Lello Rossi, un giovane riformista
Gianni Barro e Renzo Massarelli parlano del libro di Raffaele Rossi: La città la democrazia, Dialogo riformista con Gaetano Salvemini
Ho il privilegio di parlare di una iniziativa storico-letteraria dovuta alla penna, opportunamente prolifica, di Lello Rossi. Un libro che si intitola Dialogo riformista con Gaetano Salvemini ed è fresco di stampa per i tipi dell’editrice Edimond di Città di Castello. Lo presenta Renzo Massarelli, un giornalista ed un intellettuale di non giovane militanza comunista.
A stimolarne la lettura non è solo il titolo, così intrigante e promettente perché parla di riformismo, e neanche la presenza di un convitato di pietra di nome Salvemini così poco frequentato nella pubblicistica riformistica odierna, ad onta che si tratti di una figura-chiave della lotta al fascismo e di un maestro nella individuazione di un modello liberaldemocratico per lo sviluppo della democrazia politica italiana. Tutto questo, per importante che sia, passa per me in secondo piano rispetto alla rilevanza dell'autore e protagonista del libro, Lello Rossi, la cui vita politica e culturale è intrecciata, senza esagerazione, con tutta la storia di Perugia e dell’Umbria dalla Resistenza in poi.
Chi è Lello Rossi non ho bisogno di dirlo, perché la presentazione di Massarelli mi toglie ogni spazio di originalità.
A quelli che non lo conoscono aggiungo solo che è un giovane, aggettivo che al di là del dato anagrafico si merita perché per lui il domani non è semplicemente il prolungamento di quello che era ieri. Per me, poi, Lello Rossi è un punto di orizzonte nel cammino passato, presente e futuro verso e dentro il riformismo, tante sono le volte in cui – nel corso del travagliato processo di costituzione del Pd – parlare con lui magari solo al telefono mi ha consentito di risolvere dubbi e rafforzare certezze sulla via da seguire.
Chiedo scusa se parlo di me, ma non mi invento nulla dicendo che la vita degli altri è tanto più importante quanto più stimola a pensare a se stessi. E il cielo sa quanto io abbia avuto bisogno dei suoi giudizi sempre freschi di bucato e risciacquati nella cultura e nella memoria storica dell'Umbria, espressi senza mai lesinare critiche verso una classe dirigente di provenienza comunista e post-, per il modo burocratico o per lo meno attesista con cui si atteggiava (uso il passato per amor di patria) nei confronti di quella rivoluzione copernicana che è stato il rifomismo democratico; lui che per questo riformismo si era schierato da subito senza se e senza ma. Giudizi, i suoi, tanto più preziosi in quanto distillati dall'alambicco dell'antifascismo militante che nel Pci umbro era rappresentato dai dirigenti comunisti della clandestinità e dell'esilio, parlo di figure come Armando Fedeli e Gino Scaramucci. e qui mi fermo per non rendere odiose le omissioni che certamente Lello non mancherebbe di rimproverarmi, lui cresciuto "in presa diretta" con i grandi protagonisti delle lotte mezzadrili della provincia di Perugia e operaie di Terni, e tra gli artefici massimi del passaggio dell'Umbria da entità territoriale amorfa, punticino disperso nel mare dell'Italia centrale, a protagonista anche nazionale della riforma regionalista.
Ma sto togliendo spazio a Renzo Massarelli.
