22/12/2024
direttore Renzo Zuccherini

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Trouble laboratorio interculturale
3-4-5 Settembre

ore 21.15

Perugia, Chiostro S. Anna (viale Roma, 15)

"TROUBLE" il nuovo spettacolo del Laboratorio teatrale interculturale Human Beings.

Vi aspettiamo!
Danilo Cremonte

Per vedere le foto dello spettacolo:
http://www.youtube.com/watch?v=SaKdUm390xk
 
Associazione culturale Smascherati!
Human Beings - International cross cultural theatre workshop
tel. +39 0755734519 - 3498618557
www.humanbeings.it

Il nuovo spettacolo di Human Beings di Danilo Cremonte
Nel torbido i momenti di una gioia possibile

“E poi talvolta dai gesti opachi del lavoro / scivola fuori il motivo di una danza. // Allora le mani accarezzano l'aria / le braccia diventano i rami di un melo che si aprono / verso la luce, e salutano qualcosa”: sono i versi di una poesia bellissima di Fabio Pusterla, dal suo ultimo libro Corpo stellare (Marcos y Marcos, 2010). Ma qual è il confine tra i gesti opachi della quotidianità e la danza? Dove si colloca? E c'è un ritorno indietro, e perché? Certo, lo sappiamo, c'è sempre un “riscivolamento” obbligato verso l'opacità. Ma, ancora Pusterla: “E se la luce si fa più lontana / ne custodisco l'assenza”.
Tornano in mente questi versi, queste domande e questa speranza coraggiosa assistendo all'ultimo spettacolo del Laboratorio teatrale interculturale Human Beings diretto da Danilo Cremonte e intitolato “Trouble” e, come sempre, sottotitolato “Gioco scenico di varia umanità”: tornano in particolare seguendo la scena centrale che vede una giovane donna africana trasformare il suo lavoro di macinatura dei semi in una musica e in un ritmo che presto diventano danza, e la danza diventa quasi volo d'uccello, a braccia spiegate, sostenuto da una nostalgia improvvisa e incoercibile verso la terra lontana, via da quest'esilio. Ma il nòstos è impossibile, compaiono figure in tuta mimetica e con maschere antigas a ricordarci le stragi, i massacri dell'Africa (e del mondo). E tuttavia quella danza c'è stata e ha costruito amicizia, solidarietà, condivisione e gioia: c'è chi sa custodire anche l'assenza della luce. Molti sono, nello spettacolo, i momenti in cui gli accenni ad una gioia possibile, come qui, si convertono nel proprio contrario, o piuttosto in uno smarrimento e in una confusione (trouble si potrebbe anche tradurre con “casino”; ma la parola è prima di tutto imparentata con il nostro “torbido”: e allora ecco il domestico pesciolino rosso diventato un orribile pesce morto tutto nero di petrolio, mentre intorno si diffonde un odore nauseabondo...), smarrimento e confusione da cui è difficile uscire integri nelle proprie certezze e nei propri possibili conforti. Anche la memoria dell'infanzia e dei suoi giochi innocenti viene messa a dura prova, dura come la distorsione quasi insostenibile di melodie bambinesche. E così (ma in questo caso il “passaggio” è in qualche modo più prevedibile) sarà per l'apparentemente svagato, miserabile viveur che celebra la sua napoletanità dando fondo a tutti i più vieti luoghi comuni e ascoltando con grande partecipazione da una radiolina un'incredibile canzonetta neomelodica, per poi diventare -quasi in un processo di naturale osmosi- il giustiziere con fascia tricolore che “giudica e manda” gli extracomunitari che gli capitano a tiro. Naturalmente non c'entra Napoli e la sua lingua, il tizio incarna piuttosto un universale linguistico-antropologico di tipo sbirresco-burocratico, sia nel suo tempo libero dedicato all'abbronzatura sistematica del corpo (che rivela un narcisismo di matrice “gomorristica”), sia nell'esercizio delle sue funzioni; infatti, non a caso, il suo stereotipo napoletano diventa immediatamente il milanese -con una frustata di attualità- “ghe pensi mì”, appena prima di condannare le sue vittime chi alla schiavitù di Rosarno, chi alla prostituzione sulla via Salaria, chi -con bandiera tricolore- ad un C.P.T., chi al buco nero del respingimento in Libia... A questo alternarsi continuo di comico e tragico, che è un po' la cifra del teatro di Danilo, fa da colonna sonora una splendida mescolanza di scelte musicali, dal sublime di Schubert al kitsch struggente di un patetico Gigolò, alla versione incattivita dei Residents, acida e quasi irriconoscibile della “Vecchia Fattoria” (fatta apposta per spezzare l'idillio delle care vecchie memorie...). E' Schubert, in particolare, ad accompagnare i momenti più lirici e intensi fino a confondersi con un silenzio quasi sacro, all'inizio e alla fine dello spettacolo, quando forse si ripensa a ciò che si è perduto; anche qui, però, niente concessioni a facili commovimenti: quanta polvere, e confusione, e poi sassi come proponimenti o speranze che rotolano via dalle mani. Ma il rituale del lutto della ragazza cinese, nonostante la frettolosa e irriverente rimozione degli oggetti di scena, resta impresso come qualcosa di universalmente commovente, in cui ci si riconosce.
Ancora una volta il Laboratorio interculturale ha fatto il “piccolo” miracolo di mettere insieme tanti giovani di tanti luoghi diversi (Austria, Bangladesh, Burundi, Cina, Ecuador, Italia, Iran, Lituania, Olanda), decisi a trovare nel teatro la possibilità di uno scambio profondo non malgrado, ma grazie alla diversità; e a realizzare, sotto la guida sicura di Danilo Cremonte, uno spettacolo teatrale di grande autenticità e grazia.    L. C.





Inserito mercoledì 1 settembre 2010


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