14/08/2024
direttore Renzo Zuccherini

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UNA MARCIA LUNGA UN GIORNO
Ci sarà sempre un motivo, per farla, questa marcia, chissà per quanto tempo ancora

  E' un cammino che dura un giorno, dunque, una vita. Dal mattino al tramonto. Non da soli ma in compagnia, insieme agli amici, a piccoli o grandi gruppi. C'è chi rappresenta solo se stesso e chi qualcosa di più, un'associazione, un movimento, una scuola, una città. In testa a tutto c'è la bandiera della pace e poi tante bandiere diverse, tante identità. Domenica mattina, da San Girolamo si muove verso Assisi una speranza senza tempo e un popolo che ha cinquant'anni, o quasi. Si muove sulle strade di Francesco come fece la prima volta Aldo Capitini nel 1961 con la meglio gioventù di allora, l'Italia che credeva nel futuro e che era certa che ci sarebbe stato un domani diverso e migliore.
  Oggi ci stupiamo che tanti giovani arrivino a Perugia, che ci sia ancora tanta gente dietro quella bandiera con i colori dell'arcobaleno. Sono passati cinquant'anni, una vita davvero. E' passato il Novecento, i riti di quel tempo e le passioni collettive di una lunga stagione difficile e felice. Lungo le strade della valle umbra ha camminato un grande movimento cosciente di essere una minoranza, ma c'era una speranza dentro. Nell'Italia di oggi tutto è più difficile, anche la speranza. E' cambiato il mondo, ma in fondo è cambiata anche la marcia. Ci sono state tante stagioni da quella prima volta, quella di Capitini sembrò la prima e l'ultima, un'avventura ed un evento unico. Ci sono voluti poi diciassette anni per tornare su quelle strade, Capitini non c'era più da dieci anni. Forse la marcia doveva finire con il suo maestro. Anche quella del '78 era un'Italia già molto diversa da quella del '61. Ogni stagione, alla fine di questa storia, ha avuto la sua marcia.
  Tra gli anni sessanta e gli anni settanta c'è stato il Vietnam, tutto era facile da capire. La guerra era la guerra. Poi sono arrivate le guerre "umanitarie" che hanno segnato profondamente il senso della marcia e la sua stessa ragione unitaria. Infine i diritti, la difesa della dignità di ciascuno. Oggi, dopo mezzo secolo, sembra di essere tornati di nuovo all'idea di liberazione di Capitini con il linguaggio del pacifismo e della nonviolenza. Siamo ancora lì, al bisogno di liberazione dell'uomo, alla difesa della democrazia, alla dignità del lavoro, al rispetto per le mille diversità del mondo.
  Il lavoro, soprattutto, torna al centro di questa marcia, e le tute blu degli operai delle acciaierie di Terni e quelle di tutti coloro che, in questa regione, rischiano di perderlo. Chi conosce oggi gli operai e chi parla con loro? Dietro i mille silenzi di chi non ha più voce si apre ancora una volta il corteo colorato della Perugia-Assisi che guarda ai bisogni e alle domande del suo popolo. In fondo la marcia è stata sempre questo, un canto corale, l'espressione del protagonismo sociale di tante persone, gruppi, associazioni e di quelli che l'hanno perduto, ed è questa "opposizione e liberazione" nel linguaggio di Capitini. Non tanto l'opposizione dei partiti del Parlamento, ma un modo di essere e di guardare il mondo, il senso critico, la capacità di capire dove stanno le ingiustizie, per renderle visibili e cercare di sconfiggerle,  e questa è la strada per arrivare alla liberazione.
 Ci si è chiesti molte volte se verso Assisi non cammini un movimento di parte. Certo che lo è, si è sempre di parte, ma come si fa ad etichettare i mille linguaggi e i mille colori della marcia della pace? C'è solo un modo per capire la marcia. Andarci.
  Si tratta di un bel viaggio che si inizia da un luogo simbolico di Perugia, il Frontone e il borgo XX Giugno, e che poi si snoda lunga la via dei papi, quella che portava a Roma, lungo una discesa che invita a camminare, a parlare e poi cominciare a scoprire i compagni di viaggio che cambiano con il tempo che passa. Quella di Capitini non è una marcia militare, non si cammina incolonnati, ma liberi, e non è nemmeno una manifestazione di protesta. Camminando, si capisce cosa vuol dire la non violenza e il senso di liberazione che questo modo di vivere può trasmettere. Liberi  di non essere violenti e di pensare che, davvero, non siano le guerre lo strumento per risolvere le controversie tra i popoli e gli stati.
  Poi arriva la pianura umbra mentre il sole è già alto sul monte Subasio. Camminare aiuta a riflettere ed anche a fare festa. Poi c'è la sosta di Santa Maria degli Angeli ed infine l'ultima fatica, la salita verso Assisi e più ancora in alto la rocca e il grande piazzale dove tutti si ritrovano. La pianura umbra è ormai lontana e Perugia quasi invisibile mentre il sole comincia ad andarsene. Questa è la marcia della pace, il viaggio che dura un giorno e che somiglia alla parabola della vita. La discesa, la lunga pianura e il faticoso salire finale e poi i luoghi della storia e il loro linguaggio antico che è quello di un lontano passato di violenze che ci dice, oggi, che un altro mondo è possibile, un mondo di pace, prima di tutto.
  Aldo Capitini, dopo quel 24 settembre del 1961, non poteva immaginare che la sua idea avrebbe toccato la sensibilità di così tante persone e che ancora per mezzo secolo la sua bandiera dell'arcobaleno sarebbe tornata sulla stessa strada, da Perugia ad Assisi. Ci sarà sempre un motivo, per farla, questa marcia, per un altro mezzo secolo e chissà per quanto tempo ancora.
                                                            
                                                       renzo.massarelli@alice.it
(pubblicato sabato 15 maggio sul Corriere dell'Umbria)
 



Renzo Massarelli

Inserito martedì 18 maggio 2010


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