Così non si difendono i diritti umani
10 tesi sull'intervento militare in Libia
1. Una cosa è la Risoluzione
dell'Onu, un'altra è la sua applicazione. Una cosa è difendere i diritti
umani. Un'altra è scatenare una guerra.
2. La Carta dell'Onu autorizza missioni militari (art. 42), non qualsiasi missione militare.
3.
L'iniziativa militare contro Gheddafi è stata assunta in fretta da un
gruppo di paesi che hanno fatto addirittura a gara per stabilire chi
bombardava per primo, che non ha nemmeno una strategia comune, che non
ha un chiaro comando unificato ma solo una forma di coordinamento, con
una coalizione internazionale che si incrina ai primi colpi e che deve
già rispondere alla pesante accusa di essere andata oltre il mandato
ricevuto. Si poteva iniziare in modo peggiore?
4. Da tempo si
doveva intervenire in difesa dei diritti umani. Lo abbiamo chiesto
ripetutamente mentre l'atteggiamento del governo italiano e della
comunità internazionale e, diciamolo, di tanta parte dei responsabili
della politica oscillava tra l'inerzia e le complicità con Gheddafi. Se
si interveniva prima, non saremmo giunti a questo punto.
5. E
ancora oggi, mentre si interviene in Libia non si dice e non si fa nulla
per fermare la sanguinosa repressione delle manifestazioni in Baharein,
nello Yemen e negli altri paesi del Golfo. L'Italia e l'Europa, prima
di ogni altro paese e istituzione, devono mobilitare ogni risorsa
disponibile a sostegno di chi si batte per la libertà e la democrazia.
6.
Ricordiamo che la risoluzione dell'Onu 1973 indica due obiettivi
principali: l'immediato cessate il fuoco e la fine delle violenze contro
i civili. Qualunque iniziativa intrapresa in attuazione di questa
risoluzione deve essere coerente con questi obiettivi. Ovvero deve
spegnere l'incendio e non alimentarlo ulteriormente, deve proteggere i
civili e non esporli a una nuova spirale della violenza. Gli stati che
si sono assunti la responsabilità di intervenire militarmente non
possono permettersi di perseguire obiettivi diversi e devono agire con
mezzi e azioni coerenti sotto il "coordinamento politico" dell'Onu
previsto dalla Risoluzione 1973.
7. Ad attuare quelle decisioni
ci doveva essere un dispositivo politico, diplomatico, civile e militare
sotto il completo controllo dell'Onu. Quel dispositivo non esiste
perché le grandi potenze hanno sempre impedito all'Onu di attuare quanto
previsto dall'art. 43 della sua Carta e di adempiere al suo mandato. La
costruzione di un vero e proprio sistema di sicurezza comune globale
non è più rinviabile.
8. Non è questione di pacifismo. La storia e
il realismo politico ci insegnano che la guerra non è mai stata una
soluzione. La guerra non è uno strumento utilizzabile per difendere i
diritti umani. La guerra non è in grado di risolvere i problemi ma
finisce per moltiplicarli e aggravarli.
9. L'Italia ha un solo
grande interesse e una sola grande missione da compiere: fermare
l'escalation della violenza, togliere rapidamente la parola alle armi e
ridare la parola alla politica, promuovere il negoziato politico a tutti
i livelli per trovare una soluzione pacifica e sostenibile. L'Italia
deve diventare il crocevia dell'impegno europeo e internazionale per la
pace e la sicurezza umana nel Mediterraneo. Per questo l'Italia non
doveva e non deve bombardare. Per questo deve cambiare strada. Subito.
10.
Ricordiamo nuovamente quello che sta scritto nella Costituzione
italiana. Art. 11: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali."
Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace
Perugia, 21 marzo 2011
Flavio Lotti - Tavola della Pace
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