16/07/2024
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A chi giova distruggere l'immagine del centro storico?
Il Sindaco Boccali e l'assessore Cernicchi intervengono sui temi del centro storico


A chi giova distruggere l'immagine del centro storico?

di Wladimiro Boccali

Sindaco della città di Perugia

Non solo a Perugia, ma in molte altre città italiane è in corso il dibattito sui centri storici. Questo, non  solo perché il centro storico rappresenta da sempre il cuore e l'identità di una città, ovvero il tratto che la distingue dalle altre, a prescindere da quanti abitanti abbia. Forse dipende soprattutto dal fatto che il centro storico è, in ogni città,  la parte del tessuto urbano più fragile nel rapportarsi alla contemporaneità. Questi spazi sono nati e si sono modellati in tempi remoti e per altri stili di vita, dunque con fatica riescono a fare i conti con un presente molto diverso.

Mi sembra però che a Perugia questo dibattito abbia assunto certi caratteri peculiari, tanto da spingermi a porre, provocatoriamente nella forma ma con spirito costruttivo, una domanda: a chi giova distruggere l'immagine del centro storico? Naturalmente, a nessuno. Non giova, per motivi tanto evidenti che non spiego, ai residenti, agli operatori economici, agli studenti. Non giova ovviamente al Comune, il quale anzi avrebbe ogni interesse ad avere nel centro storico uno spazio identitario amato, ammirato, vissuto.

Da questo dovrebbe discendere, secondo logica, che tutti i soggetti che interloquiscono a vario titolo sul centro lo facciano per rappresentarne i problemi, certo, ma anche per sottolinearne i pregi, accentuarne il positivo, valorizzarne l'immagine. Francamente non mi capita spesso di riscontrare un simile atteggiamento, e naturalmente non voglio qui negare alcun diritto di critica. Ci mancherebbe. Ma non posso non pormi il dubbio su cosa possa pensare un ipotetico (neanche tanto ipotetico)  visitatore se invece di girare per il centro e guardare con i suoi occhi, lo interpretasse attraverso le esternazioni di tutti coloro che sul centro intervengono, e nelle  quali si ripetono con frequenza parole come caos, casba, incubo, deserto, etc. Se un nemico del centro storico di Perugia volesse distruggerlo - torno alla mia provocazione - userebbe le stesse parole.

Dato che non credo affatto che gli interlocutori di cui sopra vogliano questo risultato, mi chiedo allora se non stiamo tutti, (ripeto: tutti, e ripeto: stiamo, prima persona plurale) facendo un errore, e se non sarebbe invece il caso di fermarsi un po' a ragionare, magari partendo dalla considerazione che non si può, per esempio, continuare a intonare il motivo del salotto buono di una volta, di come erano belli i tempi andati e così via. Tutto il mondo è cambiato, davvero qualcuno pensava che solo Perugia potesse chiamarsi fuori dalla modernità, con i suoi progressi e le inevitabili contropartite, anche quelle meno desiderabili?

Essendo il sindaco di questa città, non intendo affatto defilarmi e confondermi nelle fila degli "interlocutori". So benissimo di avere ruolo, responsabilità, compiti precisi. Uno di questi è chiedere un dibattito sereno, che non sia sempre e soltanto su uno spazio invivibile, caotico e degradato, ma anche su quello che, nella visione di quasi tutti coloro che vengono a Perugia da fuori le mura, resta uno dei centri storici più belli e meglio tenuti d'Italia.

Un altro compito è creare una politica per il centro, che, lo so benissimo, non è fatta solo dalla somma di interventi. Ne abbiamo realizzati tanti, di interventi, per esempio sulla residenza, ma è possibile che il giorno dopo la stampa riferisca, correttamente, l'operazione palazzo Grossi, palazzo Bianchi, torre degli Sciri, Via Fratti, Via Oberdan (tutti spazi recuperati a residenza o a funzioni direzionali: mai tanti, in precedenza, e di questa qualità) ed il giorno dopo ancora si riprenda a parlare di residenti in fuga?  E' possibile che siano state recuperate intere parti di città come Corso Cavour, Via Campo Battaglia, Corso Garibaldi, Porta Eburnea, e immediatamente dopo aver assorbito la novità ritorni il coro di come sia degradato il centro?

Ed allora, se non contano gli interventi, forse occorre operare, per le questioni che riguardano il centro storico perugino, una inversione di rotta nella strategia, meglio se condivisa.

Nessun marketing di promozione di un prodotto può funzionare se si fonda sulla demonizzazione del prodotto. A chi lo vendi, altrimenti? Propongo dunque una strategia (non fraintendiamo: si continui pure a esprimere critiche) che parta da quello che il centro rappresenta in termini di valore identitario per la città, dalla sua preziosa bellezza, dalla sua unicità. Ed allora si lavori tutti per renderlo realmente competitivo, ma guardando al futuro, non al passato più o meno remoto. Lavoriamo per governare il suo sviluppo, facciamolo entrare nella contemporaneità tutelandone la storia. Cerchiamo di ripensare questo spazio nel suo insieme, non guardando soltanto ai propri particolari interessi: i residenti da un lato, gli operatori commerciali dall' altro, gli studenti, a seconda dei casi, in mezzo o con una delle "parti".  E, oltre ai soliti noti, spero che parlino anche quelli che non parlano mai, che non
accedono ai giornali perché non rappresentano lobby o centri di interessi, o comunque non hanno facilità di accesso ai media. I residenti, per esempio: i novemila circa che abitano il centro, innanzi tutto, e gli altri perugini. O pensiamo che il dibattito pubblico in atto sia davvero espressione, se non di tutta la città, almeno di una parte numericamente significativa? Per fare un esempio, quanti di quei novemila, che pure non si sono espressi,  non vorrebbero dormire tranquillamente la notte?

