Racconti Artigiani: Ubaldo Calistroni
Capitolo 1
I primi anni
La
rivoluzione che negli ultimi anni ha investito il piano della
viabilità perugina, ha determinato un cambiamento nelle abitudini
dei residenti nel capoluogo umbro, ponendo il Minimetrò come nuovo
nucleo centrale intorno al quale si muove tutto il sistema del
trasporto urbano. È curioso come il percorso della nuova
metropolitana di superficie sia in qualche modo legato alla mia vita.
Mi riferisco al suo tragitto, che parte da Pian di Massiano, nella
periferia di Perugia, per arrivare ai piedi dell'acropoli, in via XIV
Settembre, e che collega i due luoghi più importanti della mia vita
professionale. Mi chiamo Ubaldo Calistroni e da anni lavoro nel
settore dei trasporti. Sono proprietario di un garage in via XIV
Settembre, di fronte alla stazione del minimetrò detta del
“Pincetto”.
Sono
nato a Papiano, una frazione di Marsciano, il 15 aprile del 1935. Mia
madre si chiamava Enrica
e mio padre Antonio.
Ho vissuto la mia infanzia in campagna, insieme ai miei sei fratelli,
Mario, Vincenzo, Maria, Ersilia, Mario e Rina, aiutando i miei
genitori nei lavori di tutti i giorni. Col passare degli anni, mi
resi conto che il lavoro in campagna non era adatto a me e discussi
con la mia famiglia della possibilità di allontanarmi da Papiano per
cercare di imparare un mestiere diverso. Dopo aver ascoltato le mie
ragioni, mia madre si rivolse al proprietario del podere dove
abitavamo.
Si
chiamava Francesco Mosconi e abitava a Perugia.
Fu
proprio lui a suggerire a mia madre di mandarmi in città, dove
c’erano buone possibilità di trovare lavoro, e le suggerì il nome
del signor Nicola Mancini, proprietario del Garage Galleria di via
XIV Settembre: alle sue dipendenze avrei potuto svolgere le diverse
mansioni legate al parcheggio e all'autolavaggio delle vetture.
Rincuorato
da questa possibilità, decisi di trasferirmi a Perugia dove mi
avrebbe ospitato una
mia zia, Giuseppa Riccini.
Mi
trasferii da lei, in una traversa di Corso Cavour che, per caso o per
destino, si chiama via del Deposito. Il giorno seguente al mio arrivo
in città, mi recai in via XIV Settembre per chiedere al signor
Mancini se poteva prendermi a lavorare nel suo garage.
Mi
rispose di sì. Era il 4 agosto del 1955.
I
primi tempi mi svegliavo all’alba e raggiungevo a piedi il garage.
Mi occupavo soprattutto del lavaggio delle macchine. Col tempo
iniziai a prendere dimestichezza con le automobili. All’inizio
infatti ero un po’ inesperto nel campo dei motori e quando mi
capitava di spostare una macchina stavo sempre attento, soprattutto
nelle manovre: per qualche mese contribuii, mio malgrado, a
“scolpire” una colonna del parcheggio. D'altronde, a Papiano,
dov'ero cresciuto, non circolavano molte automobili anzi, a parte la
‘Topolino’
del medico del paese, non ce ne erano altre. In ogni caso, mi inserii
presto nel gruppo dei colleghi.
Alcuni
dei ragazzi con cui lavoravo erano di Perugia, come Cesare Andreoli e
Alviero Cesarini, mentre altri venivano da fuori, come il mio
compaesano Marcello Antonini, che iniziò a lavorare nel mio stesso
garage qualche tempo dopo di me.
Instaurai
con tutti un bel rapporto di amicizia, oltre che professionale.
Ancora oggi ho rapporti con alcuni di loro, tra cui Antonio
Costantini, detto ‘il Piccolo’, per via della sua statura minuta,
del quale ricordo, come fosse ieri, il primo giorno di lavoro.
Mi
trovavo con il signor Mancini
all’entrata del Garage. Lui vide da lontano un ragazzo bassino
percorrere via XIV Settembre diretto verso di noi e, dopo aver
imprecato mi disse con un'aria quasi scocciata: “vuoi vedere che
quello lì viene a chiedere lavoro da noi?”. Non si sbagliava.
Antonio
Costantini stava venendo proprio al Garage per cercare un impiego e,
malgrado l'atteggiamento apparentemente diffidente, il mio principale
aveva da subito trovato nella fisionomia del nuovo arrivato la
persona adatta a lavorare sotto il ponte meccanico, compito che da
allora fu riservato esclusivamente al ‘Piccolo’ Costantini.
Oltre
ai compiti, il proprietario del garage stabiliva anche i turni.
Poteva contare su sette ragazzi, quattro dei quali lavoravano di
mattina e gli altri tre la notte. Il garage infatti doveva rimanere
aperto anche la notte per permettere la completa mobilità ai
clienti. Io preferivo di gran lunga lavorare di giorno, non solo
perché c’erano più clienti e il tempo sembrava trascorrere
velocemente, ma anche perché di sera, d’inverno soprattutto, la
temperatura si abbassava di molti gradi, e dormire su una brandina
attaccata alla parete del garage non era certo piacevole.
Ricordo
che una mattina di gennaio, verso la fine degli anni ’50, mi
svegliai come al solito verso le sette per aprire il garage: appena
tirai verso di me la porta mi trovai di fronte trenta centimetri di
neve: un gradino bianco che dovetti spalare subito prima dell’arrivo
dei clienti.
In
generale, il mio lavoro consisteva nel parcheggiare le macchine e nel
pulirle, su richiesta dei clienti. Ogni lavaggio, che impiegava
almeno due persone (una si occupava dell’interno e l’altra
dell’esterno della vettura), durava in media tre quarti d’ora e
veniva fatto anche di notte.
Col
tempo imparai il mestiere di parcheggiatore, ma il lavoro da
dipendente iniziava a pesarmi.
Dopo
cinque anni di lavoro il mio stipendio era di otto mila lire al mese.
Non era tanto, ma la mia insoddisfazione era dovuta al fatto che
desideravo creare un’attività mia. Iniziai a guardarmi intorno ma
non c'erano molte possibilità: le aree più trafficate come via
Pellini, Elce, la stazione di Fontivegge e Monteluce, erano già
serviti da garage ben avviati e adibiti ad autolavaggio. Seppi però
da alcuni amici che c’era, in via XX Settembre, un’autorimessa in
affitto. Parlai col proprietario, un certo signor Guerri, e concordai
con lui l’affitto del locale.
Mi
licenziai così dal Garage dove avevo lavorato per cinque anni. Era
il 1960.
Emma Spinelli
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