La Marzolana
Anzi, una Maggiolana. Con una poesia di Corrado Govoni
[A Sud del Trasimeno, un giovedì, ma non di marzo, bensì quello del 19 Maggio del 2011: una Maggiolana]. Coordinano, logisticamente, i buoni Ricci Vincenzo e Vernata Renato Ecco cosa recita il programma: ‘ L’escursione parte dal camping Polvese (m 270) e attraverso due frazioni (Mafucci e Borgo Cenaioli) e uliveti si arriva alla base della Marzolana, per immettersi sul sentiero CAI. Poi in ripida salita si passa per un punto panoramico, per la fonte di Sant'Andrea e si giunge quasi in cima (m 586) presso un caratteristico vecchio leccio. Poi ci si dirige verso ovest e si lascia il sentiero CAI per raggiungere in discesa il valico (m 372) tra la Marzolana e Poggio Pagini. Si risale in forte salita al poggio (m 489), dal quale si ha una bella veduta su Montalera e il suo Castello. Si scende ora per il Poggio di Braccio fino al camping, passando per la chiesina di S. Maria di Montivalle ’. Dicono il Ricci ed il Vernata: la durata sarà di circa tre ore e mezzo, la lunghezza grosso modo di 10 chilometri, il dislivello (non si evince se massimo o complessivo) di 500 metri con quote tra i 250 e i 600 metri, ovviamente sul livello del mare. Questo è quanto dicono i coordinatori. Sarà vero? Lo verificheremo presto. Facciamo così, confermiamolo subito, a cose ovviamente fatte: la durata è stata di 3 ore e mezzo precise (8.10 – 11.40), i chilometri percorsi pedibus calcantibus sono stati 10 ‘pitti pitti’, il dislivello massimo è stato di 425 metri, le quote a partire dai 275 m del Camping ‘La Polvese’ di S. Arcangelo di Magione hanno raggiunto e poi superato di poco i 550 del ‘Leccio grande’. Ma torniamo indietro. Per prima cosa mi corre l’obbligo di annotare i 26 partecipanti: 1) Ricci Vincenzo; 2) Renato Vernata; 3) Leonello Malizia; 4) Gianni Bolis; 5) Pietro Riccieri; 6) Daniele Crotti (Danielino, Nene, io); 7) Gianfranco Vergoni; 8) Franco Calistri; 9) Giuseppe Bambini; 10) Emilio Bucciarelli; 11) Filippo Minelli; 12) Giuseppe Millucci; 13) Fausto Bucini; 14) Roberto Foconi (CAI di Leonessa); 15) Gianni Rossi (CAI di Leonessa); 16) Antonio Barberini; 17) Marisa Maurelli; 18) Maria Pia Della Marta; 19) Mirella Papa; 20) Alberta Possanzini; 21) Concetta Coniglio; 22) Paola Sartori; 23) Maria Antonietta Cassani; 24) Silvia Messa; 25) Vera Tomassini; 26) Katia Papalini. Partiamo da Pian di Massiano alle 7.30 o poco dopo e ci dirigiamo verso il lago, imboccando la superstrada per la Valdichiana ed uscendo alla Magione (Pian di Carpine). Superato Monte Buono eccoci alla prima delle 5 frazioni che nel loro insieme oggi costituiscono S. Arcangelo, sorto recentemente attorno alla vecchia Abbazia (chiedete a Ricci, vi potrà raccontare un po’ di storia al riguardo: due note, comunque più sotto saranno forse per i più esaustive), del 1000 e qualcosa (oggi la Badia è proprietà di privati laici), di S. Arcangelo, appunto: il borgo è La Frusta (è il più antico), ove il 15 agosto (è festa grande) potete visitare la chiesetta di ‘S. Maria di Ancaielle (o Ancaelle)’ con dipinti del Caporali risalenti al XII secolo. Lasciate le vetture al campeggio ‘La Polvese’ raggiungiamo in pochi minuti il II borgo: Maffucci. Di rilievo il vecchio ed immenso ‘bagolaro’ (Celtis australis), ‘albero delle Ulmacee con fusto liscio, fiori verdi in grappolo ascellare, corteccia grigiastra e rami molto flessibili e duri’. Segue poco dopo il Borgo Cenaioli (qui vi è un ristorante con B&B che potrebbe rivelarsi degno di attenzione), e poi ci inoltriamo nella campagna retrostante il lago. Gli altri due borghi sono Baldami (correggimi, Vincenzo, se erro nella trascrizione), sorto attorno alla nuova chiesa e Bartocciami, che potremo vedere solo dall’alto. Alle 8.40, scaldati i muscoli (lo abbiamo fatto per il Bucciarelli), ‘ingraniamo la ridotta’ e cominciamo a salire (siamo o non siamo del Club Alpino Italiano?) verso e nel bosco della Marzolana senza però raggiungere la cima, impervia, del monte omonimo. Ci accompagnano lecci, cerri, cisti viola e bianchi, ginestre come sempre profumate, corbezzoli, gli ultimi asparagi, erica ‘scopina’ e tanto altro. Alle 8.55 siamo alla Pienella con la sua ‘Casetta’ e la ‘Fattoria’ e più su ‘La fonte’, a 458 m. Perché dico questo a voi, Coppi, Bartali, Magni, Nanecini, Battistini, Rivière, Massignan, e via discorrendo; beh, perché negli anni ’70 la Comunanza di S. Arcangelo, a dire l’insieme delle famiglie della frazione acquistarono tutta (o quasi) la Marzolana, per preservarla dagli abusi edilizi così frequenti da noi. Recita infatti la nostra locandina: ‘ Più silenziosa è la storia del bosco, la storia di una cooperativa di abitanti di Sant’Arcangelo, che lo acquistano per evitarne il degrado, per conservare dai pericoli di una selvaggia urbanizzazione l’integrità del territorio, compresa quella di 300 splendidi esemplari di lecci, alcuni vetusti, all’interno della Marzolana ’. E così è stato. Bello; ed allora foto di gruppo. Proseguiamo e raggiungiamo il