16/07/2024
direttore Renzo Zuccherini

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Il palcoscenico del Pavone


                        

  Con il Pavone abbiamo fatto un passo indietro e due avanti, o forse il contrario. Due passi indietro e uno avanti. Un teatro non è un posto qualsiasi ma un luogo vivo che invecchia e che può tornare di nuovo giovane. Le poltrone, i palchetti e, soprattutto, il palcoscenico, lo spazio più nascosto e più indecifrabile. Il palcoscenico è artigianato puro, sintesi e paradigma del circo, luogo di acrobazie e di finzioni, di giochi di prestigio e di culla dei sentimenti e di luci che si accendono e si spengono, a sorpresa. Un teatro può morire ma anche rinascere, per questo è la fabbrica delle meraviglie.
  Dunque, il Pavone riapre facendo un salto nel passato, oltre il novecento, che è il secolo del cinema, e tornando alla sua identità originaria. Un teatro è un teatro. Per farlo, ha dovuto attraversare malanni e solitudine, le dimenticanze degli uomini senza memoria, una, nessuna o forse centomila opportunità perse e ritrovate, a seconda delle stagioni e dei  suoi tre secoli di vita.
  Dunque, il futuro non sempre si trova davanti e oltre gli orizzonti visibili. Qualche volta occorre guardare indietro, alla strada che si è già percorsa, per non perdere l'orientamento e per trovare quella nuova, verso il nostro giardino dei ciliegi.
  Certo, se un teatro è un teatro, anche un cinema è un cinema. Un teatro ha un suo calendario che si deve rispettare. Le sue porte si aprono ogni tanto dopo brevi o lunghi intervalli. Un cinema è come l'ultimo metrò che spegne le luci la sera, dopo l'ultima corsa, ma poi, il giorno dopo, tutto ricomincia. Abbiamo perso un cinema e abbiamo ritrovato un teatro e non è il caso ora di perdersi dietro conti impossibili. Abbiamo rimesso o guadagnato? Il peso del Pavone non conosce misure, l'importante è che ci sia e che accompagni, con la sua presenza viva, il difficile cammino della città e del suo centro storico. Sarà un luogo da molti e diversi eventi, ma è importante che questa volta non si sia parlato di un contenitore, ma di contenuti. Farà una concorrenza corsara al Morlacchi che non conosce crisi ma neppure idee nuove.
  La rinascita del Pavone potrà essere il primo passo di un centro che ritrova se stesso oppure il contrario, l'ultima scintilla di un fuoco che si spegne. Una cosa è sicura. Questa città non è solo periferie anonime e prive di socialità e centro antico abbandonato. Come diceva dell'Umbria degli anni cinquanta Ruggero Grieco, "tra le pietre vivono gli uomini". Dipende dalle scelte e dalle offerte intelligenti. Per una scienziata come Margherita Hack sono uscite da casa in una fredda serata d'inverno mille persone, per le operette le serate si sono dimostrate insufficienti. Dunque, il centro può essere qualcosa di diverso dal posto delle pizzerie e delle birrerie che continuano a crescere per rispondere ad una domanda predominante. Quella del popolo della notte. Credendoci, si può ritrovare una comunità, occasioni di incontro, un ruolo alto della città antica.
  Per guidare un processo di rinascita c'è bisogno di un nuovo protagonismo sociale e di istituzioni all'altezza del compito non semplice e non breve che si deve affrontare. E' sulla capacità di salvare dalla decadenza il centro storico che si giocherà il futuro di questa amministrazione dopo tanti anni dedicati alla crescita della città nuova e alle cosiddette grandi opere.
  A Palazzo dei Priori in tre legislature si sono bruciate le speranze di successo di tre assessori al centro storico. Nessuno è riuscito a lavorare su un terreno così pieno di insidie per più di cinque anni. Ci hanno provato persone molto diverse tra loro alle quali non si può non riconoscere impegno e capacità: Giovanna Chiuini, Marcello Catanelli e poi Antonello Chianella. Alla fine della storia, e cioè per evitare un ventennio di delusioni, il sindaco Wladimiro Boccali ha deciso di cambiare strada e di gestire personalmente questa bollente delega, lasciando ad una dirigente la responsabilità dell'ufficio. Un segno di resa o di riscatto?  Di sicuro la politica non sembra più in grado di parlare alla città, mentre cresce il ruolo dell'apparato interessato a costruire progetti nel chiuso dei propri uffici. Il re è nudo in un palazzo che sembra più grande e più vuoto. Ci sono meno risorse, meno speranze, meno idee. Manca il progetto, la capacità di guardare la città dall'alto della torre campanaria, chiamare a raccolta le energie di una comunità che non si rassegna a restare in casa, in attesa.
  Se non si lavora seguendo le logiche mercantili della finanza di progetto, cioè con il Comune che trasferisce i propri beni immobili ai privati affinché ci costruiscano sopra qualcosa, in questa città non si realizza più nulla che serva a migliorare le condizioni di vita di tutti noi. Crescono supermercati e chiudono altri supermercati. Da quattro anni si discute di un centro commerciale al Pincetto, che non significa soltanto ristrutturare, come sarebbe necessario, il cadente mercato coperto, ma mettere a rendita gli ultimi spazi rimasti liberi nella vecchia rupe del Sopramuro costruendo altri palazzi. Seminterrati. Finanza di progetto, appunto.
  L'Accademia ha salvato mezzo Pavone, con le istituzioni che promettono marginali fondi pubblici ritagliati da qualche altro fondo pubblico. Dovremmo tirare un sospiro di sollievo. Sulle sorti del centro storico si sono bruciati tre assessori. Uno dietro l'altro. Questa volta non ci sono assessori, c'è il Sindaco. Buona notte e buona fortuna. Così si conclude un film famoso, tanto per restare in tema.

                                           
                                      renzo.massarelli@alice.it

  (pubblicato sul Corriere dell'Umbria di sabato 6 marzo)  
    



Renzo Massarelli

Inserito domenica 7 marzo 2010


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