Rispunta il camino dell’inceneritore
Il Sindaco Locchi lo vuole a Perugia: ma ha sentito i cittadini?
(nella foto, l’impianto Gesenu di Ponte Rio, una delle probabili sedi dell’inceneritore) Dopo tante esitazioni e smentite, alla fine è emerso chiaramente che il Piano regionale dei rifiuti prevederà in inceneritore nel territorio di Perugia. Sarà poi l’assemblea dei Comuni a indicare il luogo destinato ad accoglierlo; ma subito il sindaco Locchi si è affrettato a dichiarare che Perugia è disponibile ad ospitare l’impianto; anzi, ha già in mente il luogo esatto in cui collocarlo. Non risulta che su questa questione, però, il sindaco abbia consultato nessuno: né la popolazione, né il Consiglio comunale, né le forze politiche o le associazioni. La decisione di fare un inceneritore a Perugia ripercorre la strada già seguita per imporre una soluzione che non serve ai cittadini, anzi ne minaccia la salute e la vivibilità e li grava di un costo assai alto, ma favorisce coloro che vedono nell’inceneritore una grande opera con cui fare grandi affari. Infatti, un inceneritore non può essere costruito per piccole quantità di materiali, come quelle che si raccolgono adesso nel comune di Perugia o ancor più quelle che si dovrebbero raccogliere dopo una seria raccolta differenziata: per compensare le spese di costruzione, un impianto di incenerimento deve avere una grande capacità, cioè deve raccogliere i materiali di territori molto grandi, quindi anche probabilmente da altre regioni (e non dimentichiamo che Roma è dietro l’angolo!). L’inceneritore viene spesso chiamato termovalorizzatore, perché dall’incenerimento delle materie raccolte è possibile ricavare, in qualche misura, anche una parte di energia, che potrebbe servire a far funzionare impianti centralizzati di riscaldamento: in realtà, il rapporto costi-ricavi è del tutto in perdita, perché l’energia verrebbe ricavata perdendo non solo grandi quantità di preziose materie che potrebbero essere recuperate, e invece vengono distrutte, ma anche una grande quantità di energia necessaria al trasporto delle materie e al loro incenerimento. Un costo sicuramente minore, e un ricavo di gran lunga maggiore, si può avere estendendo capillarmente la raccolta differenziata e rivendendo alle aziende le materie così recuperate: e il ricavo potrebbe oltretutto consentire di ribassare la tariffa pagata dai cittadini. Ma se si fa davvero la raccolta differenziata, che cosa resta da portare all’inceneritore? Un altro effetto non secondario della raccolta differenziata sarebbe la possibilità di diffondere tra i cittadini la coscienza dell’impatto ambientale dei loro consumi, e farli diventare consapevoli del valore delle merci e del loro trattamento. Dal canto loro, gli operatori ecologici (o come si diceva una volta, gli “spazzini”) potrebbero assumere un livello più alto di professionalità, perché a loro spetterebbe diffondere tra la cittadinanza le conoscenze e le consapevolezze ambientali. Infine, se alla raccolta differenziata si accompagna una partecipazione attiva della popolazione, tutta la questione dei cosiddetti rifiuti può diventare un momento di forte crescita democratica. Dunque, la direzione da prendere non è quella dell’inceneritore.
Renzo Zuccherini
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