Il sogno delle città senz'auto …
Crescono i quartieri Car free: nelle metropoli europee aumentano le zone dove si può comprare casa solo se non si possiede la macchina. L'Italia, a 30 anni dalla prima isola pedonale, è ancora in ritardo. A Friburgo l'insediamento carfree più grande d'Europa
A ricordarlo o raccontarlo oggi c'è da non crederci. Eppure era
così. Piazza Navona a Roma, Piazza del Duomo a Milano, Piazza del Plebiscito a
Napoli... Trent'anni fa chi si fosse affacciato dalla finestra su una di queste
icone del nostro Paese, avrebbe "ammirato" un tappeto di automobili in movimento
o parcheggiate. Uno sfregio di lamiera a scenografie antiche, medievali,
rinascimentali, barocche, che si ripeteva immutabile nei centri storici di ogni
città italiana. Piccola o grande che fosse.
Poi, il 30 dicembre del 1980,
la svolta. La giunta comunale di Roma guidata dal sindaco Luigi Petroselli,
approvò la norma che avrebbe cambiato profilo al volto urbano del nostro Paese:
il nuovo assetto dei Fori Imperiali con il divieto di circolazione delle auto a
ridosso del Colosseo. "Partiamo in questa operazione da una situazione di
emergenza dovuta ai gas di scarico degli automezzi e alle vibrazioni causate dal
traffico", spiegò Petroselli con parole che ancora calzerebbero a pennello per
un sindaco dei nostri giorni. Era la prima isola pedonale nella storia d'Italia
e da quel giorno, anche se a gran fatica per l'iniziale opposizione delle lobby
dei commercianti, la cultura delle aree libere dal traffico si sarebbe diffusa
nel resto del Paese. Ultimo tassello in ordine di tempo, la pedonalizzazione
nell'ottobre dello scorso anno di Piazza Duomo a Firenze. Un quadro confortante
ma che, come vedremo, ci vede in abbondante ritardo sul resto d'Europa, dove
ormai non si parla più di isole pedonali ma direttamente di interi quartieri
"carfree". Una rivoluzione culturale impensabile per un Paese, come il nostro,
dove il 30,8% degli spostamenti motorizzati avviene su tragitti inferiori a due
chilometri.
Oggi in Italia - secondo i dati di "La città ai nostri
piedi", un rapporto realizzato da Legambiente e Aci (Automobile club d'Italia)
in occasione, appunto, del trentennale della prima isola pedonale - ogni 100
abitanti ci sono una media di 34 metri quadrati di zone interdette al traffico
motorizzato (Venezia, naturalmente, insieme a Verbania, Cremona e Terni sono i
centri in testa alla graduatoria con più di 100 metri quadrati ogni 100
abitanti, mentre in coda troviamo un drappello di città - da Agrigento a Ascoli
Piceno, da Caserta a Rovigo - dove le isole pedonali non esistono). Nel
complesso, i capoluoghi di provincia che adottano le isole pedonali sono 93, con
effetti positivi ormai indiscutibili: riduzione del livello di smog e rumore,
aumento degli utenti del trasporto pubblico, migliori tutela dei monumenti e
valorizzazione turistica, aumento della vivibilità e della sicurezza sia
stradale che generale, rivalutazione del mercato immobiliare. E, soprattutto
considerando le iniziali perplessità dei negozianti, l'innalzamento del volume
d'affari delle attività commerciali non inferiore al 20%.
Ma i trent'anni
di isole pedonali in Italia impallidiscono davanti ai quasi sessanta
dell'Olanda, apripista europea con la chiusura al traffico nel 1953 di Lijnbaan,
principale distretto commerciale di Rotterdam. Oltre mezzo secolo di cultura del
pedone che da qualche anno si è trasformata in qualcosa di diverso e di più
ambizioso: la creazione di interi quartieri completamente liberi dal traffico
dei mezzi motorizzati.
Come a Vienna, dove c'è l'esperienza consolidata
dell'Autofrei Siedlung di Nordmanngasse, un'area residenziale a circa 8
chilometri dal centro servita in modo perfetto dai mezzi pubblici: le circa 600
famiglie che abitano lì, al momento della firma del contratto si sono impegnate
a non possedere un'auto propria, scegliendo così per gli spostamenti quotidiani
i mezzi pubblici, la bicicletta o i piedi. "Il denaro e lo spazio risparmiato
grazie alla mancata costruzione dei parcheggi sottolinea il rapporto di
Legambiente possono essere investiti in migliore qualità residenziale, spazi
verdi, servizi collettivi". E dopo Nordmanngasse è già in progettazione una
replica, Bike City, con 3.400 persone che hanno già prenotato un appartamento.
