Ikea che idea
Il verde e la salvaguardia del paesaggio restano all'ultimo posto, sempre
Ci sono delle cose che non si possono non trovare sotto casa o, almeno, nella città dove si abita. Se non ci sono, vuol dire che la città dove si abita non è un gran che. Per dire, un ospedale, qualche televisione privata, il distretto militare, lo stadio, la Polizia stradale, i carabinieri, l'università, la Provincia, almeno, se non la Regione. Ecco, da un po' di tempo pensavamo a questa grave mancanza noi che abbiamo anche la Regione. Non abbiamo una cosa che c'è a Roma, Firenze, Bologna, che sono grandi città, ma anche Perugia, in fondo, non è capoluogo di regione, come Ancona? e anche in Ancona c'è. L'Ikea, certo, se no, che cosa? l'unica medaglia che ci manca o, meglio, ci mancava perché tra un paio d'anni anche questa lacuna sarà colmata. La società svedese ha una buona immagine, piace un po' a tutti, non solo perché è molto economica ma anche perché produce mobili e oggetti che non sempre si fanno riconoscere. Per questo ci vanno tante persone, anche se non sempre lo dicono. Ikea è interclassista come la vecchia democrazia cristiana, anche se è nata per parlare ai desideri delle famiglie che non possono spendere. Nel suo dna c'è molto welfare scandinavo. Quindi, perché no? Quando un dirigente della società svedese entrò nel suo studio, Renato Locchi, il sindaco di Perugia del primo decennio del secolo, lo stava già aspettando chissà da quanto tempo e non ci mise un minuto a scuotere la testa per dire un va bene largo come la sua fronte perennemente abbassata, e cominciare subito dopo a progettare ponti d'oro per il gradito ospite. Ponti troppo larghi però, perché se sono così larghi, sotto questi ponti ci passano molte cose e, qualche volta, troppe. Così è nato, passo dopo passo, l'ennesimo progetto dalla finanza creativa, e anche un po' allegra, della nostra città. Chissà a chi è venuto in mente di scegliere un costruttore dal fiuto fine per trovare un posto ad una multinazionale così inappuntabile. Dunque, nella storia c'è questo imprenditore fresco proprietario di un vigneto appena impiantato a Montefalco, un terreno di alto pregio agricolo e ambientale a San Martino in Campo, le Opere Pie proprietarie di questo terreno dove Ikea dovrebbe costruire i locali vendita, un magazzino, un centro direzionale per il centro Italia e poi parcheggi e servizi. Per una cosa così servono trenta ettari. Per capire le dimensioni della cosa basta pensare a Collestrada, che occupa un paio di ettari, forse tre, facciamo quattro. Insomma le Opere pie, che saranno pure pie ma pur sempre gestite da un consiglio nominato dal Sindaco, non dallo Spirito Santo, dovrebbero vendere a Ikea ma, per statuto, non possono farlo. Così il costruttore di Marsciano cede il suo terreno di Montefalco e si prende quello di San Martino in Campo. Una permuta. Siamo sicuri che, con questa operazione, le Opere pie abbiano valorizzato i proprio beni? Ecco, su questo aspetto non ci possono essere dubbi. Chi deve far chiarezza dovrebbe farla al più presto possibile, anche perché la moltiplicazione dei pani e dei pesci, dove tutti guadagnano, non riesce più a nessuno da due millenni. L'affare Ikea, che non è ancora un affaire, pare sia un'occasione da non perdere. Perché? perché darà lavoro a duecento persone e consentirà ai perugini di fare acquisti in casa propria e di non spostarsi più a Roma o a Firenze. Tutto qua? si, tutto qua. Duecento posti da commessa o da magazziniere giustificano la distruzione ambientale e paesaggistica dei terreni più belli di Perugia? vediamo un po'. Con l'arrivo del colosso svedese molti mobilieri e non poche aziende artigiane dovranno chiudere, a meno che non si pensi, anche in questo caso, che in questa città nelle operazioni che si fanno tutti guadagnano e nessuno rimette. Non sembra né facile né tanto meno possibile. I profitti di Ikea non restano in Umbria. Dunque, che Ikea stia a Terni o stia a Perugia non cambia nulla. Sono sempre soldi nostri che se ne vanno. E poi, siamo messi così male, con tutte le potenzialità turistiche di una città come Perugia, da considerare strategici e irrinunciabili tutti questi pur rispettabilissimi posti di lavoro? Le pizzerie del centro sono tutte in mano ai napoletani, allora? Si poteva, come riduzione del danno, trovare un posto diverso? è possibile, ma certo il territorio perugino è stato devastato da capannoni, supermercati, edilizia spuria e anonima in ogni suo angolo, soprattutto lungo le direttrici della Pievaiola e quella Cortonese. Non abbiamo più grandi spazi se non vogliamo compromettere la valle del Tevere, non proprio immacolata a nord ma miracolosamente conservata a sud. Dopo Ikea arriveranno a San Martino in Campo altri capannoni e altri supermercati, inevitabilmente. Tra qualche anno la media valle del Tevere sarà come il territorio di Corciano, il modello vincente, ovunque. In questa regione non è molto diffusa l'economia della conoscenza se non in alcune zone e in poche aziende, prospera invece quella immobiliare mentre svendiamo i nostri territori e una delle risorse più preziose come l'agricoltura e il paesaggio. Qual è il nostro modello di sviluppo? Ci si riempie spesso la bocca con questi discorsi sull'economia verde. Ma l'economia verde non esiste se non viene vissuta come scelta prioritaria alla quale segue tutto il resto in modo rispettoso e coerente. In realtà è sempre un'opzione secondaria, come i bellissimi terreni di San Martino in Campo, verdi e protetti dal piano regolatore sino a quando non arriva qualcuno e la inevitabile variante. Il verde e la salvaguardia del paesaggio restano all'ultimo posto, sempre.