Su questo giornale, gli abitanti dei quartieri nuovi della città, commentando i fatti di piazza IV Novembre, hanno confessato di non frequentare il centro storico da anni, ormai lontano dai loro interessi e così poco attraente e di non capire le ragioni di chi ci abita. Perché si ostinano a restare in cima a quel colle così scomodo, così mal vissuto, così poco sicuro? già, perché? Gli stessi destinatari di queste domande non hanno forse una risposta. Ci sono molti perché. Gli anziani restano perché ci sono nati e non saprebbero dove altro andare. Sono pochi e, naturalmente, per ragioni anagrafiche, sempre di meno. Ci sono anche giovani coppie. Non è semplice allevare figli dove non ci sono spazi pubblici, giardini e, soprattutto, sicurezza. E' faticoso far salire i passeggini lungo le scale della città antica, che sono molte e ripide. Però resistono perché le scuole non sono lontane e, spesso, anche i nonni, che possono dare una mano. Sono le piccole comunità che restano unite o, almeno, vicine. Il resto è l'età di mezzo legata alla propria casa e ai miglioramenti che ha realizzato nel corso degli anni. Ceto medio abituato ormai a convivere in un contesto fatto di studenti, locali, negozi, piccolo artigianato, uffici. Residenti persi e sparpagliati in strade e vicoli dove si sentono minoranza. Nei piccoli condomini dei vecchi palazzi le famiglie abitano in alto, nel posto dove c'è più luce, ma anche più scale, il resto, quasi sempre, appartiene agli studenti. Allora, perché restano? per l'aria buona e frizzante. L'aria della città alta è unica e si respira con grande piacere. E' l'aria senza umidità e senza brine, trasparente come il vetro. Fresca. Chi la conosce, con il tempo, ne diventa in qualche modo dipendente. E questo è il mal di tramontana, l'aria degli inverni perugini. Non tutti, ovviamente, la pensano così, tanto che continuano ad andarsene, alla ricerca di un'altra dimensione e di nuove comodità. Del resto, anche a monte Malbe o a Lacugnana c'è l'aria buona, anche se chi ci va non sa che non è la stessa cosa. La città in basso è lontana e immersa nelle mille foschie delle valli. E' la città, come si dice, che lavora e produce. Il luogo della nostra contemporaneità, la città moderna. Queste due città non si parlano e non si conoscono. La città alta non è più la città, ma un luogo della memoria. Quando abitavo a Porta Pesa... ricordano quelli che se ne sono andati. Si vive bene nella città nuova? dipende, ci sono molte città nuove. Ci sono i vecchi ponti dove molte cose sono cambiate ma dove la gente ha ricostruito comunque un proprio senso di appartenenza, dove il valore della comunità non è andato perso. Poi ci sono i grandi palazzi del Belocchio o di via Cortonese dove è tutta un'altra storia. La storia di una città senza piazze e senza identità dove i molti problemi del centro si ritrovano irrisolti anche tra le nuove mura di quartieri senz'anima. Il traffico, la sicurezza, la mancanza di spazi verdi e l'aria, che non è affatto buona, neanche quella. Se un cittadino di San Sisto sostiene di non andare in centro da anni e di non sentirne affatto il bisogno evidentemente non basta il minimetrò né le vetrine scintillanti di Corso Vannucci così come non basterà domani un centro commerciale scavato nel cuore del Pincetto o altre fantasiose iniziative di architetti creativi. Questo distacco così radicale deve avere una ragione più profonda. Forse nel cuore di ciascuno resta lo storico conflitto tra centro e periferia o, meglio, anzi, peggio, tra città e campagna. Se è così, tutto quello che è stato fatto in tanti anni di crescita e di ricerca di una nuova identità cittadina, assume il senso di una sconfitta profonda e senza rimedio. Ricucire questa frattura sarà una cosa molto difficile e non è così sicuro che sia ancora possibile. E' la questione urbana che occorre rimettere al centro del confronto politico e sociale. Non ci possono essere due città, una che perde col tempo la sua identità e l'altra che non riesce mai a trovarne una. Sono coscienti a Palazzo dei Priori che questa è la posta in gioco? La questione dei giovani, il malessere di una generazione, sta tutta dentro questo strappo, questo nodo irrisolto, così come quella dei residenti che lasciano il centro o di quelli che non ci vanno mai. Oggi, forse, cominciamo a pagare il conto di troppe scelte sbagliate e della mancanza di un disegno che riconsegni a tutti un senso di appartenenza, l'orgoglio di essere cittadini, tutti insieme, di una città chiamata Perugia. Negli anni ottanta questo disegno si chiamava "La più grande Perugia" ed è sperabile che gli amministratori di quel tempo pensassero alla più grande Perugia come ad una città capace di parlare all'Italia e di costruire il suo futuro attorno ad un'idea di qualità più grande. Qualità non quantità. Oggi, o meglio, già da un bel po' di tempo, si può pensare che non sia andata proprio così.