14/08/2024
direttore Renzo Zuccherini

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IL FESTIVAL DEI GIORNALISTI
...e di altre personalità della cultura e poi, certo, anche di questa professione amata e odiata come poche altre

  Travolta da insolita passione per il Festival del giornalismo, incuriosita dal popolo nomade che insegue eventi senza soluzione di continuità da un posto all'altro del centro, Perugia guarda se stessa di giorno, ma anche di sera, e scopre che un altro mondo è possibile. Il Festival pare costruito sui tempi e sui ritmi dei giovani, solo loro e qualche pensionato in buona salute sembrano in grado di corrergli dietro a tutte le ore, ma certo, non è la festa dei bicchieri di plastica, il muoversi tra un locale e l'altro, tra una birreria e un'enoteca delle notti perugine.
  Il pomeriggio, mentre la sala dei Notari si riempie per gli incontri del festival, altri giovani guardano distratti dall'altra parte della piazza, sulle scalette del duomo, come ogni giorno e in attesa della notte. Così come il locale della movida che hanno chiuso per due settimane, su un altro lato ancora della piazza, chiuso ma con le luci accese e la porta spalancata dietro il cancello d'ingresso. Com'è tutto ambiguo e provvisorio in questa città di mura millenarie.
  Perugia, alla presenza di giornalisti inviati da altre città italiane e straniere è ormai abituata, ma è un sollievo che non si trovino in Piazza Matteotti, davanti al tribunale e alle antenne paraboliche. Questa volta non ci sono grandi processi da seguire.
  Il Festival non si svolge a Roma o a Milano, che sono le capitali naturali dell'informazione, ma in una città dove si insegna giornalismo radiotelevisivo e scienze della comunicazione. Location perfetta. Qui si studia, poi si cerca un posto di lavoro. Altrove. Chissà perché lo hanno chiamato Festival, come a San Remo. Forse perché oggi i giornalisti più famosi sono percepiti, grazie alla televisione, non professionisti di un, comunque, fascinoso lavoro, ma personaggi dello spettacolo, volti familiari dello zapping serale. Dunque, festival dei giornalisti e di altre personalità della cultura e poi, certo, anche di questa professione amata e odiata come poche altre. Comunque, in questo tempo, c'è poco da festeggiare. La stampa è sempre meno libera, il giornalismo di qualità che abita più di frequente nella carta stampata è un obiettivo, per un giovane, difficile assai da raggiungere. Il pensiero unico è dietro la porta e la libertà di informazione trova strade sempre più strette. La speranza è che, di queste cose, si parli di più in questi giorni nei teatri e nelle sale perugine. La città, comunque, si è ben preparata ad accogliere i suoi ospiti famosi. Alla Galleria nazionale c'è la mostra di uno dei più grandi fotografi contemporanei, a Palazzo della Penna il lavoro dei fotografi perugini, la storia nostra. Immagini del mondo da una parte, immagini di una città da un' altra. Non viviamo nel tempo della globalizzazione?
 Poi ci sono le quattro mostre della Rocca Paolina, altre immagini del mondo, un altro linguaggio del giornalismo.
  E' curioso che questo appuntamento con l'arte dello scrivere e del parlare si svolga in una regione che non possiede neanche un dialetto comune, unitario e unificante, nella terra della cultura orale delle vecchie fattorie dove i mezzadri si ritrovavano nella serate di veglia. Parlare poco, scrivere meno, leggere niente. Questa è l'Umbria che abbiamo lasciato e poi perduto anche se qui hanno scritto e predicato due grandi letterati come Francesco e Jacopone.
  Perugia, nel corso della sua storia, che non è certo breve, non ha conosciuto grandi scrittori ma tanti anonimi cronisti che ci hanno lasciato testimonianze preziose. Luigi Bonazzi, lo storico della città, è stato un grande giornalista e ha lavorato grazie anche a queste fonti minori.
  Oggi Perugia partecipa come sa e come può a questo festival, che non è la Sagra musicale, né Umbria Jazz. Con la musica abbiamo ormai un buon rapporto, con la comunicazione un po' meno. La città è fatta di tanti gruppi sociali che si conoscono ma non si parlano. Tribù senza territorio che hanno perso il senso dell'appartenenza. I giovani e gli anziani, i commercianti e gli artigiani, gli avvocati e i magistrati, i professori e gli studenti, un mondo afono che insegue i propri interessi e le proprie sensibilità culturali senza guardarsi attorno. E' la stampa che prova molto spesso a colmare questo vuoto. Ci si parla attraverso i giornali o le Tv private. Anche le istituzioni faticano a capire e a comunicare. Chi conosce i problemi degli operai della Perugina o quelle dei tanti artigiani che chiudono bottega? Siamo davvero nel tempo dell'informazione? Può darsi, ma c'è troppa gente che non parla, troppe realtà sconosciute, troppi disagi nascosti nelle pieghe della società che corre un po' a casaccio, come la città nuova che cresce nel territorio ancora libero inseguendo il modello delle metropoli lontane.
  Adesso abbiamo questo problema dei giovani che di notte occupano la piazza centrale della città e gli spazi del centro antico per il rito del bere. Lo fanno vietando simbolicamente l'accesso a tutti gli altri, alle altre comunità sconosciute e diverse. Il popolo della notte è soltanto il popolo della notte. E di giorno? che fa di giorno il popolo della notte? Se non riusciamo a capirlo non ce lo potranno spiegare i sindacati di polizia. Loro esercitano un altro mestiere al quale teniamo molto, quello di garantire la sicurezza e il rispetto delle regole. Tocca a noi, genitori, insegnanti, cittadini di questa città senza voce imparare qualche regola del giornalismo. Parlare e, se possibile, ascoltare. O meglio, ascoltare e, se possibile, parlare.

                                                   
                                             renzo.massarelli@alice.it

  (pubblicato sabato 24 aprile sul Corriere dell'Umbria) 



Renzo Massarelli

Inserito martedì 27 aprile 2010


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