C'è qualcosa di nuovo...
L'aquilone, di Giovanni Pascoli
Caro amico,
càpitano nel corso della vita di ciascuno di noi, improvvisamente, casualmente, momenti malinconici, tristi, che violano la tua apparente sicurezza, ma che al contempo, sembra quasi un assurdo, arricchiscono la tua persona e ti fanno riflettere sulla pochezza delle nostre azioni. Improvvisamente riafforano ricordi sopiti, lontani momenti che pensavi di aver perso, ed invece quella memoria, nella sua dolce e dura realtà, pur imbarazzandoti ti porta... altrove e allora ripensi, e un canto, un pensiero, una musica, ... una poesia ti è necessaria.
Con affetto,
Daniele / Nene
L’AQUILONE
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch’erbose hanno le soglie:
un’aria d’altro luogo, e d’altro mese e d’altra vita: un’aria celestina che regga molte bianche ali sospese…
sì, gli aquiloni! E’ questa una mattina che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d’albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c’era d’autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli un urlo s’inalza.
S’inalza; e ruba il filo della mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano.
S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo petto del bimbo e l’avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più, su, più su;: già come un punto brilla lassù lassù… Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto… - Chi strilla?
Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all’improvviso, una dolce, una acuta, una velata…
A u no a uno vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni su l’omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l’orazioni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento: solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto, anch’io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto…
Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co’ bei capelli a onda