Che fine ha fatto l’inceneritore?
Un silenzio inquietante sul mega progetto: cosa bolle in pentola? Ce ne parla Roberto Pellegrino
Ancora una volta i rifiuti al centro dell'attenzione. Ma questa volta
non si parla di raccolta differenziata, riduzione o strategia “rifiuti
zero”. La politica Umbra, con l’adozione del Piano Regionale Gestione
Rifiuti del 2009, ha intrapreso una strada in direzione del tutto
opposta, perché aver programmato la chiusura del ciclo dei rifiuti con
il trattamento termico significa in realtà considerare la partita della
riduzione/riciclo definitivamente persa, come dimostrano concretamente
le esperienze di Brescia e Puglia. La questione è molto complessa e
controversa e vede interessi di parte che si oppongono, più o meno
velatamente, alla buona riuscita della raccolta differenziata: la vera
nemica degli “inceneritoristi” che si battono per ottenere, a scapito
dell’ambiente e della salute dei cittadini, i propri profitti. Ne
parliamo con Roberto Pellegrino, portavoce di “Cittadini in Rete
Umbria”, che spiega come si è evoluta la questione dell’inceneritore
nella nostra regione e perché ultimamente non ne abbiamo più sentito
parlare. “L’inceneritore ha sempre fatto gola ai privati: è una
macchina che divora rifiuti (trasformandoli in sostanze più pericolose e
difficili da controllare) e fabbrica soldi (a spese dei cittadini).
Dapprima si era parlato di costruirlo nei pressi del Silvestrini, poi
L’Ati-1 ha incaricato un gruppo di esperti per individuare il sito dove
costruire l’inceneritore (spesi 180 mila euro più Iva), infine
l’assessore Rometti ha affermato pubblicamente che la parola chiave è
“modularità”, lasciando intendere che la regione non intende più
realizzare un mega impianto bensì un impianto di taglia più piccola e
adeguabile alle esigenze”. Per fare un po’ di chiarezza vediamo alcuni dati Un
inceneritore di grossa taglia, come quello previsto dal piano
regionale, è un impianto che una vola acceso deve rimanere in funzione
per non andare in perdita. Ha quindi bisogno di una quantità di
combustibile costante per tutto il periodo previsto di funzionamento che
di solito è di 20 anni. Tuttavia, non ci sono garanzie che
l’ammontare totale di rifiuti prodotti rimanga costante. Ad esempio, in
questo ultimo periodo, sia per l’effetto della crisi che per la discreta
riuscita della Raccolta Differenziata, si è osservata una diminuzione
dell’ammontare totale della produzione dei rifiuti. Una corretta
Raccolta Differenziata sottrae materiale all’eventuale inceneritore:
Carta e Plastica (gli unici materiali con un potere calorifico
interessante) sono materiali ottimamente riciclabili, a pari di vetro e
metalli. E’ ovvio, quindi, che se si intende bruciare i rifiuti non si
può procedere ad una corretta gestione della raccolta differenziata che
farebbe venire meno proprio la materia prima che l’inceneritore brucia. La
domanda cruciale che nasce spontanea è: da dove arriverebbero i rifiuti
che dovrebbero essere bruciati in Umbria? Forte è infatti il sospetto
che per raggiungere le oltre 180.000 tonnellate previste dal piano
saranno importati rifiuti da altre regioni, oppure che la raccolta
differenziata sarà fatta naufragare. La direttiva europea quadro sui rifiuti (la 2008/98/CE recepita dall'Italia nel dicembre 2010) La direttiva, recepita in Italia, indica chiaramente la gerarchia di azioni da seguire nella gestione dei rifiuti. Questa
stabilisce un ordine di priorità nel quale riduzione, riuso e riciclo
devono essere preferite al “recupero di energia dai rifiuti”, in quanto
rappresentano la miglior soluzione economica e ambientale. Non
possiamo nascondere tuttavia che la direttiva prevede, per una frazione
residuale, anche il recupero di energia. La direttiva fissa però una
soglia di efficienza energetica che deve superare il 65%, affinché si
possa parlare di recupero. Una soglia molto lontana dalla attuale che è
ci circa il 10-20%. Di fatto nessun impianto di trattamento termico dei
rifiuti oggi in funzione rispetta tali parametri. L’esempio di Trento è