Tornando in Olanda, anche Amsterdam ha il suo quartiere carfree: GWL Terrein,
realizzato negli anni Novanta su un'area di 6 ettari che in precedenza era
occupata da un grande impianto di trattamento dell'acqua. A GWL Terrain vivono
circa mille persone e tra un edificio e l'altro ci sono soltanto sentieri, piste
ciclabili e prati. L'accesso è consentito esclusivamente ai mezzi d'emergenza,
mentre per disincentivare l'uso dell'auto i parcheggi edificati a ridosso del
quartiere possono contenere non più di 135 mezzi. E' attivo un servizio di car
sharing (auto in multiproprietà) utilizzato dal 10% degli abitanti e gli altri
preferiscono la vasta rete di piste ciclabili e le linee tramviarie intorno al
quartiere. Dall'Olanda alla Scozia. L'insediamento di Slateford Green, a
Edimburgo, è sorto su una zona precedentemente occupata dalla ferrovia: 251
appartamenti senza un solo posto auto privato. Anche in questo caso esistono
servizi di trasporto pubblico efficientissimi, il car sharing e scuole
facilmente raggiungibili a piedi. Risultato: solo il 12% delle famiglie possiede
un'auto, parcheggiabile naturalmente soltanto fuori dal quartiere. Indicativo
per l'intero fenomeno delle città carfree, uno studio condotto a Slateford Green
dall'Università del Canada ha rivelato che la gran parte dei residenti ha
rinunciato all'auto non tanto per una scelta ambientalista o di responsabilità
civile, quanto piuttosto per convenienza economica e per
necessità.
Rimanendo in Gran Bretagna, anche Londra ha il suo quartiere
libero da auto. Si chiama BedZed (BedZed (Beddington Zero Energy Development) ed
è autosufficiente dal punto di vista energetico e a bilancio zero in fatto di
emissioni di anidrite carbonica. Un centinaio di case, 3000 metri quadrati di
uffici, negozi e impianti sportivi, un centro medico-sociale e un asilo nido:
per scoraggiare l'uso delle auto, è stato promosso lo shopping online e messo a
disposizione degli abitanti un parco di mezzi gestito in car sharing e car
pooling (utilizzo della vettura da parte di un minimo di tre persone).
Disponibile, inoltre, una piccola flotta di scooter elettrici per gli
spostamenti più brevi.
In Germania, a 3 chilometri da Friburgo (città che
adottò le isole pedonali già negli anni Settanta), a partire dal 1998 si sta
sviluppando quello che potrebbe diventare l'insediamento carfree più grande
d'Europa, con circa 6000 abitanti e 2000 edifici. Piste ciclabili, spazio
limitato per i posti auto, bus e ferrovia leggera efficienti: uno schema che a
Vauban è partito dal basso, ovvero dall'associazione di cittadini "Forum Vauban"
che ha partecipato a tutti i progetti di edificazione del quartiere. Tra le idee
realizzate, il pagamento di una tassa a parte per chi sceglie di possedere
un'auto, con il gettito destinato alla costruzione e alla gestione dei
parcheggi. Una zona carfree che in Germania esiste anche a Kronsberg, nel
distretto di Hannover, dove si è sfruttata l'occasione dell'Expo del 2000 per
minimizzare il fabbisogno di mobilità motorizzata.
E in questo elenco non
poteva mancare la Svezia. A Malmö, il nuovo quartiere residenziale di
Augustenborg ha puntato esclusivamente su vie pedonali, piste ciclabili e mezzi
pubblici. Così, solo il 20% delle famiglie possiede un'automobile, rispetto alla
media comunque bassa dell'intera Malmö (35%); l'80% delle strade ha un limite di
velocità fissato a 30 chilometri orari; il 40% degli spostamenti casa-lavoro
avviene in bici; gli autobus sono alimentati a gas naturale o biogas; la rete
dei tram è molto estesa; funziona un servizio di car sharing molto efficiente.
Una rassegna di chimere se si pensa alle città italiane nelle quali
probabilmente non basteranno altri trent'anni per approdare ai quartieri
carfree. Legambiente e Aci, in un'inedita alleanza tra ambientalisti e
automobilisti, provano comunque a guardare avanti con una serie di proposte alle
amministrazioni locali e al governo: un'authority nazionale che coordini
programmazione e interventi sul territorio; una legge quadro che introduca
criteri generali per la realizzazione dei nuovi quartieri nelle città; un'altra
norma quadro che fissi criteri uniformi per i provvedimenti di ogni Comune in
tema di limiti alla circolazione delle auto; l'introduzione del pedaggio per
l'accesso nei centri urbani; investimenti per rendere più efficienti e meno
inquinanti i trasporti pubblici locali; pagamento del bollo auto in rapporto ai
livelli di emissione e alla dimensione; incentivi al car sharing e al car
pooling. La palla, dunque, passa a esecutivo, sindaci e governatori. Intanto le
isole pedonali continueranno la loro lotta di resistenza quotidiana contro
l'assedio dell'esercito motorizzato.
MARCO PATUCCHI
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