Noi umbri abbiamo un sacco di difetti, ma anche qualche pregio. Se viene a trovarci un amico lo portiamo a fare un giretto in Corso Vannucci in una bella giornata di sole per conquistare la sua ammirazione. Che bella l'Umbria. Già, lo sappiamo, e lo sanno pure loro, i nostri ospiti improvvisati. Così possiamo vivere quasi di rendita con l'eredità del nostro passato che abbiamo conservato, tutto sommato, con devozione e rispetto. Dunque, facciamo una bella passeggiata e lasciamo perdere, una volta tanto, le nostre solite lamentele. I nostri amici ci invidiano, perché rovinare la festa? e poi non capirebbero. Dobbiamo spiegare che non c'è solo Corso Vannucci e che persino la piazza monumentale della città, con una delle fontane più belle del medioevo, rischia di diventare una birreria. Tutto è relativo in questo mondo. Noi sentiamo il disagio di chi sente di vivere in un posto privilegiato che, tuttavia, non ha migliorato in questi ultimi anni la qualità della vita dei suoi abitanti. Facciamo ogni tanto qualche passo in avanti ma anche molti passi indietro e se il nostro amico viene da una delle tante città invivibili d'Italia, cosa possiamo dire? Niente, la nostra passeggiata può continuare sino al Frontone. Oltre l'orizzonte c'è Assisi e il monte Subasio e dall'altra parte la valle del Tevere. Dietro il colle di Bettona c'è Todi. Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Persino il mondo del cinema ci ha sempre guardato con affetto. Nella "Dolce vita" c'è una ragazza che somiglia a uno dei tanti angeli dipinti nelle chiese umbre. E' l'immagine ideale di un mondo che avremmo perduto, e questa è l'intuizione di un grande visionario come Fellini. Negli anni ottanta, nei film di Nanni Moretti, i giovani in crisi di fronte a modelli di vita nei quali non si riconoscevano, scappano in Umbria, in una comune e allevano animali da cortile e qualche capra. Carlo Verdone, ci regala spesso una citazione. L'Umbria è sempre l'isola felice e desiderata che c'è nell'immaginario di tanti registi, o almeno nei loro film. E' come se la vita, quella vera, quella fatta di interessi forti, fosse altrove, nella metropoli romana, dove si vive e si lavora, e poi c'è il nostro posto delle fragole, lontano e indecifrabile, come un sogno. E' così che della nostra bella immagine un po' approfittiamo e un po' ci stanchiamo. C'è sempre qualche luogo comune dal quale liberarsi. L'Umbria cuore verde, San Francesco, Todi e il suo altissimo livello di vivibilità... Intanto gli economisti ci presentano qualche conto. Il pil più basso del centronord, lo scarso livello di innovazione, le infrastrutture carenti. Siamo il sud del centronord e forse non siamo nemmeno il nord del centrosud. Siamo in mezzo, sospesi tra passato e futuro e niente affatto disposti a fare semplicemente i custodi del nostro passato. Siamo lì, sulla spiaggia di Fregene, come Marcello di fronte agli occhi incantati della ragazza di Città di Castello, indecisi e un po' miopi, incapaci di guardarci attorno e capire qual è la strada che ci porta oltre l'orizzonte dei nostri amati campanili, ma anche quella che ci fa ritrovare noi stessi, la nostra identità, il rapporto con la nostra cultura. Domani andiamo a votare per la Regione. Sembra ieri, o forse non sembra affatto ieri, sono passati quaranta anni e non abbiamo dimenticato quel 7 giugno del 1970, il senso di libertà che ci portava la speranza di poter governare secondo i nostri bisogni. La rinascita umbra, così la chiamavano tutti, l'ingresso di una piccola regione nell'Italia che correva veloce lungo la vicina autostrada del sole. Siamo stati e forse siamo ancora la "Terza Italia" che guarda alle virtù del solidarismo, della tolleranza di una comunità che non va a caccia di nemici ma di convenienze costruttive e che costruisce opportunità condivise, non barriere miopi e provinciali. Siamo stati anche una delle tre "regioni rosse" e del riformismo possibile. Quella era l'Italia eternamente all'opposizione, buon governo e stato sociale, ma pur sempre diversa, attratta dall'utopia e da non pochi schematismi ideologici, da un'idea troppo approssimativa della economia moderna. Quel modello è alle nostre spalle e anche, occorre riconoscerlo, non più proponibile, assieme all'illusione di vivere in un'isola felice. Detto questo, è fuor di dubbio che l'Umbria debba costruire un rapporto, un confronto e qualche progetto insieme alle regioni vicine ed anche, alla fine, qualcosa di più, e cioè una proposta per l'Italia, una visione dello sviluppo che abbia un'originalità ed una valore nazionale. Le infrastrutture, per dire, sono importanti, ma se si è capaci di inserirle in un progetto di crescita armonica ed equilibrata, altrimenti non ci porteranno da nessuna parte. Le carte che si possono giocare sono altre. I distretti del nuovo sviluppo si affermano in Europa in aree dove la qualità della vita, i servizi, l'equilibrio naturale e la difesa del paesaggio sono le armi vincenti. La modernità non contrappone più luoghi di lavoro e luoghi di vita, due mondi opposti e separati. Le contraddizioni di questa regione si possono leggere molto chiaramente nel suo capoluogo. Il tentativo di modernizzazione che va compiendo Perugia in questi anni sarà decisivo per tutta la regione. Forse non abbiamo finito di mettere assieme i vari e diversi territori dell'Umbria che dovrebbero definire l'identità regionale e, per questo, abbiamo ancora una capitale che tutti accettano come tale e che nessuno riconosce veramente. E' questo il problema che ci impedisce di cercare nuove frontiere, di aprirci e cercare l'Italia che ci somiglia e con la quale possiamo crescere insieme?