In occasione dell'apertura del Festival del Giornalismo a Perugia, davanti ai giardini del mercato coperto è stato piantato un ulivo, ai cui piedi è deposta una targa molto discreta in cui lo si dedica alla memoria di Peppino Impastato e, attraverso lui, a “tutti i giornalisti” morti per mano della mafia. Penso che questa iscrizione intenda comprendere “anche” le giornaliste morte allo stesso modo, sia in Italia che fuori dell'Italia, essendo la mafia come è noto una società transnazionale, che colpisce a tutti i livelli. Se penso a Ilaria Alpi o a Anna Politoskaja, non riesco a sentirle lontane dalla vicenda storica e personale di Peppino Impastato, per cui mi sento ancor più di rimarcare quanto l'uso o, per meglio dire, il mal uso, della lingua, che esclude dalle parole i corpi, le vicende, l'impegno e i destini di tante donne, sia in questo caso particolarmente ingiusto e deprecabile, soprattutto se si pensa che viene da parte di coloro che devono gestire l'informazione e la comunicazione, nella maniera più corretta e  coerente con la realtà che hanno scelto di raccontare.
Mi piacerebbe che il festival del giornalismo riservasse un incontro a riflettere sulla necessità di includere nella lingua della comunicazione le differenze – e in primis quella di genere – escludendo l'abitudine, da molte parti ormai condannata e superata, ad usare il maschile come sinonimo dell'umanità e riservando al femminile solo le parole che ribadiscono gli stereotipi più beceri della nostra cultura. E' inutile condannare l'uso dei corpi femminili come merce di scambio, se questi corpi non diventano visibili anche dentro gli ambiti della cultura, della politica, del lavoro, dell'impegno sociale, della storia anche passata, che hanno visto uomini e  donne fianco a fianco,ma spesso con una distribuzione di ostacoli e fatica e riconoscimenti veramente iniqua.  

Silvana Sonno  - Rete delle donne AntiViolenza onlus