secondo punto panoramico che ben ci ha illustrato il Ricci: ‘ Da secoli la badia di Sant’Arcangelo, il bosco della Marzolana ed il castello di Montalera si specchiano sull’incantata superficie del lago Trasimeno, chiara al mattino, rossastra al tramonto. Siamo a sud del lago, nel territorio di Sant’Arcangelo, dove gli olivi (od ulivi) risalgono a gradoni i pendii solatii delle colline e si infrangono contro la compattezza del bosco di lecci, corbezzoli, ornielli, roverelle, … La badia sta lì a mezzacosta della Marzolana; è un’abbazia fortificata (raro esempio in Umbria) di origine incerta. La storia si è accorta di lei nel 1014, essendo citata in un decreto imperiale di Enrico II di Sassonia e tre secoli dopo aveva un proprio abate benedettino, ma anche una fortificazione ed una guarnigione militare perugina per difenderla ’. Proseguiamo e ci imboschiamo verso il ‘Leccio grande’ (e il ‘piccolo’ dov’è?), posto nel folto del bosco a quota, come detto, di 550 m. Pochissimi metri sopra riprendiamo il sentiero che corre in piana per poi scendere per incrociare la strada bianca che scende a destra a S. Arcangelo e quella bitumata a sinistra che porta a Casalini (i Casalini di Panicale). Una breve ma erta salita e poi una lieve discesa sino ad uno spiazzo che ci offre nella sua interezza la veduta nord orientale del Castello di Montalera: ‘ Un po’ più giovane (forse del XII sec) è il castello nato sul “Monte d’Era”, il monte di Giunone, che con i suoi 487 m domina tutto il lago. Abbracciato dall’intenso verde di lecci e querce, la fortezza mostra la sua imponenza con torri merlate alla guelfa, 300 metri di mura bastionate, i resti del fossato e del ponte levatoio, mentre all’interno il nucleo abitativo è stato trasformato in uno splendido palazzo rinascimentale. Qui sono passati molta storia e molti personaggi, dai Montemelini, ai Michelotti, dai Degli Oddi ai Baglioni, dai Della Corgna ai Montesperelli, da Francesco Giuseppe d’Asburgo a Ferdinando Cesaroni, …, da Antonio da Sangallo il Giovane, a Guglielmo Calderini ’. Il castello non si può visitare; la proprietaria (una romana ivi trapiantata e ormai vedova e sola) è gelosa della proprietà e ha un gran paura dai ladri (a detta del fattore, amico di amici di Vincenzo), laonde per cui si dovrà trovare un’altra formula per poterlo godere appieno. Nevvero? La passeggiata è stata gradevole, altroché, per finire a ‘La terrazza sul lago’ (di proprietà Bindi), e in effetti il lago da lontano è proprio bello, ove le famiglie Ricci e Vernata ci hanno offerto la colazione, sì in somma un merendone, beh se preferite un lauto pasto: torta al formaggio, buon pane rigorosamente sciapo (il mitico filone), caciotte a quadretti da prendersi meglio con lo stuzzicadenti che con le dita delle mano, capocollo, salame, mortadella; il tutto accompagnato da acqua, vino bianco e vino rosso (bevibili). Vin santo anche d’annata ha accompagnato invece un buon torcolo al latte e al cioccolato, una ottima crostata di marmellata, una gustosa torta di mele. Le grappe di Vincenzo hanno salutato i convenuti. Certo ho dimenticato tante cose ma perdonatemelo. Verrete lo stesso giovedì prossimo in quel di Cammoro? Un saluto da me e dalla mia spalla offesa, che Leonello mi ha detto in via di guarigione. Ma ci vorrà tempo. Non posso dedicare una poesia del Pascoli di Romagna al caro Emilio (il Buccia), e allora si dovrà accontentare di un poesia di Corrado Govoni, nato un po’ più tardi (verso la fine dell’ottocento) e un po’ più a nord (nel delta padano), poesia che dedico a tutti e alla primavera, la nostra primavera:
Il giardino
E’ una sera divina della primavera fondente come una caramella di menta glaciale che si succhia si succhia finché non resta più niente salvo una sensazione di verdi e freschi prati che dura nella bocca lungamente. L’ultimo fulmine, laggiù, come un pagliaccio infarinato su una scoppiante bicicletta ha percorso il taboga di vetro dell’arcobaleno che ora precipita in frantumi sonorissimi da un capo all’altro dell’orizzonte sul cammino d’un treno in corsa verso una città grigia dalle case straccione sotto i vecchi ombrelli fradici dei suoi tetti. La brezza mi modella la viva maschera del volto e mi rende sensibili e freschi come l’erba sulla fronte i capelli. S’arrampicano i convolvoli pel muro Come fonografi di profumo in ascolto. E va da rosa a rosa in un’aiuola un filo della vergine come una sottilissima corda di seta su cui una ballerina d’odore sta in equilibrio sopra una gamba tremula di vento. Una chiocciola allunga i canocchiali dei suoi occhi dal suo abbaino verso l’astro infuocato d’una zinnia e li chiude. Un pipistrello si stacca da un tegolo umido s’alza e s’abbassa rasenta va e viene con l’ala funebre che ha il brivido della falce nera della morte invisibile che passa. Presto tutto il giardino formicolerà di lucciole piccoli lampi di magnesio per fare la fotografia ai volti ipnotici e medianici dei fiori. E’ notte: fa fresco: cadono le prime gocce di stelle: si rientra.