22/12/2024
direttore Renzo Zuccherini

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Nel mezzo dell'Italia di mezzo
E' questo il federalismo virtuoso? Per ora abbiamo riunificato la valle umbra riempiendola di capannoni


                                

  Chissà qual è il filo rosso che ci dice dove sta l'Italia di mezzo che non è, semplicemente, l'Italia centrale delle cartine geografiche delle nostre vecchie aule scolastiche. La geografia politica non sempre coincide con la cultura, la civiltà, il modo di vivere dei diversi territori.
  "C'è una Urbino che respira al centro del cuore d'Italia e che è rimasta intatta dai tempi dei suoi grandi pittori, a memoria di una dignità dello spirito che il nostro modo di vivere ha umiliato e infine perduto". Ecco, questo è Carlo Bo nel 1967. L'Italia di mezzo è soprattutto questo, la sua grande storia e le sue città d'arte. Urbino, Perugia, Arezzo, Siena, Firenze, naturalmente, i centri minori e il senso civico, la sua più grande ricchezza figlia della civiltà dei comuni, dell'autonomia e dell'autogoverno. Un popolo che non conosce feudi e signori e che non entra nell'ufficio del sindaco con il cappello in mano. Seguendo questo modo di essere si può ritrovare l'Italia di mezzo della quale hanno discusso ieri a Perugia "gli Stati Generali" delle regioni del centro.
  Questa Italia guarda alle virtù del solidarismo, della tolleranza, di una comunità che non va a caccia di nemici ma di convenienze costruttive, di aperture, e che costruisce opportunità condivise, non barriere miopi e provinciali. Una volta, da queste parti, di parlava di "regioni rosse"  e del riformismo emiliano come modello guida. Quella era l'Italia all'opposizione, onesta e capace di una propria originale efficienza, ma pur sempre diversa, attratta dall'utopia, da qualche pigrizia ideologica, da un'idea ancora approssimativa delle leggi del mercato e dell'economia moderna. Quel modello è alle nostre spalle ed anche, occorre riconoscerlo, non più proponibile. L'illusione di costruire un'isola felice, un pezzo d'Italia diverso e migliore, impoverisce l'idea di un regionalismo non chiuso in se stesso ma capace di confrontarsi con le speranze di un paese che cerca una via di uscita dall'intreccio inestricabile dei mille corporativismi.
  E' questo il federalismo virtuoso? in ogni caso è fuor di dubbio che l'Umbria debba costruire, come in effetti sta facendo, un rapporto e qualche progetto insieme alle regioni vicine ed anche, alla fine, qualcosa di più, e cioè una proposta per l'Italia, una visione dello sviluppo che abbia un'originalità ed un valore nazionale. Certo, qualche volta si parla di strade e di quadrilateri. Le infrastrutture, per dire, sono importanti, ma se si è capaci di scegliere, di inserirle in un disegno di crescita armonica ed equilibrata, altrimenti non ci porteranno troppo lontano. Le carte che si possono giocare in questa parte d'Italia non ancora compromessa da troppi e troppo vecchi modelli sono altre. I distretti del nuovo sviluppo si affermano in Europa in aree dove la qualità della vita, l'equilibrio ambientale, i servizi e la coesione sociale sono le armi vincenti. La modernità non contrappone più luoghi di lavoro e luoghi di vita, due mondi opposti e separati. Su questo versante l'Italia di mezzo ha qualcosa da dire.
  Stiamo andando verso la direzione giusta? chissà. Certo, se pensiamo alla visita di Silvio Berlusconi nelle zone del terremoto di qualche anno fa e al sogno di realizzare una specie di Milano due nelle valli dell'Appennino e poi, più di recente, al modello abruzzese, possiamo sorridere e pensare alla nostra felice condizione, ad una saggezza lontana dall'efficientismo freddo e senza misura e che non parla all'uomo, alla sua storia, alla sua cultura, ai suoi desideri più profondi. Possiamo presentare un Pil più basso di quello delle valli trevigiane, ma anche un'idea più vitale e complessa della crescita e dello sviluppo e, soprattutto, un'idea di democrazia e partecipazione che viene da una storia lontana.
  Una volta, questa fascia mediana del paese, veniva chiamata "Terza Italia". Sembrava un orizzonte, un obiettivo, in pratica un programma diverso da quello del resto del paese, sia al nord che al sud, l'embrione di una identità forte e originale. Sarà stata un'idea velleitaria e magari anche sbagliata, ma oggi, in ogni caso, anche la piccola Umbria deve cercare di uscire dal suo guscio, proporre la propria immagine di modernità, costruirla senza complessi. Siamo al centro del paese e continuiamo a sentirci isolati. Questo disagio non lo risolveremo con il completamento di qualche superstrada.
  Per ora abbiamo riunificato la valle umbra riempiendola di capannoni, da Spoleto a Corciano mentre il resto del territorio cammina per conto suo, a nord Città di Castello e a sud Terni. C'è l'Umbria che cresce in modo non sempre virtuoso e l'Umbria che cerca nuove strade e poi c'è l'Umbria che aspetta, magari gli ultimi fondi del terremoto. Abbiamo visto fiorire l'industria del mattone e quella dei supermercati, accanto alle poche ma significative eccellenze, dal settore enogastronomico a quello meccanico. Ora si parla molto di ambiente e di cultura. Si parla, ma al centro dei nostri progetti c'è ancora, con tutto il rispetto, l'edilizia. Aprire i rapporti alla regioni vicine, come è giusto e necessario, non dovrà necessariamente imporci il modello della cosiddette grandi opere, a cominciare dall'autostrada sopra le macerie della E45. Non saranno gli autogrill il motore del nostro sviluppo perché, con la distruzione del territorio, nostra più grande risorsa, finiremmo con restare la terza Italia o magari, nella graduatoria del meriti, la seconda. Come sempre.

                                                             
                                                        renzo.massarelli@alice.it
(pubblicato sabato 22 aprile 2010 sul "Corriere dell'Umbria") 
   



Renzo Massarelli

Inserito martedì 25 maggio 2010


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