eclatante: la gara per costruire un nuovo l’inceneritore voluto
dall’amministrazione va ripetutamente deserta: nessun privato è in grado
di fare profitto con l’incenerimento dei rifiuti dovendo rispettare gli
stringenti parametri della nuova direttiva. Incontro con l’assessore Rometti “Stiamo
cercando di organizzare” – ci dice Pellegrino – “un incontro pubblico
(promosso sia dalla Regione Umbria che dalle varie associazioni e
movimenti riuniti in Cittadini in Rete Umbria) per approfondire il tema
dei possibili rischi per la salute provocati dal trattamento termico dei
rifiuti, dando la parola a studiosi di fama nazionale e internazionale
schierati a favore e contro questa modalità di chiusura del ciclo. Siamo
stati però urgentemente convocati dall’assessore il quale dovrà
senz’altro comunicarci qualcosa di nuovo. L’incontro è previsto per
giovedì 3 maggio prossimo”. Cosa bolle in pentola Il
Ministero dell’Ambiente Clini ha annunciato che è in preparazione un
decreto che autorizza i cementifici a bruciare il Css, ossia
Combustibile Solidi Secondari, che dovrebbe consistere in plastiche non
clorurate, pneumatici fuori uso, scarti in gomma, tessili e scarti del
calzaturiero, frazioni secche combustibili. In pratica l'evoluzione
nominale di quel Combustibile da rifiuti (Cdr) di cui sono composte le
famose ecoballe le quali, se il nuovo decreto verrà approvato, è facile
immaginare saranno i primi rifiuti a finire bruciati nei cementifici,
diffondendo nell'aria sostanze verosimilmente tossiche. I cementieri
hanno già da tempo mostrato pressioni in tal senso, manifestando la
ferma intenzione di bruciare rifiuti all’interno degli impianti. Si
era già detto no a tale proposta nel febbraio di quest’anno in Consiglio
Regionale, dove è stata bocciata una mozione di PdL e Lega. Sul sito
di Idv Umbria datato 11 Gennaio 2012 si legge di indiscrezioni che
giungono da più parti e dalle quali risulta che l'importante
cementificio ha raggiunto un accordo con la governatrice Renata
Polverini per bruciare i rifiuti del Lazio. “In questo modo la Colacem
non solo aggira le normative nazionali che impediscono ai cementifici di
bruciare i rifiuti ma si fa beffe di tutta la politica regionale. Questo
nuovo decreto risolverebbe la questione inceneritori: toglierebbe alle
regioni la pesante incombenza di decidere a tale riguardo e
accontenterebbe i forti interessi di parte. Inoltre, non solo i
cementifici non pagherebbero più il combustibile per il funzionamento
dei loro impianti, ma addirittura ogni comune dovrebbe pagare una certa
somma ai cementieri per smaltire i propri rifiuti. Ogni tonnellata sono 90 euro, un affare non indifferente. Chi controlla l’ambiente? Addetto
ai controlli – sottolinea Roberto Pellegrino – sarebbe l’ente
Arpa-Umbria, il cui direttore tecnico Marchetti ha più volte dichiarato
pubblicamente di essere un sostenitore dell’inceneritore. È comunque
difficile riuscire a controllare sia la composizione di quello che
entrerebbe nelle fornaci, data l’estrema variabilità di composizione,
sia quello che uscirebbe sotto forma di emissioni aerodisperse: è
copiosa la letteratura scientifica che dimostra che nel processo di
combustione si formerebbero micidiali particelle di dimensioni ben al di
sotto dei famosi Pm-10 e per le quali gli enti pubblici non sono ancora
ben attrezzati dal punto di vista analitico. Dovrebbe comunque
prevalere, in assenza di prove certe degli effetti sulla salute del
processo col quale si vuole bruciare i rifiuti sotto qualsiasi forma e
con qualunque modalità, il Principio di precauzione
che è alla base di trattati nazionali e sovranazionali in base al
quale: “di fronte al ragionevole dubbio che da un’azione o un
comportamento possa derivare un danno grave o potenzialmente
irreversibile alla collettività, anche in assenza di prove certe e
unanimemente condivise che dimostrino tale rischio, occorre adottare le
contromisure per prevenirlo”.
Maria Luisa De Filippo
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