Il razzismo di stile popolar-padano sbarca nella capitale. All’ingresso di un bar del quartiere Montesacro è apparso giorni fa un cartello: «Vietato l’ingresso agli animali ed agli immigrati». Proprio così, l’hitleriana memoria ancora sopravvive nella mente di qualcuno.
Tra i romani indifferenti, un marocchino nota l’inaccettabile monito, lo fotografa con il cellulare e si rivolge immediatamente al suo avvocato per valutare l’opportunità di una denuncia per discriminazione. Neanche a dirlo, il giorno dopo il cartello è già stato rimosso.
Chissà perché questa notizia ci scandalizza molto di più delle analoghe che si sono negli anni succedute in “terre padane”. La Roma antirazzista sta ereditando il peggio della “filosofia” leghista? Si dirà che parliamo solo di un episodio, di un esecrabile gestore di un bar. Non è così. Sarebbe interessante sapere quanti italianissimi avventori hanno gustato un italianissimo caffè guardando con occhio indifferente il sordido cartello antirazziale. Non è un caso, infatti, che la denuncia sia partita da un immigrato e non da un autoctono.
A questi cittadini andrebbe ricordato il “bar padano” aperto a Brugherio (Milano) nel 2007. Il gestore non voleva né rom, né romani. Più “democratico” del suo collega capitolino, costui non vietava loro l’ingresso, bensì si limitava a scrivere a chiare lettere: «Qui i rom-ani non sono benvenuti». E alla riga sotto: «Aperitivi a base di maiale!», tanto per scoraggiare anche l’ingresso di incauti musulmani.
Il razzismo si nutre di se stesso fino a trasformarsi in un boomerang. Ma questo è un concetto ancora troppo elevato – sembra - per una parte consistente del popolo italiano.