Lettera aperta al premier Silvio Berlusconi
Scrittrice-giornalista. Nata a Durazzo nel 1960, si è laureata in Lettere albanesi e inglesi all'Università di Tirana. Emigrata dal suo Paese prima della caduta del Muro di Berlino, dal 1988 al 2004 ha vissuto e lavorato in Svizzera. Attualmente risiede negli Stati Uniti, dove alla narrativa alterna il lavoro di giornalista e sceneggiatrice.
Egregio Signor Presidente del Consiglio, le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche
parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor
ha toccato persone a me molto care: "le belle ragazze albanesi". Mentre
il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava l'impegno
del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che
"per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione."
Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate
a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho
seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato
sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A "Stella" i
suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una
bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in
Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri
collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò
piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria,
e chissà quanti altri. E' solo allora - tre anni più tardi - che le
incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio.
Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto
della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e
nonna. Quel puttana sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di
speranza e di fiducia nell'uomo, il massacro dei clienti e dei
protettori le ha distrutto l'utero. Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in
Italia con il titolo Sole bruciato. Anni più tardi girai un
documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un'altra bella
ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di
indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai
quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in
giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come
lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di
Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in
mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a
sperare, sogna il miracolo. E' una storia lunga, Presidente... Ma se
sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia
del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due
chiacchiere con lei. Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute
rispondo, non le ingoio.
In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro
famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent'anni di
difficile transizione l'Albania s'è inflitta molte sofferenze e molte
ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la
voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta.
L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni
gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani
come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da
guadagnarci.
Elvira Dones
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