Perché le grandi opere non si fanno
da Il fatto quotidiano dell'8 ottobre
Le grandi opere prioritarie, decise nella legge
finanziaria che si appresta a essere presentata, adesso sono diventate 28 (cfr.
Sole 24 Ore di martedì), quasi tutte di trasporto, strade e ferrovie. Un
nuovissimo elenco. I governi di centrodestra, dopo la celebre lavagna presentata
da Berlusconi a Porta a Porta con 19 opere prioritarie, hanno prodotto davvero
un grande numero di elenchi: il numero delle opere ha oscillato da 9 a 184, con
moltissime sottovarianti. Poi di opere ne hanno fatte pochine e spesso per
nostra fortuna, visto che molte e costosissime, probabilmente non servono, o non
sono affatto prioritarie.
Nel mondo sviluppato, gli elenchi di opere
pubbliche si chiamano shopping lists, per distinguerli dai piani di
investimento dotati da una qualche razionalità complessiva. Ma a questultimo
(ultimo?!?) elenco manca anche un minimo assoluto di elementi di valutazione e
di priorità, che possano almeno suggerire ai contribuenti (nel caso delle
ferrovie e metropolitane), o a agli utenti (nel caso delle autostrade) con quale
logica si è deciso di spendere i loro soldi. Mancano ovviamente analisi
costi-benefici sociali comparative (ma questo cera da attenderselo, dato il
deserto culturale in materia da sempre esistente in Italia). Ma mancano anche
più semplici analisi finanziarie comparative (cioè il bilancio costi-ricavi, che
segnala lonere pubblico complessivo dellopera e che per questa ragione deve
contenere stime sul traffico servito). Ma manca anche il più semplice dei dati,
appunto le previsioni di domanda. Queste consentirebbero ai cittadini (ai
pagatori) di confrontare unopera costosissima su cui passerà poco traffico con
una più economica su cui ne passerà moltissimo e di aspettarsi che di ciò si sia
minimamente tenuto conto nelle scelte di priorità. Ma se la logica della spesa è
spartitoria e prescinde da ogni razionalità economica, dare dati di domanda può
essere pericoloso, anche in caso di analisi di domanda addomesticate, cioè non
fatte da soggetti indipendenti e in modo comparativo.
Basta guardare al
recente passato: la linea Alta Velocità Milano-Torino per esempio (ma tanti
altri ce ne sono) è costata 8 miliardi di euro, ha una capacità di 300 treni al
giorno e ne porta 14, cosa largamente prevedibile e da molti tecnici invano
prevista e segnalata per tempo.
Ma l'elenco delle 28 opere sarà comunque
utile: farà partire molti cantieri (soprattutto in vicinanza di elezioni), per i
quali poi non ci saranno i soldi per finire le opere, che si trascineranno per
tempi biblici. Niente di male: l'obiettivo è aprire i cantieri, non finire le
opere. L'orizzonte del consenso politico non supera certo la durata (residua) di
una legislatura, e moltissime hanno durate superiori anche se realizzate secondo
programma.
Cè una razionalità di fondo in questa follia: il
funzionamento degli appalti nelle opere civili. La concorrenza funziona
pochissimo e non solo in Italia: gran parte delle risorse devono essere reperite
in loco (macchinari, cemento, inerti, parte della mano dopera). Quindi vincono
quasi sempre imprese nazionali, che in buona quota poi si servono di imprese
locali. Quindi le opere civili sono uno dei pochi strumenti con cui lo stato può
finanziare le imprese nazionali e locali. Poi succede a volte che le imprese
manifestino gratitudine, che in sé è un sentimento virtuoso.
Purtroppo
poi il settore è anche particolarmente afflitto dalla presenza della malavita
organizzata, sempre a causa della scarsa competizione possibile e del diffuso
intreccio politica-affari che ne segue. Malinconico ma non inspiegabile, per le
ragioni sopra illustrate, il pieno supporto dato dal Pd e anche da Di Pietro a
questa logica di spesa. La foglia di fico della contrarietà allinutile Ponte di
Messina del Pd infatti nasconde lassenso a tutto il resto, spesso ancora più
inutile e costoso.
Per finire, tre accorate raccomandazioni: 1) dare un
minimo di dati comparativi, per rincuorare i pagatori delle opere. 2) Tener
conto che il traffico è prevalentemente di breve distanza, che si serve assai
meglio con le piccole opere locali e con la manutenzione, che generano tra
laltro più occupazione in tempi più brevi, a parità di spesa. 3) Infine,
partire coi cantieri solo quando tutti i soldi necessari a finire lopera sono
allocati e congelati. Lo stop and go infinito dei cantieri è micidiale sul
piano sia dei costi che della funzionalità, come troppe esperienze passate hanno
mostrato.
Marco Ponti
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