Mi rifiuto di pensare che ci sia qualcuno che possa non condividere questo progetto: i perugini lo amano, e molto, il loro centro storico, anche quelli che non ci abitano e non ci lavorano. E' evidente che il Comune ha una politica per il centro, ma non è, né è mai stata, autoreferenziale.

A chi, come accadrà, polemizzerà con questa posizione rispondo, preventivamente, che mi va bene qualsiasi critica, ma che ancor meglio, mi piacerebbe vedere qualche sforzo costruttivo in cui leggere anche un atto d'amore per il centro storico di Perugia.

Centro storico, quello che i perugini non si dicono
di Andrea Cernicchi

Assessore alla Cultura del Comune di Perugia

La tesi che intendo sostenere in questo mio intervento coincide con il seguente enunciato: quando parliamo del centro storico non abbiamo il coraggio di dirci tutta la verità,  conosciuta e largamente condivisa, artatamente e sottilmente taciuta. Alcuni raffinati commentatori si affannano nel denunciare le carenze che l’amministrazione avrebbe avuto nel progettare la città, evidenziando in tali mancanze la causa fondamentale di ogni male. Errori sicuramente ci sono stati e noi, odierni amministratori che nel 1980 frequentavamo i primi anni del ciclo scolastico, ce ne assumiamo la piena responsabilità. Ma continuare a ribadire la litania dei sindaci dei lavori pubblici, delle rotonde, dell’attenzione solo per le periferie rosse mi appare poco utile oltre che intellettualmente poco onesto.

Che cos’è che, a mio avviso, i perugini non si dicono:

• Le scelte che hanno contribuito a determinare l’attuale situazione non sono ascrivibili esclusivamente all’amministrazione municipale (sarebbe semplice se fosse così). Una comunità è come un vascello che naviga guidato dalle mani di più decisori (enti locali, categorie professionali e loro associazioni, proprietari immobiliari, università, commercianti, sindacati, organi periferici dello dello Stato).

• I perugini hanno lasciato il centro negli anni sessanta, settanta e ottanta per due motivi fondamentali: cercare abitazioni più dignitose nelle moderne periferie abbandonando i rioni popolari; affittare, magari in nero, appartamenti spesso non ristrutturati alla massa di studenti che in quegli anni hanno iniziato ad animare Perugia.

• Una delle principali opzioni alternative a quella dell’affitto diretto della casa di famiglia agli studenti, questo è il caso di mio nonno e della sua abitazione alla Conca, è stata la vendita a grandi proprietari che hanno acquistato decine e decine di appartamenti, divenendo così anche “proprietari” del mercato immobiliare.

• Stessa cosa per le superfici commerciali, progressivamente acquisite da un numero assai ridotto di soggetti che hanno determinato la attuali scelte merceologiche e che, ben più dell’Amministrazione, controllano i valori degli affitti.

• La nostra Università degli Studi, vero e proprio elemento identitario e cifra massima della peruginità assieme alla Università per Stranieri, deve oggi confrontarsi con un numero almeno quadruplicato di opzioni. Con Roma 2, Roma 3, l’Università della Tuscia, Camerino e con il potenziamento di molti Atenei meridionali è aumentata la possibilità di scelta, con la conseguente diminuzione degli iscritti a Perugia; anche molti bravi professori hanno maggiori possibilità di scegliere.

• Troppi perugini pretendono che gli studenti vengano, studino, affittino, comprino, ma tutto entro le 20.30, altrimenti si dà fastidio.

• Troppi perugini vogliono la città vivibile e, possibilmente, vuota.

Molti sono oggi i problemi che attanagliano l’acropoli: spaccio di sostanze stupefacenti, recupero di spazi alla fruizione pubblica, aumento e diversificazione dell’offerta culturale e di intrattenimento, ridefinizione delle modalità di accesso. Tali problemi potranno essere adeguatamente affrontati solamente se decisori e cittadini, compiuta una comune operazione verità, smetteranno di scaricarsi le colpe vicendevolmente, convenendo che Perugia è di tutti, che tutti hanno il diritto di contribuire alle scelte oltre che il dovere di farlo, da Rancolfo a Porta Sole, da Mugnano al Borgo Bello.

Conclusione personale.

Sento il dovere, da amministratore e da cittadino, di esporre il mio un punto di vista, rischiando qualche antipatia, piuttosto che continuare ad assistere a questa sorta di commedia omertosa dove la trama, quella scritta, viene, troppo spesso, colpevolmente nascosta. Il nuovo metodo, utile ad approntare un’adeguata risposta alle questioni brevemente sollevate, dovrebbe consistere nel tentare di superare quegli interessi corporativi che negli anni si sono evidentemente strutturati, assumendosi ognuno le rispettive responsabilità nell’ottica di un destino comune che, ricordo, stante lo spirito dei tempi non vedrà qualcuno salvarsi e altri no. La città, tutta, o va in paradiso o precipita nel peggiore dei gironi infernali.




Inserito giovedì 17 marzo 2011


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