14/08/2024
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Non tutto il biogas è verde... parola di ambientalista
Che fine ha fatto la vocazione turistica del cuore verde d'Italia?

Dietro al termine "economia verde" (“green economy”) spesso vengono nascoste operazioni aziendali che di “verde” non hanno proprio nulla, mentre per la parte “economia” si ha spesso a che fare con speculazioni che tendono a concentrare ricchezza su pochi a discapito dell’ambiente e della salute pubblica.

Mi riferisco a certi impianti a Biogas di cui si sente parlare molto in quest’ultimo periodo. Chiarisco subito che ritengo sia lodevole cercare di ottenere energia da scarti di produzione agricola. Scarti, si badi bene: materiale cioè che non potrebbe essere utilizzato diversamente e che quindi è conveniente trattare per ricavare un po' di energia.

Tutt’altro è coltivare terreno per produrre biomasse (insilati di mais, triticale ecc) da destinare non già all’alimentazione umana o animale, ma alla produzione di biogas. Il perché è semplicissimo. L’efficienza energetica con cui si converte l'energia solare (tramite la fotosintesi) in elettrica (bruciando biogas) è assolutamente ridicola, pari allo 0.23%. Mi spiego meglio: Alle nostre latitudini la Terra riceve dal sole circa 1500 KWh/m2 all’anno. Se coltiviamo questo pezzo di terra, grazie alla fotosintesi, otteniamo un quantitativo di biomassa che trasformato in energia elettrica tramite la filiera del biogas rende, nelle più ottimistiche previsioni, solo 4,23 KWh/m2 all’anno, che è appunto lo 0.23% dell’energia ricevuta dal sole. Se proprio di energia elettrica si ha bisogno conviene di gran lunga installare un banale pannello fotovoltaico che ad oggi è in grado di convertire l’energia solare in elettrica con una efficienza del 10-15%.

Ed ecco che mi riallaccio al caso concreto, cioè la maxistalla con annesso biodigestore previsto a Santa Maria Rossa da parte delle Opere Pie. Dalle poche notizie circolate pare che l'impianto per produrre biogas sarà alimentato sia con effluente zootecnico bovino (8000 tonn/anno di liquami), sia con biomasse vegetali APPOSITAMENTE PRODOTTE mediante coltivazione intensiva (20000 tonnellate/anno di insilato di mais e triticale). In effetti questa è una pratica d'obbligo perché un impianto alimentato a solo liquame non sarebbe economicamente sostenibile (poco biogas) e rimarrebbe il problema di come disfarsi del digestato (sottoprodotto della biodigestione), di solito smaltito con la fertirrigazione di terreni coltivati. La convenienza economica di questa bizzarra operazione si deve al perverso meccanismo dei certificati verdi per cui l’energia elettrica così prodotta può essere venduta ad un prezzo molto vantaggioso (a discapito degli utenti che pagano bollette più care).

Se gridiamo no ai pannelli fotovoltaici che occupano i terreni agricoli invece che i tetti delle case o delle industrie, cosa dovremmo dire di terreni coltivati per produrre energia elettrica con una efficienza assolutamente insignificante? Che senso ha coltivare, irrigare, fertirrigare con grave rischio ambientale una zona classificata “vulnerabile ai nitrati” per produrre, con una efficienza insignificante, una manciata di energia? E’ questa la “economia verde”?

Che fine ha fatto la vocazione turistica del cuore verde d'Italia? Da tutta Europa vengono a cercare i nostri paesaggi e le nostre dolci colline e noi che facciamo? Ci spalmiamo sopra la cacca!



Roberto Pellegrino - Movimento Perugia Civica

Inserito mercoledì 22 dicembre 2010


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