Gianni Barro
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Lello Rossi,La città la democrazia. Dialogo riformista con Gaetano Salvemini
Recensione di Renzo Massarelli
Corriere dell'Umbria, 14 Dicembre 2009
Duecento pagine e una copertina dalla grafica asciutta, quasi dimessa. Negli scaffali di una libreria si faticherà a trovarlo nonostante il colore arancio, eppure si tratta di un piccolo tesoro di idee e di cultura, di storie del passato e di molte idee per il futuro. Scritto da chi? un politico. uno storico, uno scrittore, un esperto? Raffaele Rossi non è facilmente catalogabile perché ha vissuto tante e diverse esperienze. E' stato partigiano, dirigente politico. amministratore pubblico, storico, insegnante. Ecco. Insegnante, la professione che ha dovuto lasciare e che poi ha ritrovato più tardi e che è al centro di molte scelte che ha fatto nella vita. Studiare e trasmettere agli altri la ricchezza delle sue fatiche, soprattutto ai giovani. Un libro arancione ha un titolo semplice e asciutto ("La città la democrazia") e un sottotitolo un po' più complesso (“Dialogo riformista con Gaetano Salvemini”). La casa editrice è la Edimond di Città di Castello.
A conclusione delle sue duecento pagine, si è indotti a pensare che sarebbe molto produttiva una diffusione di questo libro nelle scuole, se fosse letto dai giovani, dai tanti studenti che faticano a capire da dove vengono. in quale regione vivono, qual è il senso del futuro che li aspetta.
Questo libro è diviso in due parti, anche se si fa fatica a semplificare le tappe di un discorso che sono molte di più e che attraversano metà del Novecento ed entrano senza chiedere permesso nel nuovo secolo. Rossi va cercando nel suo libro il senso della democrazia, certo senza altri aggettivi. lontana dai pericoli che corre oggi il paese posto di fronte "non a un semplice ricambio di governo, non a una fisiologica alternativa tra sinistra e destra. tra riformismo e conservazione forse a uno slittamento del populismo verso l'autoritarismo e, nello stesso tempo, a una incapacità e difficoltà a fronteggiare la deriva antidemocratica" .
Perché si inizia da un dialogo con Gaetano Salvemini, uno storico, liberalsocialista. antifascista e non meno lontano dal comunismo, che in uno scritto del 1953 pubblicato su Il Mondo inviava un messaggio ai "giovani e ragazze di bella intelligenza e di stupendo impegno morale che avevano scelto "impegno politico nel partito comunista" auspicando che il giorno in cui il comunismo si sarebbe rivelato in Europa una via senza uscita sarebbe giunto anche per essi il momento di fare l'inventario riscoprendo gli ideali e i metodi liberali, democratici e socialisti?
"Questo mio scritto - sostiene Rossi nel suo libro - tenta di dimostrare con molta modestia che quella generazione che militò nel partito comunista italiano e che per quanto riguarda il caso di Perugia e dell'Umbria dovette fare i conti anche con l'insegnamento di Aldo Capitini, non aspettò la caduta dei muri, né attese un mitico giorno per comprendere l'inganno di un mito e per riaffermare i valori della democrazia". Il discorso, secondo Rossi, deve fare riferimento alle città dell'Umbria e non solo. "Quei giovani, anche tra difficoltà. dubbi, contraddizioni ed errori, concorsero ad una esperienza democratica e riformista che fece un po' più giusta e più civile la società italiana".
Quella di Rossi è la storia di una generazione che aveva vent'anni alla fine della guerra e che fu chiamata, dunque, ad avere un ruolo decisivo nella costruzione della democrazia e nel processo di ricostruzione e rinnovamento del paese. Questa generazione, a Perugia, ebbe la fortuna di crescere accanto a straordinari maestri liberali e socialisti, anzi, liberalsocialisti, anche se aveva scelto, nella sua maggioranza, la militanza nel Pci. Fu questo il connubio virtuoso e così originale che fece, di quei giovani la futura classe dirigente di Perugia e, insieme ad altri, dell' Umbria.
