e, quindi, più sorveglianza non è del tutto nuova. Il primo tentativo di aprire un canale di collaborazione tra il comune di Perugia e il governo sul tema della sicurezza è di quindici anni fa. Allora l'iniziativa, sollecitata da alcune associazioni di residenti, partì dai parlamentari eletti in città che si rivolsero al ministro degli interni del governo Prodi. Questo ministro era Giorgio Napolitano. Fu così che a Perugia arrivò un questore molto brillante, Nicola Cavaliere. I risultati positivi non mancarono. Per un po', naturalmente, perché siamo pur sempre in Italia. Questo per dire che il tema della sicurezza e della droga non è una cosa nuova in questa città, ma problema rognosissimo e di forte resistenza alle cure. Ci hanno sbattuto la testa tre sindaci e un numero molto più corposo di prefetti e questori e governi di destra e governi di sinistra, sino a quello di oggi. Non tutti ovviamente ci hanno sbattuto la testa allo stesso modo. Per molto tempo la città ha preferito non parlarne più di tanto. C'era da difendere il buon nome della città, non macchiare il prestigio del centro storico, difendere gli interessi dei commercianti. Per un po' tutto si è tenuto, tra i mugugni dei soliti quattro gatti e il patriottismo interessato di un sacco di gente. La droga in questa città non è arrivata con gli ultimi sbarchi degli ultimi tunisini e i morti per overdose rappresentano a Perugia un primato da tempo consolidato. L'insicurezza non è di oggi anche se per molto tempo l'abbiamo chiamata insicurezza percepita. Naturalmente non siamo nella Chicago degli anni trenta e Perugia, come si diceva qualche tempo fa, non è mica Palermo. Sicuro, ma cos'è allora Perugia? Perché se non sappiamo cos'è diventata dopo anni di colpevole silenzio continueremo a lamentarci con il governo, a firmare patti per la sicurezza e a chiedere sempre più poliziotti senza ottenere che risultati effimeri destinati a svanire in poco tempo così come è successo negli anni passati.
Dunque, dobbiamo cercare di capire cos'è che non va in questa città. Quel che si può dire è che, finché è possibile, abbiamo cercato di non vedere e di scaricare le responsabilità su qualcun altro. Il centro antico non è stato il luogo dell'eccellenza da preservare ma quello della rendita, dove ognuno arriva, pianta le sue bandierine e aspetta, un po' defilato. Anche la politica si è cimentata su questo terreno, cercando di fare la morale ai cittadini come fanno certi parroci di campagna. Il fatto è che non servono prediche ma, al contrario, assunzioni di responsabilità. Dal palazzo ci aspettiamo non solo patti per la sicurezza scritti sulla carta di cui nessuno si è mai curato, alla loro scadenza, di verificarne l'efficacia, ma una svolta profonda nel modo di governare, dopo decenni di buone pratiche dorotee e di amministrazione paternalistica. Se c'è, per dirne una, chi specula sugli alloggi c'è anche chi, nel palazzo, ha consentito di costruire condomini con appartamenti di cinquanta metri quadrati che non sono esattamente quelli che servono alle famiglie. Così si può dire dei fondi trasformati in alloggi o delle rivendite di alcolici senza servizi e senza spazio. Ora si sono accorti che non va. Sempre a cose fatte.
                                                                                                             Renzo Massarelli
                                                                                                       renzo.massarelli@alice.it



Renzo Massarelli

Inserito domenica 20 maggio 2012


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