Rossi risponde a Salvemini, in questo colloquio virtuale, con i fatti, raccontando una storia riformista. "Se Thomas Mann sosteneva che l'io autobiografico non lo si può scindere del tutto dal tempo, io aggiunto nemmeno dal luogo. Nel mio e nostro caso, il luogo è fondamentalmente quello dell'Umbria delle città". Rossi racconta del suo professore di filosofia Averardo Montesperelli, gli insegnamenti di Aldo Capitini, l'amicizia con Walter Binni e poi la storia dell'Umbria, con la questione mezzadrile. le lotte sociali per la rinascita di una regione poverissima, l'esperienza unitaria del primo piano di sviluppo, discusso in parlamento quando la Regione non c'era ancora, i cento anni di vita e i mille problemi delle acciaierie di Temi. "Un partito tra ideologia e movimento reale", scrive nel titolo di un capitolo. Rossi non nasconde ritardi ed errori, ma poi ricorda: "Si doveva avere una cultura di governo anche stando all' opposizione. Il riformismo umbro divenne presto una consapevole conquista nell'impegno politico e nella esperienza dei governi locali. Poi, per fortuna, una specie di vaccinazione gramsciana ci portava nel concreto della storia italiana".
E' cosi che si arriva alla questione urbana, a "L'Umbria delle città". La seconda parte del libro è una raccolta di scritti e testi di conferenze scelti tra i trecento titoli del suo archivio. "La città come stato d'animo", uno scritto del 1991, "L'utile e il bello nella vicenda urbana", del 1992 e, soprattutto, "Psicologia di una città", pubblicata nel 1993 nella collana "Storia illustrata delle città dell'Umbria". In questo scritto straordinario c'è tutta Perugia, la sua storia, l'identità. il carattere dei suoi abitanti, il rapporto con la campagna e quello dell'acropoli con la "terra nova", e cioè i cinque borghi. Una specie di master al quale deve necessariamente ricorrere chi vuol capire una città come questa.
"La psicologia della città sta tutta in questo rapporto tra ambiente naturale, forma fisica e coscienza urbana. Perugia era una città in verticale. I limiti di spazio all'interno delle mura e il forte inurbamento del Duecento avevano indotto a sfruttare le superfici in altezza aggiungendo sempre, elevando le tante torri e i molti campanili. La città stava alta sulla pianura. tra cielo e terra. guardava e pensava in verticale perché la verticalità non è una categoria esclusivamente fisica. Il primo istintivo disagio. un senso acuto di spaesamento, che provava un perugino in una città di pianura derivava dal capovolgimento del suo rapporto con il cielo e la terra". Più avanti aggiunge: "Una città aerea che guarda dall'alto definisce una particolarità che è anche distacco, un'estraneità. L'ampiezza dell'orizzonte naturale e di quello ideale fa guardare lontano e non fa vedere vicino, favorisce grandi aperture ma anche chiusure e isolamento". Non mancano accenti di forte critica a proposito dello sviluppo della città e dei cambiamenti avvenuti nella nostra età contemporanea in un saggio che è pur di sedici anni fa. "Il centro storico – scriveva - nell'eccesso di fittizio ruolo simbolico, rischia di divenire spazio scenografico separato dalla cultura che l'ha creato, un salotto molto usato e consumato che, se salta l'equilibrio di funzioni, può essere una affollatissima vetrina di solitudine sociale". Da qui la proposta di una "ulteriore rifondazione urbana" e l'idea di una più grande Perugia, una città policentrica, unificata non più fisicamente come quella antica, "ma nella qualità delle forme, della vita sociale e culturale della democrazia". Ora una più grande Perugia è stata realizzata, ma chissà se corrisponde all'idea che aveva in mente l'autore di questo libro. Dopo aver riflettuto sull'identità dell'Umbria nell'Italia mediana, di centralismo e regionalismo, Raffaele Rossi conclude il suo lavoro con la proposta di una costituente umbra. "Il problema delle riforme si è andato trascinando tra progetti di ingegneria istituzionale, rinvii e fallimenti. Si può fondamentalmente ritenere che quegli esiti negativi derivino dal fatto che un problema così importante della democrazia sia rimasto riservato ai vertici politici, parlamentari e amministrativi senza un coinvolgimento ampio dei cittadini". La democrazia. appunto. Anzi, la città e la democrazia. accanto ad un dialogo con Salvemini, che non c'è più e chissà se deglI argomenti e di questa risposta di Rossi sarebbe oggi soddisfatto.